Tutto Bene Basta Che Finisce

152 4 0
                                    

Aaron continuava a guardare Safira a labbra strette. Era appena tornato da lavoro, passato al bar con la voglia di pane al cioccolato, ma si era ritrovato Safira piena di farina cosparsa ovunque e molto probabilmente sull'orlo di un esaurimento nervoso. «Che c'è?» Non capiva, evidentemente non si era ancora guardata in viso. Afferrò il cellulare dalla tasca, aprì la fotocamera e le scattò una foto. «Oh, ma che fai?» Provò a prenderglielo, chissà che faccia da fessa aveva in quello scatto.
«Ma ti sei guardata?»
«Elimina la foto.» Aaron le mise una mano sul petto, fermando ogni suo intendo di avanzare.
«No.»
«Eliminala!»
«No.»
«Non puoi avere una mia foto in galleria.»
«Non posso scattare foto a mia moglie?»
«Oh, ma per favore» sorrise arrendendosi. Si poggiò con un passo indietro al tavolo della cucina, e abbassando lo sguardo provò a togliersi un po' di farina dal grembiule. «Qual buon vento ti porta qui, Aaron They?»
«Pane al cioccolato e un caffè nero.» Quando lo guardò, Aaron si era avvicinato. Il cuore le fremette. Alzò una mano, e col pollice iniziò a pulirle il viso. E Safira smise di respirare. Era diventata estremamente vulnerabile ad ogni suo tocco, ogni suo sguardo ed ogni parola, e la cosa le piaceva da matti.
«Hai due grandi belle mani, puoi servirti da solo, marito.» Il suo ghigno bramato le fece drizzare i peli sulle braccia.
«Una volta una ragazza mi ha detto che le mie mani fanno miracoli.» Safira alzò un sopracciglio, e indietreggiò involontariamente con la testa, staccandosi dal dito di Aaron.
«Devi averla lasciata soddisfatta.» Gelosa, riconobbe di esserlo. Aaron, prima confuso, ci mise un po' per capire.
«In campo chirurgico, Safira» trattenne una risata sentendosi un'idiota. «Perché io con queste mani faccio miracoli, operando cuori.»
«Ah.» Esalò, e scoppiò a ridere, non riuscendo più a trattenersi.
«Tu sei incredibile, Safira Smith.» Contagiò addirittura Aaron. Le sue fossette uscirono fuori spontanee, e Safira non poté fermarsi dallo sfiorarle con il dito.
«Sono più le volte in cui ti odio che quelle in cui ti sopporto.»
«Grazie.»
«Ma poi ti spuntano fuori queste e io» le parole le morirono in bocca. E io mi innamoro. Ecco cosa stava per dire. Ciò che il suo cervello aveva partorito tra tutte quelle risate. «E... io» Aaron posò gli occhi sulle sue labbra. E in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla baciare. «Io...»
«Posso baciarti?»
La mente e i pensieri, un'arma a doppio taglio. Safira non capì quel vuoto che ebbe nel petto a quella domanda. Sarebbe dovuta essere felice, e allora perché sentiva come se qualcuno da un momento all'altro avesse afferrato un telecomando e l'avesse spenta? Perché essere così vicina ad Aaron era improvvisamente fastidioso? Continuava a guardarlo. Poco prima aveva avuto lo stomaco in subbuglio a stargli accanto, alle sue mani sul suo viso, e poco dopo lo voleva lontano, il più lontano possibile.
Era chiaro, Aaron non le piaceva. Si era creata troppi ideali per tutto quel tempo che erano stati insieme, e ora li vedeva andare in frantumi. No, Aaron non era la persona giusta per Safira, e lei aveva fatto uno sbaglio enorme a dirgli il contrario.
«Io...» scivolò via da quella chiusura che si era creata tra il tavolo ed Aaron. «Mi dispiace» esalò. Aaron si morsicò l'interno guancia, riuscì già a vedere qualcosa di male arrivare. «Non posso farlo.»
«Cosa non puoi fare?»
«Questo» indicò lo spazio tra di loro, e Aaron sentì il suo cuore spezzarsi. Era andato troppo veloce, le aveva chiesto troppo, e lo sapeva. Strinse i denti, annuì una volta soltanto, ed andò via. «Mi dispiace.» Voleva piangere, ma non ci riusciva. Urlare, ma non poteva, quindi si limitò a videochiamare Abby.
«Cos'è quella faccia?» Poggiò il cellulare sul bancone, si fece indietro e poi mise le mani sulle ginocchia, non riusciva neppure più a tenersi in piedi da sola. «Oddio, sei incinta?»
