08. Capitolo otto

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Arrivammo al locale nel giro di cinque minuti e nonostante non fossimo ancora entrati si riuscivano ad udire delle grida provenire dal suo interno. Ringraziai il fatto di essere nella periferia della città e che il luogo era per lo più frequentato da criminali o ragazzini che cercavano un po' di svago. Non era una zona fatta per le famiglie, non di notte almeno. L'insegna luminosa 'Oust' rischiarò l'aria per qualche istante, permettendomi di vedere un buttafuori grande e grosso proteggere l'entrata della discoteca. Non sembrava star facendo molto bene il suo lavoro dato quello che stava accadendo, non quando le urla si riuscivano a sentire a così grade distanza. Lo osservai, vedendolo tranquillamente appoggiato al muro con il cellulare stretto fra le mani, sentendo il sangue ribollirmi dalla rabbia. Ci avvicinammo all'entrata senza nemmeno essere notati da quell'omone, costringendomi a stringere i denti per non saltargli addosso e ammazzarlo. Le mani mi prudevano dall'ira e il respiro era cominciato a farsi più irregolare, sentendo il cuore battere all'impazzata nel mio petto. 
«Se è questo il modo in cui lavori di solito allora non mi sorprendo di essere stato chiamato per sedare una rissa - squarciai il silenzio, ottenendo fin da subito l'attenzione del buttafuori. Il telefono prontamente nascosto dietro di lui, inutilmente oserei aggiungere dato che ormai tutti e tre lo avevamo notato. Ci avvicinammo a lui, intento a farfugliare parole di scuse e cose insensate, decidendo tacitamente che di questa questione ce ne saremmo occupati dopo - Perché non sparisci ora?» lo guardai allontanarsi velocemente dall'edificio, come se avesse appena visto un fantasma. Ero abbastanza convinto che ad averlo fatto spaventare erano stati i miei due compagni di risse e che se fossi stato solo molto probabilmente si sarebbe divertito a picchiarmi un po'. Sospirai scuotendo appena il capo, facendo per avanzare all'interno del locale ma venendo prontamente fermato dalla mano di Dabi. Mi voltai a guardarlo interrogativo, non riuscendo a capire il motivo del suo gesto e perché fosse la seconda volta che mi agguantava in modo simile nel giro di mezza giornata, scoprendolo ad osservare la pistola che tenevo nella cintura. 
«La sai usare quella?» indicò l'arma, per poi lanciare uno sguardo nella mia direzione. Non sembrava ancora molto convinto del mio spirito d'iniziativa e dei miei gesti adrenalinici; effettivamente potevo dargli ragione, nel giro di mezza giornata mi ero macchiato di almeno tre crimini: omicidio, occultamento di prove e occultamento di cadavere. Adesso volevo spingermi al punto di sedare una rivolta con degli heroes dalle mani lunghe e dalle flebili capacità intellettuali; per essere il primo giorno di lavoro dovevo ammettere di aver superato me stesso.
«No - accennai un sorriso, sentendomi tutto ad un tratto un po' più spavaldo e conscio delle mie abilità - però una volta ho visto un tutorial su YouTube su come montare una pistola ad acqua, credo che andrò alla grande» sentii la risata della biondina raggiungere le mie orecchie mentre un'espressione ben più sconvolta era impressa sul viso di Dabi. Ero abbastanza convinto di potermela cavare, forse. Se non fossi stato in grado di sparare allora avrei usato la pistola come una sbarra di ferro, l'avrei utilizzata per fare perdere i sensi a qualcuno o incutere timore. Non a tutti poteva piacere essere nel mirino di un Villain, soprattutto quando la canna della pistola era puntata contro di loro.
«Izuku si farà ammazzare» canticchiò Toga, facendomi scrollare appena la testa. Non ero del tutto convinto di quale dovesse essere la mia reazione a quelle parole ma nel giro di un paio di ore avevo capito una cosa di quella ragazza: non era del tutto sana. Per quella ragione l'unica cosa che riuscii a fare fu accennare un lieve sorriso, facendo un passo in direzione dell'entrata senza guardarmi indietro nemmeno una volta. 

