«Che palle.» Safira si alzò dal letto dopo essersi rigirata tra le coperte per più di tre ore. Poi aveva provato a leggere, ma gli occhi le si incrociavano da soli. Alla fine scese direttamente al bar, e accese le luci indispensabili in cucina. Mise un po' di musica e guardò l'orologio. Le quattro del mattino.
Si legò i capelli e sistemò la temperatura dei forni, iniziò a cucinare.
Safira non riusciva mai a dormire. Mai. Forse per due o tre ore, ma poi finiva col restare insonne per tutta la notte. E sola. Ogni qualvolta era terribilmente sola. Nessuno che conosceva era sveglio in quelle tarde ore, così si metteva ad infornare e preparare il negozio per la mattinata che sarebbe arrivata lentamente.
Continuò a canticchiare sottovoce, rischiò anche di bruciarsi qualche volta, e poi le orecchie le si tesero non appena sentì qualcuno bussare alla vetrina.
Era possibile fosse qualche turista. Essendo che le luci dentro erano accese magari pensava che anche il negozio fosse aperto.
Afferrò un canovaccio per asciugarsi le mani, e più si avvicinava alla vetrina, più inquadrava i tratti duri e definiti del viso di Aaron. Aaron maledetto They. «Oddio, ma questo è un tormento» aprì con due giri di chiave la porta, e non si mosse da lì. «Che vuoi?»
«Che stai facendo?» Safira rimase a guardarlo impalata.
«Tu che stai facendo?»
«Ho staccato da lavoro, vado a casa» non le interessava. «Ho visto le luci accese, sono le quattro del mattino.»
«Lo so.» Aaron sbuffò leggermente.
«La smetti di fare la stronza?» Sbottò all'improvviso. Il canovaccio le cadde a terra a quelle parole.
«Come scusa?» La sorpassò. Safira aveva la bocca aperta, era shoccata.
«Smetti di fare la stronza. Ogni cosa che dico, ogni volta che provo a parlarti tu fai la stronza.»
«They, vattene.»
«No» poggiò su un tavolino la valigetta che aveva tra le mani. «Senti, so di non essere la tua persona preferita. Ma non ci vediamo da ventiquattro anni Safira. Ventiquattro anni. Sai quanto tempo è?»
«Non abbastanza.» Incrociò le braccia al petto. Era sulla difensiva.
«L'ultima volta che ci siamo visti eravamo in terza elementare, avevi nove anni e tu...»
«E tu pensi di poter anche solo vantare pretese su di me?» Urlò. Aaron irrigidì la mandibola. «Avevo nove anni e tu mi avevi spinta giù dalle scale! E io sono rimasta in ospedale, per quattro mesi» socchiuse gli occhi. «In coma.»
Aaron boccheggiò. Aprì la bocca, poi la chiuse. «So che mi odi. Credimi, lo so bene. Me lo ricordo ogni volta che mi guardi schifata ed infastidita. Ma fingi» Safira aggrottò le sopracciglia. «Devi fingere, e devi fingere bene. Fingi che questa cosa tra noi sia la più vera che tu abbia mai affrontato.»
«Io fingo.»
«Fingi anche con me. Convinci me, non mio nonno» fece un passo in direzione di Safira. «Convinciti da sola.» Da sola. Come potevano far credere a qualcuno della loro relazione se neppure loro erano i primi a crederci?
«Come faccio?» Si strinse nelle spalle. «Come facciamo?»
«Abbiamo una relazione, faremo ciò che si fa in una relazione.»
«E...» il labbro le tremò. «Io... non so cosa si fa in una relazione.» Abbassò lo sguardo. Forse, se ricordava bene, l'ultima relazione che aveva avuto risaliva ai vent'anni.
«Io ti aiuterò. Ti aiuterò, Safira, ma devi per un po' di tempo celare il tuo odio nei miei confronti dietro una bugia. Pensi di riuscirci?»
Safira ruotò gli occhi al cielo e sbuffò, si avvicinò ad un divano e di peso ci si sdraiò sopra, coprendosi il viso col braccio.
Poteva?