«No.» La voce le divenne un acuto.
«Okay, perdonami. È morto il signor Albert?»
«No.»
«Aaron ha fatto coming out?» Sospirò pesantemente, alzò la testa di scatto e guardò Abby attraverso lo schermo.
«Mi piace Aaron, e gliel'ho detto. Lui mi ha risposto che crede in noi, e quando tutto stava quasi andando normalmente, mi ha chiesto se potesse baciarmi. Vuoto totale, sentimenti umani spenti e io che gli dico: "Non posso farlo, questo, mi dispiace"» Abby aveva la bocca spalancata. «Oh, quanto mi viene da ridere, giuro. Abbiamo adottato anche un cane insieme, ora è a casa di mia madre e si chiama Spettro, è un dobermann» batté le mani tra loro, unendole. «Tu credi che sia stato cosa a farmi venire questo improvviso blocco? Perché secondo me è stata la domanda del bacio, ma inconsciamente potrebbe anche essere stato il cane.» Ma Abby non parlava, era a corto di parole, così tanto a corto che iniziò a fare versi.
«Safira, che cazzo hai fatto?» Quella fu la conferma della tragicità della situazione. «No, dico, ma che cazzo hai combinato?» Safira strinse gli occhi. «Sai, non capisco. Non ho capito la metà delle cose che hai detto. Non capisco quando ti sei dichiarata ad Aaron, non capisco quando lui ha detto che ricambiava. Non capisco da quale buco sia uscito un cane! Non capisco, non capisco, non capisco.»
«È partito tutto dall'asta. Era un'asta di beneficienza per le associazioni canine di Parigi, abbiamo bevuto molto vino, io penso di averne bevuto più della metà. Mentre andavamo verso la macchina, gli ho detto: "Aaron They, fammi tua", era una supplica la mia. Lui risponde che se lo farà, sarà per davvero, non per finta, e poco fa mi ha chiesto se potesse baciarmi» rise. «E io gli ho detto: "No".»
«Safira.» Abby si passò le mani sul viso più volte, era al culmine.
«Sei arrabbiata?»
«Sono incazzata nera» Safira lo sapeva. Non aveva raccontato nemmeno mezza cosa alla sua migliore amica, le aveva per di più mentito, era normale fosse così tanto arrabbiata. «Ma che cazzo, Safira.»
«Lo so.»
«No, non lo sai. Non sai nulla, sei un'idiota, sei proprio una stupida deficiente» si legò i capelli biondi. «Prima menti, poi non mi dici nulla, e avessi fatto anche solo una cosa giusta! Hai mandato tutto a puttane!»
«Non ho fatto nulla! Mi sono solamente resa conto che in realtà non mi piace!»
«Hai paura, Safira. Ne avevamo già parlato, la tua è una strana autodifesa, Aaron ti piace.»
«No, invece» si incantò a guardare il pavimento. «Mi ha scattato una foto, prima. Ero piena di farina» Abby incrociò le braccia al petto. «Vorrei poter tornare indietro nel tempo e non scommettere nessuna Las Vegas.»
«Dici sempre che un giorno riderai sopra qualsiasi storia ti accade.» Il tono le si era affievolito, Safira sembrava veramente persa e lei era a quasi due ore da Parigi.
«Questa non è la storia su cui un giorno vorrò riderci sopra» si passò le mani sul viso. «Voglio scappare da Parigi.»
«Ottimo!» Safira urlò dallo spavento, il cuore le salì in gola e per il sussulto diede una ginocchiata al bancone, facendo cadere il cellulare in avanti.
«Albert! Ma... Cristo!» Abby l'unica cosa che continuava a guardare era il soffitto in legno, e sentire gli imprechi dell'amica. «Gesù, mi hai fatto prendere un colpo.»
«Scusami, tesoro» smise di lamentarsi, Albert d'altronde non l'aveva fatto apposta. «Perdonami, pensavo mi avessi sentito salutarti alla porta.»
«No, affatto.» Le sorrise. Safira doveva darsi una calmata. Sopratutto per ciò che l'aspettava.
«Oh, aspetta. Margherita, vieni!» Merda, ci mancava la mamma di Aaron.
«Aspetta, papà! Aaron è ancora al telefono!» L'unica cosa che riuscì a capire Safira, era stato il nome di Aaron. Qualcosa nel suo inconscio le diceva che fosse più vicino di quanto volesse.
