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Inizio Settembre - Fine delle Vacanze

Chrissy aveva quasi finito di riempire la valigia. Mancavano giusto le cose che doveva utilizzare quegli ultimi due giorni a Hawkins: un pigiama leggero, lo spazzolino e poco altro. Non si sentiva ancora pronta a lasciare la città; quella era stata a mani basse l'estate più piacevole di sempre, in gran parte grazie a Eddie, quel ragazzo dalle mille sorprese che si era insinuato piano piano nella sua vita, ricordandole cosa significasse essere sé stessi. Si era detta che i mesi che la separavano dalle vacanze di Natale sarebbero trascorsi in fretta - oppure che Eddie sarebbe venuto a trovarla col suo van, guidando «con molta prudenza».
Coma faceva sempre due giorni di ripartire, Chrissy si stava preparando per andare a dormire a casa del ragazzo. Ormai era una delle loro numerose tradizioni.
"Tesoro, dove vai, che sei vestita così?" La voce di Laura ruppe il silenzio del salottino.
Phillip chiuse il romanzo giallo che stava leggendo, e usò l'indice come segnalibro. Quella poteva essere l'occasione ideale per difendere sua figlia dopo averla lasciata per anni alle grinfie di sua moglie.
Chrissy si voltò e sbatté le palpebre. "Vado da Eddie fra qualche ora. A dormire. Torno domattina." Cercò di far uscire quelle frasi in modo più naturale possibile, ma poi si schiarì la gola.
La donna corrugò la fronte, e squadrò la figlia dalla testa ai piedi. "Non capisco perché dovresti andare a dormire a casa sua. Potresti dare fastidio."
"Beh, mi ha invitato lui. Non posso dare fastidio se mi invita qualcun altro, no?"
Laura sospirò, seccata. "Il fatto è che... n-non mi sembra neanche molto... decoroso."
Chrissy sbuffò una risata. "Decoroso. Siamo nel 1987, mamma."
"Non rispondermi con questo tono."
La ragazza sollevò le mani roteando gli occhi, e riprese a occuparsi della valigia, seduta sul tappeto.
"Beh, cara, ha ragione... non siamo più negli anni cinquanta. I nostri tempi erano ben diversi." mormorò Phillip.
Laura lo fissò con aria infastidita ma non rispose, e l'uomo si strinse nelle spalle, pronunciando un piccolo «Eh...» e tornò a leggere col suo solito fare mansueto. Il salotto era sempre stata la sua stanza preferita - il suo habitat naturale, come lo chiamava Benjamin - e Chrissy era tornata a frequentarla da quando lei e suo padre avevano ripreso a comunicare. Naturalmente, a Laura non era sfuggito quel cambiamento, e si chiedeva cosa stessero tramando.
"Comunque... non abbiamo fatto in tempo, mi sa, sai... lui e la sua famiglia devono ancora tornare dal soggiorno in Francia... ma alle prossime vacanze ti presento il figlio dei Bennett." esordì la donna.
Chrissy inspirò lungamente, e poi buttò tutta l'aria in un colpo. "Perché?" chiese, quasi in una sola emissione di fiato.
"Beh, è un bel ragazzo, è beneducato, di buona famiglia, e ha due lauree, pensa. Potreste-"
"Mamma. Mi sembrava fosse molto chiaro."
"Che cosa?"
La ragazza esitò. Fissò il padre, poi strinse i pugni. "Che io... non sono single. Eddie è il mio ragazzo. Ed è una storia serissima."
Laura sbiancò, e per un istante parve molto più vecchia di quel che realmente era. "Il... che!?"
"Dai, mamma. Non... non dirmi che non te l'aspettavi nemmeno un po'. Sono sempre con lui. Hai visto in giro per casa tutti i regali che mi fa. E quelli che gli faccio io..."
"Tesoro, ce l'ha anche presentato a cena. Non l'ha detto apertamente per pudore magari, ma... era evidente, non trovi?" Il signor Cunningham strinse le labbra.
"Christine Elizabeth... tu devi essere proprio uscita di testa. Ma mi dai ascolto quando ti parlo?!" urlò Laura con un atteggiamento tanto minaccioso da far intimorire la ragazza, che indietreggiò sul pavimento.
"Cara... non farne una tragedia... è sol-"
"Oh, sì che è una tragedia, tua figlia è fidanzata col figlio di un omicida, Phillip! Col figlio. Di un. Omicida." Quella parola risuonò come un tuono. La donna si voltò verso Chrissy. "Tu non esci di casa oggi. L'unico motivo per cui uscirai sarà tornare al college, domani pomeriggio."
Gli occhi di Chrissy si fecero rossi di furia, e il suo corpo venne pervaso da un tremito mentre si alzava in piedi. "Io esco eccome. Sono maggiorenne da un pezzo. E non ti sembra di aver già fatto abbastanza? Di avermi già rubato l'adolescenza con la tua maledetta ossessione per il cibo e le calorie e il peso e i grammi del cazzo, e l'apparenza, e tutto il resto?! Mi chiedi se ti ascolto quando mi parli, ma... s-sei tu che non mi hai mai ascoltata! Non senti nemmeno i miei conati di vomito quando sto di nuovo male... non senti i miei pianti... Non mi ascolti quando ti dico in faccia che mi fai stare malissimo. E non hai ascoltato nemmeno la mia terapista. Ascolti solo la tua testa che decide cosa è okay e cosa no... E ora vuoi anche che io mi separi da una persona meravigliosa come Eddie, una persona che mi ha insegnato a farmi valere e a volermi bene davvero. Dici sempre di volere «il meglio per me», ma mi sa che proprio non capisci qual è «il meglio per m-"
Non riuscì nemmeno a finire la frase, che una sberla improvvisa e violenta di Laura la fece quasi cadere a terra.
