Le annotazioni di epoche lontane

6 1 0
                                    

Callaghan stava tornando nella sua abitazione scosso da quanto era successo in quella giornata. Voleva tornare dalla sua poltrona adorata, situata accanto al camino e con un bicchiere della sua bevanda preferita. Di certo non aveva la minima intenzione di rammentare le vicissitudini, avrebbe preferito invece abbandonarsi nel vuoto, senza pensieri, senza ricordi, senza parole.
Aprì e varcò la porta principale dell'edificio e come spesso accadeva non trovò nessuno trafficare per le scale. Salì al suo piano e con calma entrò nel suo salotto modesto. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo l'odore lieve di lavanda, solo questo odore lo fece tranquillizzare. Riaprì gli occhi e si preparò la sua bevanda.
«Niente di meglio di un poco di tè» mormorò tra sé e sé versando nell'acqua calda nella teiera con foglie di camelia. Le lasciò in infusione e nel mentre si avviò con il vassoio verso la poltrona. Sospirò, finalmente si potè rilassare, chiuse gli occhi e si lasciò cullare del silenzio.
«Signor Callaghan! Mascalzone senza ritegno, come devo dirvi di...» La signora Danaway irruppe nell'abitazione senza neanche la premura di bussare ed osservò come l'uomo di fronte a sé fosse distrutto moralmente e fisicamente. «Al diavolo i vostri problemi. La vostra dama si rifiuta di accantonare i vostri libri, dovete fare qualcosa.»
Joseph ci impiegò qualche istante per comprendere le parole dell'anziana signora, guardò sulla libreria gli spazi vuoti dove sarebbero dovuti essere i tomi dalle note invisibili agli occhi dell'uomo. Quando comprese si alzò si versò una tazza di tè alla camelia e la portò con sé «Mi porti da Fiona, signora Danaway.»
«Voi giovani siete tutti uguali. Basta che fate ciò che volete.» sparlò la vecchia signora «Ma i doveri vanno prima di ogni cosa! Ricordalo bene signorino.» alzò l'indice scendendo le scale, seguita da Joseph mentre sorseggiava il suo tè. La signora aprì la porta di casa sua e in pieno soggiorno vi si vedeva la giovane Fiona con le spalle avvolte da una leggera coperta fatta a mano, intenta a cimentarsi in ogni parola scritta in quelle pagine. Joseph, intento a chiamare la giovane fanciulla per nome, si interruppe guardando lo sguardo irritato della signora Danaway quindi si corresse subito «Signorina Robinson, vorrei riavere i miei libri se non vi spiace.»
«Joseph ho trovato...» si interruppe quando, alzandosi, incontrò lo sguardo di disapprovazione della signora Danaway. Quindi si sistemò e ricominciò la frase «Vi restituisco immediatamente i vostri libri, signor Callaghan. Perdonatemi per l'insistenza.» si avvicinò all'uomo con i libri tra le braccia. Quando lo raggiunse fuori dall'appartamento dell'anziana signora, quest'ultima borbottò mentre rientrava nella sua abitazione «Prima o poi diventerò matta a starvi appresso. I giovani di oggi. Fareste meglio a sposarvi e a condividere la casa se tanto vi interessano gli hobby dell'altro!» sospirava e rimproverava, ma a nessuno dei due giovani interessava davvero ciò che aveva da dire.
«Ho trovato qualcosa di interessante, ma non credo sia... possibile.»
«Reputavo impossibile un inchiostro invisibile fino a ieri.»
«Tenete i vostri libri. Ne parleremo la prossima volta.» sospirò stanca, in altre occasioni Joseph avrebbe insistito ma per quella volta decise di accettare i libri. Posò la tazza di tè, oramai finita, sui libri e li prese, togliendo il peso di essi dalle deboli braccia della fanciulla.
«Fate un buon riposo Fiona.» rispose Joseph con un mezzo inchino per congedarsi.
«Buonanotte Joseph.» era intenta a continuare ma sorrise e rispose con un altro inchino. Callaghan non sapeva se chiedere cosa le turbava i pensieri ma in conclusione decise di lasciarla andare a riposare e tornare in casa propria.
Più le ore notturne avanzavano verso il sorgere del sole, più Joseph ripensava alle parole dell'uomo nella cantina. Non lo disturbava il fatto che la voce gli ricordasse qualcuno, ma fu il peso delle parole ha turbarlo.
Ancora ricordava ciò che disse quell'uomo; ripetitivo e martellante permeava nella memoria di Callaghan «Figlia mia prediletta.» una frase che risuonava così familiare che gli sfuggiva da chi l'avesse già sentita. Improvvisamente sentì un dolore al collo, proprio dove era stato morso da Diana, un dolore acuto ma che durò pochi istanti.
Gli vennero i brividi che non potè alleviare neanche con il calore proveniente dal camino del suo appartamento. Si volle distrarre, di certo non aveva alcuna intenzione di continuare a pensare a ciò che era accaduto. Prese un libro, uno dei tomi restituitegli dalla giovane Fiona e lo aprì. In ogni pagina vi era quel contorno nero pece che attirò lo sguardo e il tatto di Joseph. Ne sfiorò la superficie chiedendosi come era possibile; un inchiostro tanto inusuale inventato chissà in quale epoca lontana. «Non avrei dovuto coinvolgerti, dolce Fiona.» sospirò sconfitto dall'evidenza: aveva bisogno di aiuto, ma non uno qualsiasi, di un umano di cui potersi fidare. Chiuse il libro con un leggero tonfo e si alzò lasciando la sua abitazione.