«Che... come mai da queste parti?» Mai, mai, mai, Abby avrebbe attaccato fino a quando non se ne sarebbero andati via, avrebbe ascoltato tutto, stavolta.
«Oh, vedrai, abbiamo una sorpresa per te.» E infatti, non appena entrò Margherita in cucina, entrò anche Aaron dietro di lei. Si avvicinò a Safira, tenendo le mani nelle tasche e la guardò con uno strano sguardo negli occhi.
«Innanzitutto, tanti auguri per questo bar, è proprio un amore.»
«Grazie, Margherita.»
«Secondo, nonno Albert ha molto insistito affinché ti dessimo il tuo regalo di Pasqua in anticipo» le passò una bustina bianca. «Il vostro, a dirla tutta.»
«Non... non sapevo che a Pasqua si facessero i regali.» Sorrise, ma aveva la mente da tutt'altra parte, che toccò ad Albert invitarla a scartare il contenuto.
«Avanti, aprila.»
«Nonno, per favore. Ti ho detto...»
«Oh, ma zitto» non volle sentire ragioni da Aaron. Safira l'aprì, e non riuscì più a parlare. Continuava a guardare, o forse erano loro a guardare lei, otto biglietto aereo. Otto biglietti aereo, e Safira divenne improvvisamente muta. «Abbiamo pensato che...» le parole divennero indistinte, i suoi occhi continuavano a correre dalla parola Parigi, a Roma, a Lampedusa, e poi Lampedusa, Roma, Parigi. No, no, no, no. No. «Allora, che ne pensi?» Aspettavano per davvero una sua risposta? Non avevano notato che avesse perso il colorito della sua pelle mulatta? Che a stento si reggeva in piedi? Si era scordata di Abby in videochiamata, del ciambellone al limone nel forno e di respirare.
«L'abbiamo lasciata senza parole» Margherita non riusciva proprio a rendersi conto che Safira stava per svenire. «Ne sono felice!» Abby pregava che per la prima volta potesse farsi sentire e urlare in faccia a tutti un bel "no". «Penserai che siamo pazzi, perché è ancora presto e l'estate non è ancora iniziata, ma giù è pieno luglio!» No, pensava che fossero psicopatici perché volevano metterla su un aereo con Aaron diretto alla punta dell'Italia.
«Di' qualcosa! Avanti!» Aaron fece un passo indietro da quel discorso.
«Siete stati veramente gentili per questo pensiero.» Ma, però, eppure, tuttavia, ciò nonostante, le venivano in mente tantissimi modi per fargli capire che mai, mai, mai avrebbe potuto accettare quel regalo. Mai avrebbe voluto accettarlo.
«È vero, ti stiamo praticamente obbligando a chiudere il negozio per qualche giorno, ma ne varrà la pena, te lo prometto, Rira.» Non appena guardò Albert, si obbligò a ricacciare in dentro le lacrime che minacciavano di uscire.
«Ne sono sicura, non vedo l'ora.»
D'altronde, sarebbero stati solamente cinque giorni, cosa poteva andare storto?
Un lungo suono di clacson li fece sussultare tutti quanti, tranne Safira ed Abby, che dentro sé pensavano a che inferno quella situazione era diventata. «Oddio! La macchina! Papà, andiamo, Safira ci vediamo presto!» Si lasciarono indietro un lungo silenzio pieno di rabbia. Neppure Abby parlava, perché sapeva per certa che se ne erano andati tutti, tranne Aaron.
«Mi dispia...»
«Non fa niente» strinse i pugni. «Puoi andare via, per favore?»
«Sì, certo.» Andò via per davvero, e Safira sprofondò nei suoi pensieri autodistruttivi.
«Safira, Safira!» Non poté starci troppo, Abby iniziò ad urlare. «Safira!» Afferrò il cellulare, aveva la faccia gonfia e rossa, sull'orlo di piangere.
«Mi ero scordata di te.»
«Sì, lo so» aggrottò le sopracciglia preoccupata. «Puoi mettermi difronte la televisione, così guardiamo insieme "Io Prima Di Te".»
«No, penso che andrò a dormire e probabilmente piangerò così tanto in modo che domattina avrò gli occhi così gonfi da non riuscirli ad aprire.»
«Sai che prima si piange e poi si dorme, vero?» Safira non era nemmeno in vena delle battute di Abby, e questo le dispiaceva.
«Ciao, Abby.»
