Parte 2

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La strada era accidentata, e la ferita si faceva risentire ogni volta che le ruote prendevano un buco.

Ai lati della strada si innalzavano alberi e cespugli che mi circondavano per diversi chilometri.

Dopo tre ore di viaggio, finalmente, mi ritrovai davanti all'ormai familiare muro di pietra, scesi dalla moto e mi avvicinai per scostare i cespugli, riuscendo così a vedere il piccolo scanner di metallo.

Ci passai la mano sopra e una lucina blu percorse tutta la mia mano, dopo aver finito una voce robotica mi disse: - Ci hai messo un po' a tornare -

Mi sfuggì un sorriso nel sentirla.

-Si scusa Anna, ho avuto un piccolo contrattempo.-

-Si, come sempre - rispose lei - tua zia però mela sono dovuta sorbire io!-

Risi.

Anna era un intelligenza artificiale creata dai nostri scienziati, controllava tutta l'elettricità della città.

La parete si alzò , mi affrettai a salire sulla moto e a percorrere il tunnel. Dovetti sbattere le palpebre per il cambiamento di luce, anche se fuori era mattina fatta e c'era il sole, nel tunnel le luci erano accecanti, ed essendo interamente bianco, non aiutava la cosa.

Svoltando una curva, mi ritrovai nel garage, un enorme stanza di duecento metri per cento di cemento armato stracolma di macchine e moto di ogni genere, e soprattutto di attrezzi.

Con mia grande fortuna, trovai un po' di spazio per la moto. Mentre scendevo e mettevo il cavalletto la vista mi si appannò e dovetti reggermi al manubrio per non cadere.

Quando la vista tornò normale, abbassai lo sguardo sulla ferita e imprecai. Una macchia grande come un pallone da calcio si espandeva intorno alla ferita, e un rivolo di sangue aveva segnato il suo percorso fino ad arrivare al ginocchio. Potrei coprirla con la giacca oppure...

Ma non feci in tempo a formulare un'altra idea, che una voce mi chiamò.

Mi girai di scatto verso Sara che era ad una ventina di metri da me, seguita da un gruppo di uomini che non mi soffermai a riconoscere.

Merda.

Non era stata una buona idea girarmi perché mi fece barcollare non poco, e aggiungendo anche che, anche se da lontano, il contrasto del rosso con la mia maglietta bianca e i miei Levis chiari si notava non poco. Sperai con tutto il cuore che Sara non sene accorgesse, cercai di coprire la ferita con il giaccone ma.... - O mio dio!!- la vidi correre verso di me con il terrore negli occhi. Le gambe mi cedettero e caddi a terra, poggiai la mano destra per terra mentre la sinistra la posai delicatamente sulla ferita.

Alzando gli occhi vidi Sara, che ormai mi aveva quasi raggiunto, tese le braccia verso di me, come se temesse che potessi svenire da un momento all'altro.

Dietro di lei vidi delle figure sfocate che ci raggiungevano, neanche stavolta riuscì a focalizzarli, perché l'oscurità prese possesso dai miei occhi e crollai.

Mi svegliai con il bip dei macchinari medici a cui ero attacata.

Le tempie mi pulsavano da matti e dovetti stringere un po' le palpebre per la forte luce che entrava dalla finestra.

Mi avevano portato in una stanza del nostro ospedale, cioè un intero piano della nostra sede.

Abbassai lo sguardo sul mio braccio destro e sbiancai. Nell'incavo del braccio c'era conficcato un ago, più precisamente una flebo.

Quei bastardi! Lo sapevano che odiavo i fottuti aghi, però melo mettono ogni volta!

Feci dei respiri profondi, cercando di prepararmi psicologicamente all'estrazione dell'ago, ma prima che ci riuscissi, qualcuno entrò nella stanza, e già sapevo chi era.

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