Poteva convivere con Aaron? Parlarci? Uscirci? Poteva mettere da parte l'orgoglio e riuscire a sopportarlo? Poteva? Poteva? Poteva?
«Io non dormo. Non riesco a dormire. Cioè, ci riesco per due o tre ore ma poi mi sveglio e non riesco più ad addormentarmi, anche se sono stanca morta» sbadigliò alle sue stesse parole. «Ecco perché sono sveglia alle quattro del mattino.» Il timer nella cucina iniziò a suonare. Si alzò dal divano, Aaron la seguì fino al forno e si poggiò col fianco al bancone.
«Posso aiutarti, se vuoi.»
«No» scosse la testa, il profumo dei cornetti caldi le invase le narici. «Ho provato di tutto. Yoga; meditazione; la lavanda; la melatonina e la valeriana; integratori; gocce. Ogni cosa» strappò un pezzo di carta dal dispenser al muro e afferrò un cornetto. Allungò il braccio verso Aaron. «Vuoi?»
«Grazie.» Aaron moriva di fame e stanchezza. Era fuori da un'operazione durata dodici ore, aveva saltato la cena e voleva solamente andare a dormire. Ma poi aveva visto delle luci soffuse dentro il bar di Safira, e lei stessa preparare qualcosa nella cucina.
«Ma tu hai staccato ora, ora?» Annuì e si passò una mano sul viso, gli occhi gli si incrociavano. «E hai mangiato? Hai cenato?»
«A che ora vai a dormire?» Safira rimase perplessa a quella domanda.
«L'una, le due. Dipende» si poggiò anche lei al tavolo. «Prendine un altro se vuoi, altrimenti tra poco dovrebbe essere pronto il ciambellone al limone e il pane al cioccolato.» Aaron annuì una sola volta. Il pane al cioccolato che preparava Safira era forse la cosa più simile al paradiso che avesse mai assaggiato.
«Potresti passare in ospedale, per qualche accertamento. Jackson è un ottimo neurochirurgo, ti affiderei a lui.»
«A lui? Tu non sei un neurochirurgo?»
«No. Sono un cardiochirurgo» la guardò scuotere la testa impercettibilmente. «Jackson si occupa del cervello, io mi occupo del cuore.» Non capì bene il motivo, ma sapere che Aaron They si prendeva cura dei cuori delle persone, le fece zittire tutti i pensieri. Doveva essere uno scherzo. Sussultò dal suo stato di trance per il secondo timer e si affrettò a tirare fuori sia il ciambellone che il pane.
«E com'è?»
«Com'è che cosa?» Aaron con la stessa carta, afferrò il pane al cioccolato, era bollente e aspettò prima di addentarlo.
«Occuparsi dei cuori. Avere a che fare con dei veri cuori umani che battono» strinse le labbra, con un salto si sedé sul bancone in legno. «Cos'è che fai?»
«Interventi al cuore, ai vai sanguigni ad esso collegati» abbassò lo sguardo sulle mani. «Li faccio battere.» Safira sorrise soprappensiero.
«E quindi com'è?» Aaron la guardò.
«È bello» i boccoli di lei erano fuori controllo da quella coda bassa e le ricadevano difronte gli occhi. La luce calda della cucina le rendeva la pelle dello stesso colore del caramello. «È inspiegabile in realtà. I momenti di tensione prima che il cuore ricominci a battere li senti sulla pelle. Poi c'è il battito... sembra di entrare in un'altra dimensione.»
«E quando non ricomincia a battere? Quando il battito non si sente e continua il silenzio?»
«In quel caso non c'è nessun'altra dimensione, solamente la realtà.» Safira alzò lo sguardo e scosse la testa.
«Cosa fai in quei casi?» Aaron strinse le labbra. «Come puoi dire ad una madre che suo figlio non vivrà più? O ad un marito che sua moglie non tornerà a casa con lui?» Trattenne il fiato. «Che cosa hai detto quella volta in cui ti era appena morta una paziente?» Non rispose subito. Dietro gli occhi di Aaron i pensieri parevano impazzire.
«L'intervento è andato incontro a delle complicanze, il cuore non è riuscito a reggere l'operazione. Abbiamo fatto il possibile, mi dispiace.»