Quando fui dentro riuscii a dedurre fin da subito la dinamica degli eventi, non serviva un cieco per capire che l'unica ragione che aveva spinto i nostri collaboratori ad attaccare era la follia degli heroes. In un angolo appartato, lontana dalla rissa, vi era una ragazza dal viso delicato e dal corpo tonico stretta fra le braccia di una donna che aveva tutta l'aria di essere una delle bariste della discoteca. Il suo volto era rigato dalle lacrime mentre si faceva piccolina con la vivida intenzione di scomparire, le sue mani tremavano appena e nonostante l'unica luce presente all'interno del locale nascondesse per la maggior parte la visuale riuscii ad intravedere i vestiti di quella cameriera: logori, sfatti, disordinati. Era ovvio che qualcuno avesse provato a toccarla, non lo dicevo solo per la storia che aveva raccontato l'uomo venuto nel nostro bar, e questo doveva aver attirato subito l'attenzione di molti all'interno della discoteca. Per quella ragione non mi meravigliai quando, spostando la mia attenzione su quelli che venivano denominati eroi, notai la rabbia da parte dei villain e un atteggiamento di arroganza da parte dei loro avversari. Fra di loro spiccava per altezza un heroes il cui quirk doveva avere a che fare con l'elasticità in quanto riusciva ad allungare i suoi arti a dismisura, dandogli così la possibilità di attaccare da lontano e non essere quindi scalfito. Utilizzava le sue braccia anche come funi, sfruttandole per intralciare i suoi avversari e così portare la battaglia a suo vantaggio. I suoi compagni lo utilizzavano come difesa, approfittando del momento di panico dei villain per sferzare i loro attacchi e prendersi la vittoria. Il loro scopo era evidente: cancellare le prove e così ogni traccia del loro passaggio all'Oust. Non potevo in alcun modo permetterglielo, non quando vedevo la vittima delle loro azioni ridotta in quello stato. Quello che mi colpì di più di quella situazione, però, fu il sangue versato e il corpo di un uomo nascosto da una tovaglia di colore bianco. 
Vedere nuovamente la morte a pochi passi da me fu sufficiente per risvegliarmi dai miei pensieri e decidere di dover agire subito, non potevo permettere di perdere ulteriori uomini e compiacere così la mia vecchia amica. Non volevo che la conseguenza per aver scelto di aiutare quella ragazza fosse l'eterna oscurità, non quando potevo in qualche modo cambiare le cose. I miei compagni avevano tacitamente deciso di lasciare a me le redini, scegliendo di intervenire per attaccare quei mostri o per proteggermi nel caso in cui la mia scelta di utilizzare una pistola si fosse rivelata fatale. Pertanto mi convinsi finalmente ad entrare in azione, sfruttando un gong orientale posizionato poco lontano per attirare la loro attenzione. Dovevo prendere tempo mentre ideavo un vero e proprio piano d'azione, non potevo abbandonarmi al caso, e per quella ragione dovevo sfruttare ogni mia capacità per distrarre quegli imbecilli. Quando i villain, o comunque i miei nuovi compagni, ci videro si ritrovarono a tirare un sospiro di sollievo; quelli che per me erano Dabi e Toga per altri erano i simboli della malavita, se persone come loro si erano prese la briga di venire in un posto simile allora significava che erano pronti a tutto pur di proteggere i loro sottoposti. La mia identità ai loro occhi passava in secondo piano, nessuno sapeva il mio nome e nemmeno si chiedevano quale fosse il mio ruolo all'interno di quel trio, a loro bastava che ci fossero Dabi e Toga. 
«Sapete - cominciai, avanzando poi verso gli heroes sentendo dei brividi scorrermi lungo la schiena - sono proprio incazzato. Ho passato una giornata infernale, ho girovagato come un idiota per la maggior parte del tempo, e non ho ancora messo sotto ai denti niente. Quindi potrete capire la mia rabbia quando un uomo si è presentato a me per raccontarmi che quattro imbecilli di eroi hanno deciso di far scoppiare un rissa in una discoteca solo perché avevano voglia di inzuppare il loro misero uccello in qualcosa che non gli appartiene» conclusi la mia premessa, decidendo tacitamente che il mio primo obiettivo sarebbe stato il ragazzo con il quirk elastico. Dovevo farlo fuori il più velocemente possibile, in modo tale da eliminare le difese di quei tipi, ero però perfettamente consapevole di non poter attaccare a distanza ravvicinata ma solo ed esclusivamente da lontano. Un confronto faccia a faccia sarebbe potuto essere fatale per me, soprattutto con il mio poco allenamento e la mia scarsa abitudine ad utilizzare le armi da fuoco. Ad ogni modo, però, sapevo di doverci provare. Ripassai quindi mentalmente quello che avevo letto poco tempo prima, quando ancora vivevo con mia madre, riguardante il modo di tenere una pistola. Ero consapevole di non avere del tempo per utilizzare ambe le mani e che quindi la mia unica possibilità sarebbe stata la presa ad una mano sola. Ricordavo la sequenza per una corretta impugnatura: medio, anulare e mignolo attorno all'impugnatura, il pollice sopra di essa e l'indice sul grilletto. Sapevo di dover stare attento alla forza che esercitavo con le prime tre dita, la giusta pressione si raggiungeva nel momento in cui la mano cominciava a tremare un po' e solo a quel punto dovevo parzialmente rilassare le dita in modo tale che il tremito cessasse.  L'unico, o meglio, il problema principale di una presa simile riguardava l'instabilità che poteva per me essere effettivamente fatale. Non avevo mai sparato prima di quel momento, non potevo certo essere sicuro al cento per cento di riuscire a centrare il mio obiettivo ma provarci ovviamente non costava nulla. 
«Chi è quello? - chiese uno fra gli heroes - Un ragazzino? Cos'è? Adesso vi fate proteggere dai bambini?» la mia razionalità mi diceva di fare in fretta ad ideare un piano mentre il mio impulso mi spingeva ad entrare finalmente in azione. Per una volta decisi di dare retta al mio istinto, accantonando la razionalità così come il dolore alla caviglia in un angolo della mia mente. Approfittai così del momento di distrazione dei miei avversari per recuperare la pistola dalla mia cintura, cominciando a sudare freddo. Dovevo agire in fretta e con precisione. L'adrenalina scorreva nelle mie vene e mi dava quella sensazione paradisiaca che io tanto amavo; una sensazione che mi mandava in estasi e che mi spingeva a muovermi velocemente. 