«Ciao, Rira.» Si mise il cellulare in tasca, poggiò le mani sul piano e abbassò la testa espirando tutta l'aria che aveva nei polmoni. Quando la riprese, la puzza di bruciato la fece sussultare.
«Oddio» il fumo nero usciva dal forno e non se ne era minimamente accorta. «Merde, merde!» Lo aprì, gli occhi le lacrimarono e in tutta quella confusione dei suoi pensieri e fatti, si scordò delle presine e per la fretta afferrò il ciambellone con entrambe le mani. «Cazzo!» Le cadde, andando a rimbalzare a terra. Scoppiò a piangere e strinse i denti, ma il dolore era insopportabile, le faceva male da morire. «Cazzo!»
«Safira?» Non riconobbe la voce, cadde a terra e si strinse le mani al petto. «Safira!» Jackson entrò urlando il suo nome preoccupato di vederla in quello stato. «Safira, che succede?» Non riusciva a rispondergli, o a respirare, riusciva solamente a piangere, piangere, piangere e urlare. «Chiamo un'ambulanza.»
«Aaron» Jackson abbassò il cellulare per capire cosa dicesse, ma dall'altro lato avevano già risposto. Richiese un'ambulanza, il prima possibile, spiegando la situazione dell'accaduto, e poi attaccò. «Chiama Aaron, ti prego.» Aveva paura, e lui era l'unica persona che voleva e non voleva allo stesso momento. Ma voleva di più.
«Sì, certo che sì.» Utilizzò per Aaron il cercapersone, almeno era sicuro che l'avrebbe visto immediatamente.
Arrivati in pronto soccorso, andò loro incontro una donna dai capelli ricci e rosso fuoco. «Cos'è successo?»
«Mi sono ustionata con lo stampo del ciambellone mentre era ancora in forno.» Safira non riusciva a smettere di piangere, per il dolore, per i biglietti aereo, per non aver con sé sua madre. La donna le controllò entrambe le mani, poi guardò Jackson.
«È un ustione di primo grado, nulla di cui preoccuparsi» scosse la testa confusa. «Sai chi è?»
«È la donna di They, lui sta arrivando.»
«Che Dio la mandi buona, allora» si sporse indietro per individuare chissà chi. «Tu, portami il kit per le ustioni.»
«Sì, Roxana.»
«Jackson, cos'abbiamo?» La rabbia nella voce di Aaron era impossibile non notarla, ma si affievolì immediatamente tanto quella di Safira non appena la vide seduta sul lettino, e con Jackson e Roxana che la circondavano. «Cos'è successo?» Le corse addirittura incontro, e a quel punto Safira scoppiò a piangere più di prima. «Safira.»
«Ha un'ustione di primo grado sui palmi delle mani, vi lascio due minuti.» Anche Jackson si allontanò, lasciandoli soli.
«Safira, come hai fatto?»
«Il ciambellone in forno... stava bruciando» abbassò la testa. «Io... non lo so... mi dispiace.»
«Non è colpa tua, non lo è.» Alzò una mano per spostarle le trecce dal viso, ma si bloccò a mezz'aria incapace di continuare.
«Mi dispiace, Aaron.» Non sapeva a cosa si riferisse, l'unica cosa che desiderava era che smettesse di piangere.
«Aspetta di là, Dottor They.»
«Non mi allontano da lei.»
«Sì, se lo dico io. Non sei in servizio, devi attendere in sala.»
«Allora entro in servizio.»
«Allora vai ad occuparti dei tuoi pazienti, non dei miei.»
«Avanti, Aaron. Andiamo.» Jackson gli afferrò il braccio, ma lui continuava solamente a guardare Safira.
«Verrò non appena avrai finito, d'accordo? Se ti serve qualcosa fammi chiamare» Safira annuì e due lacrime le si infransero sulle cosce, Aaron guardò Jackson. «Non posso lasciarla.»
«Ci vorrà poco.» Continuò a guardarla uscendo fuori il pronto soccorso, entrambi si accasciarono sul marciapiede.
«Com'è accaduto?»
«Non lo so, Aaron. Ero appena entrato e l'ho trovata in ginocchio ad urlare. È soltanto un ustione, passerà in fretta.» Rimasero in silenzio per un po'.
«Sono innamorato di Safira.» Jackson girò lo sguardo verso l'amico.
«Sì, menomale. È questo il punto, no?» Certo, perché tutti pensavano stessero insieme, nessuno sapeva che a stento Safira sopportava Aaron, e che tutto ciò che li riguardava era finzione.