«E l'hai fatto? Il possibile?»
«Ho fatto il possibile.» Annuì. Safira lo imitò senza farci caso.
«Scusa, discorso un po' macabro a quest'ora del mattino» tirò un sorriso. «Torna a casa. Hai le occhiaie che ti arrivano alle guance.»
«Dormi nuda.» Safira sgranò gli occhi, si bloccò con la forza a metà tra il bancone e metà nel toccare a terra.
«Cosa?»
«Il freddo aiuta a dormire. E se quello è il tuo pigiama, sono quasi sicuro che in parte ti svegli per quanto caldo senti.» Si guardò il pigiama di pile con i gattini sorridenti sparsi. In effetti era caldissimo, per questo lo amava. Non credeva al fatto che fosse quello il problema per il quale non dormiva.
«Mmm» finalmente poggiò il piede a terra. «Sì, grazie del consiglio. Come ho fatto a non pensarci prima, proprio non lo so» uscì fuori la piccola cucina, da sotto il bancone afferrò una bustina di carta e quando tornò in cucina imbustò per Aaron il pane al cioccolato, il ciambellone e due cornetti. «Tieni» non appena lo vide mettere una mano nella giacca, scosse la testa freneticamente. «No, fermo.»
«Ma per favore.» Uscì fuori il portafoglio. A quel punto Safira bloccò la mano con la sua. Entrambi rimasero incantati da quel tocco, ma lei si riprese prima e si staccò.
«Non farei pagare il mio fidanzato» fece un passo indietro. «Quindi metti via il portafoglio.»
«Allora vieni a cena con me.» Safira strinse le labbra e aggrottò le sopracciglia.
«Come, scusa?» Aaron boccheggiò.
«Ti porto a cena fuori, lascia che io ti porti a cena fuori.»
«Alle quattro e mezza del mattino?»
«Stasera, alle otto.» Safira si fece indietro di due passi.
«They» tirò un sorriso gentile. «Piano.»
«Hai ragione, perdonami» quella mezz'ora per Safira era stata pesante, ma non troppo visto che avevano parlato di cuori e petti aperti. «Ma dovrà accadere prima o poi. Perché in una relazione si fa anche questo, si va a cena insieme.»
«Prima o poi» rimase in silenzio per un po', all'improvviso sbadigliò e si coprì la bocca con la mano. «Scusami.» Aaron sospirò, poi tirò un sorriso.
«Come tuo medico ti sconsiglio vivamente di rimanere in piedi, e ti consiglierei invece di andarti a sdraiare, nuda, a letto. Chiudere gli occhi e dormire.»
«Ma tu non sei il mio medico.» La sorpassò, andando verso la porta e nel cammino afferrò la valigetta dal tavolo.
«Sono legalmente tuo marito. Il tuo fidanzato.»
«Finto fidanzato.» Lo corresse seguendolo.
«Vero marito.»
«Per sbaglio.»
«Comunque vero marito» l'aprì di poco, e si girò a guardare Safira. «Sei innamorata di me, per questo mi hai sposato» lo sguardo sulla faccia di lei niente l'avrebbe mai potuto ripagare. «I sentimenti che provi nei miei confronti provengono dal tuo cuore, tu mi hai aperto il tuo cuore. Io opero cuori, sono automaticamente il tuo dottore.»
«Questo non ha assolutamente senso» incrociò le braccia al petto. «They, è la cosa più stupida che io abbia mai sentito dire.»
«No» schioccò la lingua sul palato. «"Lo voglio", è stata la cosa più stupida che tu abbia mai sentito dire» la squadrò. «Buonanotte, Safira.»
Safira si tappò la bocca con la mano. Aspettò fin quando Aaron fu fuori la sua portata, poi scoppiò a ridere.
E poi, quando se ne rese conto, si offese di sé stessa.
Ridere di Aaron They era un conto, ridere per merito di Aaron They era un oltraggio.
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Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!
Chick-LitBisogna scommettere solamente quando si è certi di vincere. E specialmente quando la penitenza non comprende un matrimonio a Las Vegas con uno sconosciuto. Ma per Safira andava bene, alla fine si trattava tutto di finzione. Fin quando non incontrò p...