Il gelido sospiro della morte mi accarezzò i capelli mentre tutto intorno a me parve fermarsi. Il tempo cominciò a scorrere lentamente, tutti sembravano muoversi a rallentatore, tranne il mio cuore che martellava nel mio petto con sempre più prepotenza. Il mio respiro divenne irregolare mentre la mia mano destra andò a stringere l'impugnatura della pistola, un'arma tanto potente quanto pericolosa. Quello che stavo per fare, quello che stavo per compiere, non era altro che una conseguenza delle loro azioni e il mio compito era quello di cessare la loro esistenza; di portare delle altre anime al cospetto della mia vecchia amica. Il freddo metallico della pistola mi fece gelare il sangue mentre la portavo davanti a me con l'unico obiettivo di sparare al mio obiettivo. Il pollice sulla sicura, pronto a toglierla velocemente, l'indice sul grilletto, il medio e l'anulare stretti attorno all'impugnatura. I miei polmoni cominciarono a bruciare, sentendo la necessità di inalare più aria del dovuto, mentre un profondo senso di calore si fece spazio all'interno della mia pancia. La morte mi indicava la strada, mi sussurrava i gesti da percorrere per condurre a lei altre prede, e mi lodava per quello che stavo per compiere. Io il suo servo, il suo braccio in un mondo peccaminoso come quello, con un solo obiettivo: uccidere. Ammazzare coloro che facevano del male, coloro che facevano nascere delle delusioni. 
Feci un respiro profondo, il tempo ancora fermo, il mio cuore che ancora batteva all'impazzata nel mio petto. Tolsi la sicura, sentendo un gelido 'click'; osservai per l'ultima volta la mia vittima. L'indice cominciò a fare pressione sul grilletto e nel giro di pochi secondi l'unica cosa che fui in grado di sentire fu il suono di uno sparo.

È un capitolo un po' più lungo ma spero possa piacervi ugualmente.
~ Val 🍃

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