«L'ho portata ad un'asta poco tempo fa, e le ho comprato un vestito» sorrise. «È insicura sul suo corpo. Ogni volta che si mette seduta abbraccia un cuscino, o un cappotto, solleva di poco le gambe. Non respira mai con la pancia, ma sempre con le spalle, e non le piace essere toccata in determinati punti» scosse la testa su tutti quei pensieri. «Non si accorge di essere perfetta. Voglio essere io la persona che glielo ricorda ogni giorno, e che sa dove toccarla, come baciarla. Voglio essere io quella persona» gli scappò uno sbuffo. «È lei. È Fiore.» Jackson sgranò gli occhi. Indicò Aaron, e poi guardò dentro il pronto soccorso. Poi nuovamente Aaron.
«Lo sapevo» batté le mani tra loro. «Oh, Dio. Lo sapevo.»
«Lo sapevi?» Alzò l'indice e boccheggiò per un po'.
«Non ne ero completamente sicuro, ma tu nemmeno hai mai perso tempo dietro nessuna donna. Quindi o era la Fiore di cui mi avevi parlato, oppure quella Fiore te l'eri scordata. Oppure eri gay...» Aaron aveva parlato di Safira a Jackson il secondo anno di specializzazione, dopo essersi assicurato di potersi fidare abbastanza da raccontargli la parte più importante della sua vita. Ma al posto di Safira, l'aveva soprannominata Fiore.
«Come avrei potuto scordarla?»
«Appunto» Jackson sorrise, poi vedendo la serietà di Aaron, tornò dubbioso. «Vuoi chiederle di sposarti?» Ad Aaron spuntò un sorriso sulle labbra. Sposarlo. Erano già sposati secondo la legge, e nella migliore delle relazioni secondo la famiglia di lui, ma cos'erano realmente tolti tutti quei finti titoli? Amici? Conoscenti? Vecchi compagni di scuola? Aaron voleva essere di più, di più, di più. Ma non poteva, non avrebbe mai potuto, e quindi se ne sarebbe rimasto a domare tutti quei sentimenti, attendendo che quel tempo rimasto tra loro durasse tantissimo, o pochissimo. Dipendeva da quanto sanguinasse il suo cuore ad averla accanto senza poterla fare sua.
«No» si passò una mano tra i ricci, e li divise lentamente. «Macché, no.»
«E allora cos'era tutto quel discorso?»
«Non lo so» sospirò. «Uno sfogo?» Jackson aggrottò le sopracciglia. Aaron in tutta la sua vita si era limitato ad esistere, lavorare e riempiere il suo tempo libero studiando. Non si era mai lamentato, a stento scambiava con le persone più di dieci frasi, per questo Jackson si trovò spiazzato da quel discorso su Safira. «Secondo te era uno sfogo?» Lo guardò.
«Secondo me ti sta facendo vivere.»
«Chi?»
«Safira.» Aaron sorrise.
«Mi sta facendo impazzire.»
«Ah, io.» Si girarono entrambi verso quel borbottio alle loro spalle. Safira era su una sedia a rotelle, entrambe le mani fasciate e Roxana dietro di lei.
«Ti sei messa i guanti?» Aaron diede uno spintone a Jackson, poi si alzò. «Guarda che ci stai bene.»
«Dovrai prenderle questa pomata» Roxana passò ad Aaron un foglietto. «Medicarla e la riporti qui tra quattro giorni.»
«Potrò lavorare?»
«No, tesoro. Devi riposarti e non irritare la parte ferita.» Aaron notò subito il fastidio sul suo viso.
«D'accordo, ci penso io.» Prese il posto di Roxana, e la portò alla macchina.
«Ciao, grazie ad entrambi.»
«Ciao, sorellina, riguardati.» Salì in auto, e Aaron le allacciò la cintura. Safira girò lo sguardo dall'altra parte, e maledì quell'intera giornata, dall'inizio alla fine.
«Non posso non lavorare» gli disse non appena si sedé a volante. «Lavorerò lo stesso.»
«In questo modo la guarigione sarà più dolorosa e lenta.» Parlava proprio come un dottore, e Safira non lo sopportava.
«Tu lo sapevi? Che la tua famiglia avesse organizzato un viaggio per noi due?»
«No. Mi hanno fermato fuori il negozio, ho cercato di spiegargli che non fosse il momento più opportuno, ma non mi hanno ascoltato. Mi dispiace, veramente.»
«Okay.» Restarono in silenzio fino a quando non arrivarono difronte il bar.