Fiona si trovava a vagare per la sua stanza senza riuscire a prendere sonno. Era preoccupata per ciò che stava accadendo a Callaghan e la uccideva la sensazione di sentirsi inutile, aveva la tenacia di aiutare, ma come? Desiderava più di ogni altra cosa vedere Joseph felice, sorridente e non stanco e divorato dall'interno per una mostruosità che ripudiava. Si rimproverava di non aver chiesto cosa lo turbasse, ma di fatto non era sua coniuge. Non poteva intromettersi come un nonnulla nella vita altrui.
Fece un respiro profondo e si sedette in fondo al letto guardandosi le dita. La sua mente viaggiava velocemente da un pensiero all'altro senza lasciarle il tempo di metabolizzare. Per Fiona sarebbe stata una notte bianca come la luna, non sarebbe di certo riuscita a dormire con tutti quei pensieri, ma qualcosa di inaspettato per la giovane fanciulla accadde: qualcuno bussò alla sua porta.
«Fiona spero siate sveglia. Intravedo una fioca luce da sotto la porta, posso disturbarvi un istante?»
Quasi non ci credeva. L'uomo che alimentava le sue preoccupazioni, era lì dinnanzi alla sua porta ancora chiusa.
Fiona si alzò, si sistemò la veste lisciandola con le mani, portò con sé la candela accesa ed andò ad aprire a Joseph. «Cosa ci fate ancora sveglia?» chiese quest'ultimo con un tono di preoccupazione «Non fateci caso. Di cosa necessitate con tanta urgenza?»
«Più vi penso e più capisco che siete la persona adatta allo studio di questi libri.» mostrò i tomi alla giovane «Avrei voluto che foste libera da questo fardello, ma necessito dei vostri occhi umani per aiutarmi. Vi posso umilmente chiedere di leggere le loro note che ignoro, non per scelta?»
Fiona si sentì felice nel carpire dalle sue parole che si fidava di lei, un passo che l'avrebbe senz'altro aiutata nella lunga strada verso un'amicizia solida e duratura. Senza rifletterci più del dovuto acconsentì all'uomo. Quest'ultimo si fece sfuggire un sorriso sincero e pieno di gratitudine «Fiona siete la miglior persona di sempre. Vi ringrazio.»
Fiona non potè fare a meno di arrossire e per non farlo notare prese i libri dopo aver posato la candela sul mobile più vicino. «Quando...» tentò di chiedere con disinvoltura «Domani quando avrete del tempo per voi? Vorrei assolutamente condividere con voi un'informazione.»
Callaghan sorrise dolcemente «In mattinata non ho impegni, se avrete energie, sarete la benvenuta.»
«Avete ragione, sarà meglio dormire.» ridacchiò portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio segno di imbarazzo agli occhi di Joseph. «Vi prego di riposare. La mia gratitudine non ha eguali dunque vi ringrazio ancora per il vostro aiuto.» fece un inchino prendendo la mano della fanciulla e baciandole il dorso. Dopodiché se ne andò nel suo appartamento. Fiona attese che Joseph svanì dal suo campo visivo prima di chiudersi la porta dietro la schiena con i libri, da lui lasciati, stretti al petto.
Dopo essersi presa qualche istante, si convinse che era giunta l'ora di coricarsi.
Joseph, al contrario, non aveva la minima briciola di stanchezza o, anzi, era stanco ma i ricordi non gli davano tregua. La sua mente si fissò su un ricordo ben preciso: i banchetti. Odiava ammetterlo ma ci fu un tempo in cui fu costretto a parteciparvi.
I normali essere umani quando sentivano la parola "rinfresco" pensava a prelibatezze preparate dallo chef di qualche nazionalità estera in un qualche evento d'ineguagliabile importanza, ma a Joseph ricordava solo il disgusto.
«Sento che ne brami di più» ripeteva vincitore Claus «So quanto desideri il sangue.» continuava a ripetere mentre spingeva verso di lui una donna innocente, una donna che tra le braccia del giovane vampiro si tramutò in cibo irresistibile, una prelibatezza di prima qualità. Gli venivano i brividi al ricordo di quanto invero gli piacesse, assaggiare e bere con gusto tutto quel sangue. Deglutì ricordando quanto ne avesse bisogno e quanto ne volesse sempre più a ogni goccia.
Banchetto dopo banchetto, però, Callaghan si rese conto di quanto dolore stava infliggendo, quanta paura stava diffondendo, quanto controllo stava perdendo ed a poco a poco ecco che il suo odio per se stesso si insinuò nelle ossa e nell'animo.

Nicolay in piena notte si trovava ancora al locale della sua attività con la scusa di dover controllare alcune cose. Prese le chiavi della porta che conduceva alla cantina e vi entrò. «Nicolay, come procede tuo fratello?» chiese l'uomo nascosto nell'ombra. Il tono rauco e profondo provocò un forte senso di disagio nel giovane Callaghan. «Ha tentato di entrare qui, signore. Ma credo non l'abbia fatto.»
«Perché mai?» chiese alzando di un tono la voce.
«Perché gli ho ricordato il regolamento, signore.» Nicolay aveva paura, gli tremavano le mani e parlava con titubanza.
«Sapevi qual era il tuo compito e hai fallito!» si sentì un tonfo rimbombare per tutta la stanza rocciosa come se avesse tirato un pugno su una parete.
«Ho dovuto, avrebbe sospettato.» si difese il povero Callaghan sperando di riuscire a tornare a casa sua con le proprie gambe.
«Hai ragione, dopotutto non vogliamo che diventi nostro nemico. Escogita un piano per farlo scendere qui piccolo essere insignificante, dopo il morso che la mia stupida figlia ha gentilmente donato al nostro caro Joseph, non credo si fiderà più.»
«Certamente Claus.» rispose Nicolay congedandosi con un breve inchino prima di risalire fino alla porta e lasciare l'ansia e lo stress chiusi in quella cantina.

l'Inganno della MegeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora