01. Capitolo uno

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Deku's p.o.v

Da quanto non tornavo a casa? Quello fu il mio unico pensiero nel momento in cui varcai la soglia di quel bar, ignaro delle persone poco raccomandabili sedute ai tavoli. Non ricordavo il modo in cui ero arrivato in quel posto, ero consapevole solo di voler affogare tutti i miei pensieri nell'alcol e di provare un po' di quella sensazione afrodisiaca di cui mi aveva parlato mia madre. Tanto non avevo alcun posto in cui tornare o qualcuno a cui pensare, ormai c'ero solo io e nessun altro. L'unico per cui valeva veramente la pena di vivere ero io, anche se Katsuki probabilmente non sarebbe stato d'accordo con la mia affermazione.
Mi avvicinai al bancone, sedendomi su uno degli sgabelli in legno, cercando di mostrarmi deciso di fronte al barista. Fino a prova contraria ero minorenne e non avevo l'età giusta per bere. Per quel motivo, infatti, tentavo di nascondere la mia infantilità nella serietà e nell'arroganza.
«Una bottiglia di birra» misi i soldi sul bancone, guardando l'uomo dall'altra parte con freddezza. Sapevo quello che stava pensando, fin troppo bene, eppure non me ne importava minimamente. Avevo perso tutto, potevo concedermi il lusso di fare un po' quel che mi pareva, no?
«Non sei un po' troppo piccolo per bere?» chiese l'uomo, incrociando le braccia al petto e dimostrandomi che non aveva alcuna intenzione di acconsentire alla mia richiesta. Inclinai appena il viso di lato, cercando di fare appello a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare.
«Lo sono. Chi sei tu per dirmi cosa posso fare e cosa no?» mi morsi quasi subito la lingua, ero stato fin troppo arrogante.
«Uno che vuole continuare a lavorare. Ora esci fuori di qui, moccioso» il suo sguardo mi lacerò il petto, era come se fosse una minaccia velata. Non vi era un'alternativa all'andarmene da lì, nonostante non avessi alcun posto in cui tornare.
«Ti ho chiesto solo una birra. Se me la darai me ne andrò e non mi farò più rivedere» replicai, allungando di nuovo le monete sperando di poterlo convincere con quello. Sentii una mano stringermi il polso, facendomi voltare immediatamente, giusto il tempo per evitare uno schiaffo da parte di uno dei clienti ubriachi che erano seduti ai tavoli. Provai una scossa di adrenalina lungo la spina dorsale, facendomi capire che probabilmente sarei finito alle mani. Scoppiai a ridere, alzando le mani in segno di resa e facendo così lasciare la presa al vecchio omaccione. Mi alzai dallo sgabello, appoggiandomi a quello con entrambi i gomiti, facendo passare lo sguardo dal barista all'uomo di fronte a me un paio di volte.
«Hai chiamato i rinforzi vecchio - ridacchiai - non pensavo ti servisse una mano per buttare fuori un ragazzino di quattordici anni. È proprio vero quello che si dice: tutto fumo e niente arrosto» la situazione era esilarante e io non riuscivo a rimanere serio di fronte a una scena tanto pietosa. Vidi con la coda dell'occhio lo sguardo del barista incupirsi e il suo corpo agire senza pensare alle proprie azioni. Avevo toccato il tasto giusto, ora non potevo più tirarmi indietro.
Lo vidi saltare il bancone con agilità, ponendosi poi di fronte a me con uno sguardo pieno di astio. Un brivido mi attraversò la schiena, facendomi provare un'emozione per me anormale: l'eccitazione. Era la prima volta dopo molto tempo che non vedevo l'ora di fare qualcosa, che mi sentivo così euforico.
Fu un attimo, il corpo del vecchio cominciò ad emanare un'aura di luce grigia, facendo tremare il bancone del bar e con quello anche i tavoli accanto all'entrata. Aprii la bocca, cercando di mantenere un'aria disinteressata, iniziando ad annotare mentalmente le caratteristiche della sua unicità. Si sentì un gran baccano mentre attorno al braccio del vecchio cominciarono ad attaccarsi un sacco di cianfrusaglie di ferro. Una calamita umana? Interessante.
«Hai davvero bisogno di usare il tuo quirk contro di me? Pensavo fossi un tipo sveglio» lo provocai nuovamente, sentendo la stessa euforia di poco prima riscaldarmi il petto. Ne volevo di più, mi volevo sentire vivo ancora per un po'. Era la mia unica consolazione, nonostante la scelta di inimicarmi un bar intero non fosse la migliore della mia vita. Non ero più capace di utilizzare il mio raziocinio, troppo offuscato da quello che avevo dovuto sopportare nell'ultimo periodo, e al suo posto era insorto l'istinto. Era quello a muovermi, come una pedina, e io non avevo alcun controllo su quello che facevo.
L'unica cosa su cui riuscivo a riflettere lucidamente, in quella situazione, era la mia prossima mossa. Come volevo proseguire la lotta? Le mie opzioni non erano molte, potevo decidere di attaccare oppure di arretrare. Forse scappare sarebbe stata la risposta migliore eppure non ero più il bambino di una volta e io avevo bisogno di provare nuovamente quel senso di eccitazione che avevo provato poco prima. Cominciai così a pensare a un modo per contrastare quella calamita umana, cercando di ricordare gli appunti che avevo preso durante l'ora di scienze. C'erano tre modi, ne ero consapevole, eppure l'unico che mi veniva in mente era quello più stupido: riscaldandolo. Con il calore si poteva smagnetizzare una calamita eppure la temperatura da raggiungere era fin troppo alta e io non ero in grado di creare un fuoco simile. Forse Katsuki...scossi la testa, cercando di concentrarmi e decidendo di utilizzare la prima cosa che mi capitava a tiro per liberarmi di lui. Strinsi le mani intorno alle gambe dello sgabello, sapendo di dover essere abbastanza rapido e dover scattare il più velocemente possibile. Lanciai un breve sguardo alla porta che dava sul retro, in modo da accertarmi della sua posizione, tornando poi al mio nemico.