Safira dovette attendere che Aaron le aprisse la portiera, si fermò difronte la porta e provò più volte ad afferrare le chiavi nella tasca. Ma non ce la faceva, perché ogni volta che sfiorava qualche tessuto, le veniva da vomitare per il dolore. «Puoi...» la voce le si incrinò. «Puoi aiutarmi, per favore?»
«Sì» le prese, e aprì la porta, Safira entrò e si bloccò nel bel mezzo del bar. Aaron richiuse lentamente, e restò ad osservarla. «Safira?» Le spalle le si alzarono in singhiozzi, non riusciva più a respirare sotto tutte quelle lacrime. «Safira.»
«Non avrei mai voluto farlo» si inginocchiò a terra, coprendosi il viso col dorso delle mani, le garze le si annacquarono lentamente. «Tornassi indietro nel tempo non farei mai quella stupida scommessa, stupida, stupida, stupida!» Aaron le si piazzò davanti, ma per la prima volta, non sapeva assolutamente cosa fare. «Voglio... oddio, voglio che le cose fossero più semplici. Vorrei» sorrise, tra tutte quelle lacrime sorrise. «Vorrei averti incontrato in un altro giorno, vorrei che tu mi avessi fermata per strada per chiedermi di uscire. Vorrei tanto non essere intrappolata in questa finta relazione, vorrei» scosse la testa .«Vorrei... che tu mi abbracciassi, e che mi dicessi che andrà tutto bene» Aaron le afferrò le braccia per metterla in piedi, e quando Safira credette con tutte le forze che stava per ricevere quell'abbraccio tanto desiderato, Aaron, la portò verso l'uscita del bar. «Che stai facendo?» Non le rispose. «Aaron.» La posizionò al centro del marciapiede.
«Aspetta qui» non riusciva a capire il suo gesto. Era rossa in viso e zuppa dalle lacrime, si sarebbe vergognata da morire se qualcuno fosse passato. «Aspetta qui, okay?» Non attese risposta, andò via, e Safira restò immobile e disorientata.
«Okay...» ed aspettò, uno, due, sette secondi, e proprio quando stava per girarsi a controllare che fine avesse fatto, venne spostata da una spallata, non troppo forte ma abbastanza per barcollare all'indietro. «Ma che» una mano le afferrò il polso affinché non cadesse. «Aaron!» Aaron trattenne un sorriso, fece finta di non sentirla.
«Perdonami, non ti avevo vista» si allontanò di un passo. «Chissà come sai già il mio nome, che ne pensi di venire a cena con me e dirmi il tuo?» Safira spalancò la bocca. Aaron avrebbe pagato oro per immortalare il suo viso in quel momento. E avrebbe dato la vita per registrare lo scoppio della risata di Safira.
Forse era stata la tensione, i mille pensieri, forse era stata la paura. Forse non si era concessa di fermarsi e respirare. Quando accadde, le farfalle si risvegliarono tutte insieme. «Sei un completo idiota!» Piangeva e rideva, rideva e piangeva, se non era una pazza che cos'era?
«Non mi sembra una risposta, vuoi forse riprovare?» Safira si piegò sulle ginocchia per quanto stesse ridendo. «Che ne pensi, stasera alle venti?» Aaron le mise una mano sulla curva della schiena che tanto amava, e a lei le venne la pelle d'oca. «Alle diciannove?» Riprese a respirare, ma non riusciva a smettere di sorridere. «Adesso?»
«Vuoi cenare adesso?»
«Voglio fare qualsiasi cosa ti riesca a far dire che in realtà ci credi» non era vero, smise nuovamente di respirare. Si accorse che con Aaron quella semplice azione pian piano risultava sempre più complicata. «Che puoi farlo, anche se hai paura» con l'altra mano le afferrò il viso. «Ti aiuterò a non avere paura. Ti aiuterò a crederci.» Safira scosse la testa sognatrice. Perché o stava sognando, o quella era la giornata più strana che avesse mai vissuto. Una delle tante.
«È impossibile.»
«Impossibile?» Aaron sorrise, piegò la testa di lato. «Io apro petti, tengo cuori tra le mani e li faccio battere. Per me nulla è impossibile.» Si perse nei suoi occhi, ancora convinti che fossero neri, anche se le aveva spiegato il contrario. Dopodiché, si illuminò.
«Tu puoi cucinare per me!» Non era sicuramente quella la risposta che Aaron si aspettava, per questo alzò le sopracciglia sorpreso.
«Come, perdonami?»