"Hey, hey, hey! Ma sei impazzita!?" gridò Phillip, e si alzò di scatto, mettendosi fra la figlia e la moglie. "Chrissy, tutto okay?"
La giovane annuì e si tenne la guancia col palmo. Ebbe l'impulso di mettersi a singhiozzare convulsamente, non per quello che aveva fatto sua madre, ma perché il padre la stava difendendo davvero per la prima volta in vita sua.
La signora Cunningham fissò entrambi, il viso paonazzo. "Non so cosa abbia inculcato pure a te, so solo che da quando frequenta quell'essere è diventata una sgualdrina." sibilò. Girò i tacchi e scese giù per le scale di corsa. Chrissy aveva l'impressione di non sentirsi più la guancia. Calò un silenzio tombale nel salotto, finché il grosso pendolo non segnò le quattro del pomeriggio e iniziò a suonare.
"Ho... bisogno di stare... da sola." sussurrò la ragazza al padre, il quale si era rimesso sul divano con le mani che coprivano il volto.
Chrissy afferrò la sua roba ed entrò nella sua stanza, sbattendo nervosamente la porta. Rimase seduta sul letto per un po', cercando di calmarsi. Aveva ancora il battito accelerato, gli occhi pieni di lacrime e metà viso che formicolava. Trascorse un'ora in quel modo, immobile, ad attizzare l'orecchio per captare tutti i rumori della casa come se avesse voluto memorizzarli per l'ultima volta prima di una fuga matta. Ascoltò di nuovo il pendolo alle cinque, poi la madre brontolare qualcosa dal piano di sotto, poi l'acqua della doccia, poi suo padre che usciva per fare la spesa.
Quasi subito dopo, sentì la chiave girare nella toppa. Ci mise un paio di secondi a capire cosa stesse accadendo, e spalancò gli occhi. "No. Non l'hai fatto sul serio." ringhiò. Non arrivò nessuna risposta dall'altra parte della porta. Chrissy schizzò giù dal letto, improvvisamente risvegliata da quella sorta di stato vegetativo. Abbassò invano la maniglia, poi diede un colpo alla porta. "Apri la porta!" urlò talmente forte da raschiarsi appena la gola.
"Mi ringrazierai, un giorno."
"Ma vaffanculo."
Presa da uno scatto di rabbia, e resasi conto di non avere nemmeno un telefono in stanza per chiamare la polizia, Chrissy fu a un passo dal martellare di colpi la porta, ma si fermò in tempo e sentì le scherzose parole di Esther risuonarle in testa: «Puoi calarti giù con le lenzuola annodate!» Quanto si sentiva folle in quel momento? Sì, probabilmente era folle, ma era l'unico modo per ribellarsi. Inoltre, Eddie sarebbe passato a prenderla fra non molto, e non voleva che sua madre gli raccontasse chissà che bugie sul suo conto: sapeva che ne sarebbe stata capace.
Aprì le ante del balcone, poi guardò il retro del giardino. L'idea di scendere con delle lenzuola annodate non era esattamente allettante, nonostante la sua cameretta fosse solo al primo piano, ma lei per fortuna non aveva mai sofferto di vertigini: aveva praticato diversi sport che non le permettevano decisamente di soffrirne. Ma sì, si poteva fare.
Raccolse tutte le lenzuola che possedeva e fece dei nodi robusti, con la stessa adrenalina di quando aveva spruzzato la coca cola in faccia a Jason. Prese lo zainetto che conteneva lo stretto necessario per quella notte, i suoi soldi e un paio di oggetti preziosi, e legò la catena di lenzuola sulla ringhiera. Controllò sotto, tanto per assicurarsi che non ci fosse sua madre affacciata alle finestre, e poi gettò il resto della catena sotto.
«Perfetto.» pensò, constatando che quasi toccava terra. Si arrampicò sulla ringhiera, e si calò giù, nodo dopo nodo.
"Chrissy?"
La ragazza spalancò gli occhi.
"Chrissy?"
Si tenne saldamente sul lenzuolo con i palmi umidi di sudore, e continuò a scendere.
"Chrissy!?!"
Toccò terra, ritrovandosi sul retro del giardino. Si attaccò al muro più possibile, per non farsi vedere. Esattamente in quel momento, si sentì un urlo stridulo di Laura. Doveva aver aperto la porta della sua stanza.
"Cazzo..." disse la ragazza fra i denti. Chrissy cercò freneticamente la chiave, che per poco non le scivolò di mano, e aprì il cancello. Lo richiuse di botto, slanciandosi in una corsa matta e pensando fra sé e sé che una tale disperazione avrebbe potuto renderla anche più veloce dell'auto di sua madre. Dopo circa cinque o sei isolati, si infilò in una libreria, con le labbra che tremavano.
Il libraio, un uomo barbuto dall'aspetto amichevole, notò subito il suo viso stralunato e il fiatone. "Va tutto bene?"
La giovane si avvicinò al bancone. "I-io... ho bisogno di fare una telefonata. Per favore."
L'uomo la fissò. "Ma certo. Ecco a te." Le mostrò il telefono, pieno di premura.
"Grazie mille." Chrissy compose il numero di Eddie, sbagliando la prima volta. Dopo tre squilli, sentì la voce del ragazzo e tirò un sospiro di sollievo. Grazie al cielo era ancora a casa.
"Pronto?"
"Eddie! Eddie... sono io..."
"Chris...? Cosa è successo?"
"...vienimi a prendere alla libreria in fondo alla mia via, quella al numero 125, non davanti a casa mia, okay? Dopo ti spiego bene."
"125 hai detto, giusto?"
"Sì..."
"Okay. Arrivo in un lampo."

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