«Non credevo potessero esistere degli idioti come te in questo mondo, eppure mi son sbagliato» ridacchiai, facendo così scattare il mio opponente senza dargli realmente il tempo di pensare alla sua prima mossa. Era l'istinto, ferire colui che ferisce il proprio onore. Una regola implicita che quasi tutti rispettavano e che creava quindi un punto di debolezza, solo coloro realmente allenati sapevano che le provocazioni altrui erano da ignorare. Soprattutto in battaglia.
Alzai così lo sgabello, puntando entrambi i piedi a terra, facendoglielo poco dopo cadere in testa con tutta la forza che avevo in corpo. Approfittai così del momento di svantaggio del mio avversario per saltare dall'altra parte del bancone, stupendomi di esserci riuscito nonostante il poco allenamento, rubare una delle birre dal frigo e scappare poi verso la porta sul retro. Ero abbastanza sveglio da sapere che non mi avrebbero lasciato fuggire tanto facilmente e che mi avrebbero inseguito anche al di fuori del locale. Quei momenti infatti erano decisivi, dovevo trovare un posto abbastanza appartato da potermi nascondere alla loro vista e che al contempo mi fornisse un rifugio dal freddo della notte.
Strinsi così tra le mani il mio piccolo bottino, sbattendo la porta alle mie spalle con forza e cominciando a correre fra i vicoli stretti della periferia. Un intreccio di vie e strade sterrate percorse da non più di cinquanta persone al giorno, un luogo poco conosciuto e spesso ignorato, per quel motivo era diventato un rifugio per i villain. Trovavo curioso osservare le loro attività dall'alto, sopra uno dei tanti tetti o scale di servizio, e cercare di indovinare quale fosse la loro missione o i loro sentimenti. Non erano certo macchine, ne ero consapevole, e per quello spesso mi chiedevo se le loro emozioni fossero positive o negative. Gli piaceva davvero quel lavoro? Forse interrompere il corso della "giustizia" poteva essere un passatempo divertente, dovevo scoprirlo a tutti i costi. Prima o poi.
Conoscevo quelle vie come le mie tasche, era da un paio di giorni che bazzicavo quella zona e per non perdermi avevo cercare di costruirmi una mappa mentale dell'area. Sapevo che vi era un altro bar a non molti metri di distanza, un panettiere all'angolo della strada e la fermata del bus poco più avanti. Non vi erano posti sicuri in cui nascondersi, nonostante i tetti spesso fornissero un riparo da occhi indiscreti, e per quel motivo decisi di optare per l'unico luogo che conoscevo. Un paio di anni prima avevano cominciato a costruire una palazzina ma per colpa del proprietario del terreno la costruzione era rimasta incompiuta e inagibile al pubblico. Uno spreco di denaro sicuramente ma poteva essere una buona soluzione per me.
Cominciai così a correre nella direzione di quel luogo sentendo le urla di quegli uomini dietro di me ma sapendo di poterli seminare in qualche modo. Scartai così a destra, scegliendo volontariamente di allungare il tratto di strada, cominciando a salire poco dopo delle scale di servizio. Dovevo muovermi con cautela, non potevo fare sapere a quelli lì che ero sopra di loro e dovevo fare in fretta a salire sul tetto per non essere alla loro portata.
Feci appena in tempo, lasciandomi cadere a terra e approfittandone per riprendere fiato. Le urla degli ubriaconi erano ancora vivide, facendomi capire che si trovavano nei paraggi, e per questo motivo mi affacciai dal cornicione per capire quanta distanza c'era fra me e loro. Accanto al mio corpo esausto la bottiglia di birra che avevo rubato poco prima, un degno bottino.
«Che cosa stai guardando?» chiese una voce poco lontana, talmente leggera da farmi credere di avere un'allucinazione.
«Degli imbecilli che stanno provando a cercarmi, inutilmente oserei aggiungere» mi pavoneggiai, credendo di star parlando con la mia coscienza o con un qualcosa di simile.
«Perché ti stanno cercando?» la voce si fece un po' più forte, facendomi rabbrividire. Forse non me la stavo immaginando, che ci fosse qualcuno sul tetto insieme a me?
«Ho rubato...» cominciai bloccandomi poco dopo alla vista di un ragazzo poco più grande di me fermo a qualche metro di distanza. Mi portai una mano alla bocca per non urlare, in modo da non attirare l'attenzione di orecchie indiscrete, sbattendo le palpebre un paio di volte. Era una persona in carne ed ossa, nonostante fosse molto pallido e avesse delle bruciature sparse per tutto il corpo.
Una sola domanda sorse nella mia mente, facendomi aggrottare la fronte, chi diavolo era questo qui?!

~ Val 🍃

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