«Sta arrivando Pasqua, e io non posso nemmeno sfiorare il mio viso senza contorcermi dal dolore» alzò le mani tra loro, mostrandogli la fasciatura bianca. «Puoi cucinare per me» Aaron strinse le labbra, a quel punto Safira si allontanò scuotendo la testa. «No, no, certo che no. Tu dovrai stare con la tua famiglia.»
«Puoi stare tu con noi.»
«Io devo lavorare» sorrise. «C'è chi ha bisogno di me.»
«Io ho bisogno di te.» Bastava così poco per farla zittire e arrossire nello stesso momento.
«Tu apri petti, tieni cuori in mano e li fai battere. Non hai bisogno di una pasticciera.» Eccole, le fossette per le quali Safira si scioglieva come burro ogni qualvolta che uscivano fuori.
«Non di una pasticciera, di te.»
«Io sono una pasticciera.» Aaron ruotò gli occhi al cielo.
«Cosa vuoi che faccia?» Safira alzò le mani.
«Un miracolo» quando lui gliele afferrò, già era pronta a contorcersi in due dal dolore, invece fu così tanto delicato, che nemmeno se ne accorse. Le baciò le nocche, poi le rigirò e baciò ogni polpastrello, fino al centro del palmo. «Ti odio, Aaron They.»
«Quindi? Cosa prevede il tuo menù di Pasqua?»
«Intendi veramente?»
«Sì, posso iniziare a fare le preparazioni ora, così ti troverai già a buon punto. Solamente, alle diciotto ho una chiamata su FaceTime, quindi dovrò lavorare col pc aperto.»
«Quindi è un pc ciò che tieni nella tua misteriosa valigetta.» Rientrarono in negozio, fino ad arrivare in cucina.
«Un pc; un'agenda; penne; documenti importanti.»
«Rettifico, noiosa valigetta. Visto? L'avevo detto che fossi noioso.» Aaron la incenerì con lo sguardo, Safira gli rifilò un sorriso.
«Dimmi cosa devo fare.»
Passarono così le tre ore restanti, Safira che indicava gli scaffali da dove prendere gli ingredienti, come unirli e conservarli, e Aaron che seguiva passo passo ogni sua parola. L'aveva distratta più o meno, dopo i primi dieci minuti, quando decise di togliersi la camicia restando con una maglietta bianca, per poi mettersi il grembiule nero di Safira sopra per non sporcarsi. Anche se era fin troppo piccolo per il suo petto. «Devo restare zitta?» Si era staccato dai fornelli per entrare in chiamata con chissà chi.
«No, sentirò lo stesso cos'hanno da dire.» Annuì a labbra strette, e non appena Aaron entrò in chiamata, disattivò il microfono e la videocamera.
«È sempre un piacere, Dottor They.» Evidentemente non doveva essere la prima volta di quella sua scelta, visto la lamentela del signore dai capelli grigi. «D'accordo, iniziamo. Dottor Kalligan?» Safira seguiva a stento il discorso, più che altro continuava ad osservare Aaron, e a pensare a tutte le possibilità, non sapeva quali, ma ci pensava lo stesso.
«Di cosa parlate in questa chiamata?»
«Noiose questioni da chirurgi, faccio sempre altro quando iniziano. Questa dove va?»
«Nel primo cassetto. E quanto dura di solito?»
«Dipende dall'argomento, non saprei» quando finalmente finì di sistemare e pulire tutto, si avvicinò a Safira, che era seduta a gambe a penzoloni sul tavolo di legno. «Se le cose non saranno buone, non è colpa mia.»
«D'accordo.» Annuì, distratta dal punto di farina che Aaron aveva sul viso. Non pensò alla sua mano quando l'alzò e provò a pulirlo. Una fitta di dolore l'obbligò a ritrarla, avrebbe pianto con piacere.
«Piano, fai piano» era incredibile come ogni volta che Aaron gliele afferrasse, nemmeno sembravano fasciate. «Vedrai, il dolore passerà presto.»
«Sai cosa vorrei in questo momento?» Baciarlo, sicuramente, ma non glielo avrebbe detto.
«Non cucino pasta, ti avverto.»
«Vorrei andare a pattinare alla mia pista. Ma ho paura che se cascassi e poggiassi le mani a terra, poi ci rimarrei.» Aaron storse le labbra.
«Forse è un bene dopotutto questa ustione» le portò una treccia dietro la spalla. «Ti ferma dal fare pazzie, come andare a pattinare in quella pista pericolosa.» Safira espirò lentamente, e poggiò la fronte sul petto di Aaron.
Forse, dopotutto, non voleva realmente andare a pattinare, ma restare lì, immobile, il più tempo possibile. «Aaron They.»
«Sì, Safira Smith?» Aprì la bocca, ma una voce la precedette prima.
«Dottor They, ci sei ancora?» Aaron sbuffò, si avvicinò al pc, e tolse il muto.
«Sono ancora qui, sì.» Safira studiò il palmo della mano aperto sul tavolo, il braccio teso e i tatuaggi neri che ancora non si era soffermata a studiare come avrebbe voluto. Aveva distinto una falena, o forse era una farfalla, e poi delle stelle. Non era quello il momento in cui voleva farlo, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato e se lo sarebbe goduto fino alla fine.
«Torneresti quindi, per quest'operazione?» Safira saltò giù dal tavolo, e lentamente si avvicinò alle spalle di Aaron. Quando ci poggiò una mano sopra, lui trasalì. Gli fece segno di stare zitto e seguire la chiamata, e continuò a tracciargli le scapole, la spina dorsale, e le grandi spalle. Amava quelle spalle.
«Perdonatemi, non ho afferrato quando.» Era difficile per lui concentrarsi se Safira lo toccava in quel modo, lento e tormentato, gli stava facendo incasinare i pensieri.
«A fine mese, hanno richiesto la tua presenza.»
«E chi l'avrebbe richiesta?» Lanciò un'occhiata a Safira, ma lei non guardava altro che la sua schiena.
«Il Direttore.» Abbassò la testa sfinito.
«Ci sarò. Mandatemi la cartella, e tutte le informazioni.»
«Sì, Dottor They.» Safira scoppiò a ridere, in fretta si ricompose mettendosi una mano davanti la bocca. «Dottor They?»
«Devo andare, tenetemi aggiornato sul caso.» Non attese risposta, e attaccò la chiamata, chiudendo il pc con un tonfo secco.
«Scusami, scusami.» Si girò verso Safira.
«Scoppi sempre a ridere nei momenti meno opportuni?»
«Solo quando ti chiamano Dottor They.» Alzò le sopracciglia divertito, e Safira dovette trattenersi dal non infilare un dito in quelle sue fossette.
«Ho lavorato sodo per quel nome, e tu lo annienti con una risata?»
«Oh, okay, mi perdoni, Dottor They» Aaron si stropicciò gli occhi. «Vai a casa, hai bisogno di riposarti.»
«No» Safira si poggiò al bancone, e Aaron le si avvicinò fino a torreggiarla. Le mise l'indice sopra la spalla, e lentamente risalì fino al collo, più precisamente sull'arteria carotidea. «Sei agitata?»
«No.» Sì. Era una fascio di nervi. Il cuore le stava per uscire dal petto per mettersi una volta e per tutte nelle mani di Aaron.
«Perché mi menti, Safira?» Scambiò l'indice col pollice, e le fasciò l'intero collo con la mano.
«Non mento. Hai veramente bisogno di riposarti, guarda che faccia che hai.» Aaron mise su un ghigno, sfoggiando quelle sue maledette fossette, e il battito cardiaco di Safira aumentò notevolmente.
«Forse dovrei andare a casa, sì.»
«Sì, forse dovresti.» Sussurrò.
Gli occhi di Aaron scivolarono sulle labbra di Safira, e quelli di lei fecero lo stesso. «I tuoi battiti...»
Ma qualsiasi cosa le stesse per dire, venne interrotto dallo squillare del telefono del bar. Safira guardò Aaron negli occhi, implorandolo di continuare a fare qualsiasi cosa stesse accadendo in quel momento, invece lui si allontanò lentamente con un sorriso dolce, e andò a prendere il telefono al bancone. «Ecco.» Glielo passò, e Safira rispose controvoglia.
«Le coin de lumière, come posso aiutarla?» Osservò Aaron sistemare il pc nella valigetta, dopodiché avvicinarsi e afferrarle la mano libera. «Sì, certo, assolutamente» le baciò il dorso dolcemente, strappandole un sorriso e risvegliando le maledette farfalle nello stomaco. «Lunedì?»
«Ci sentiamo dopo.» Le mimò con le labbra. Safira annuì con le guance rosse, si morsicò il labbro inferiore, ed Aaron avrebbe voluto baciarla.
«Lunedì è perfetto.» Lo spintonò leggermente per farlo andare via, altrimenti sarebbe riuscita a confondere anche il più semplice degli ordini. «È perfetto.»

Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora