Cominciamo Oggi

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«Posso prenderti qualcosa da mangiare?» Safira non si girò nemmeno a guardare Aaron.
C'era una sensazione di quasi dolore ogni volta che incrociava i suoi occhi che le ricordava che quell'insignificante viaggio si sarebbe concluso con la consapevolezza che poi, Aaron, se ne sarebbe andato via. Si era impegnata a recitare la parte della ragazza impaziente di partire difronte nonno Albert e la famiglia di Aaron, ringraziandoli a ruota di quel fantastico regalo. Poi Safira aveva salutato mamma Ife e Spettro, con Aaron avevano imbarcato le valigie, e in silenzio erano arrivati fino a Roma, dove avevano fatto un altro cambio ancora. Quindi, Safira si limitava a tenere lo sguardo fisso fuori dal finestrino, a sorprendersi dell'azzurro del mare. A domandarsi quando nella vita aveva assistito ad un paesaggio più bello di quello. E a domandarsi se fosse possibile che nonostante quel paesaggio, le facesse male il cuore. «No, grazie.» Solo in quel momento capiva perché fosse quello il colore preferito di Aaron.

Atterrati a Lampedusa, il cambio di temperature era fin troppo percepibile. Safira stava morendo di caldo, continuava a sventolarsi in viso con la mano, che fortunatamente era guarita. «Se vuoi puoi aspettarmi fuori, le nostre cose dovrebbero arrivare a momenti. Ci penso io.»
«Ok.» Lanciò un'ultima occhiata alle spalle di Aaron, dopodiché seguì tutte le indicazioni fino ad arrivare fuori quel piccolo aeroporto. All'ombra tirava il più piacevole dei venti, sembrava per davvero luglio inoltrato. E poi c'era così tanta gente, non si aspettava l'aereo così pieno. Sopratutto, gli italiani erano proprio rumorosi. Urlavano, ridevano, ridevano urlando. Li amava.
«Bellissima, tesoro! Ti serve un passaggio?» Sussultò quando qualcuno le sfiorò la spalla. Era un uomo, non Aaron. Quelle spalle erano un quarto di quelle di Aaron, e l'altezza? Strinse le labbra, era quasi sicura le avesse detto qualcosa in italiano. «Che c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» Le sorrise. Lei aveva paura che se gli avesse risposto in francese, sarebbe stata attaccata, quindi si buttò sull'inglese.
«Mi dispiace, non capisco.»
«Ah! Sei straniera, e francese per di più» fece una faccia compiaciuta, lo sconosciuto. «Come sei arrivata fino a qui?»
«Con me» il petto di Aaron si fermò ad un soffio dalle spalle di Safira. Lo sconosciuto lo studiò per un po'. «Grazie, ma non ci serve nulla.» Senza aggiungere altro, alzò le mani in segno di resa e con un sorriso andò via.
Aaron guardò Safira. «Vieni, andiamo» lo seguì in silenzio, sentendosi quasi in colpa di avergli lasciato la sua valigia, ma per come si muoveva fluido non sembrava pesargli tanto. «Antonio, sto qua!»
«Ma non ci credo, Aaron!» Un signore dai capelli bianchi e la corporatura tozza, abbracciò Aaron. Gli arrivava, forse, al petto. «Quando tuo nonno mi ha detto che saresti sceso giù non gli ho voluto credere, ti giuro! Ero sicuro mi pighiasse' pu u culo!» Poi, tutta la sua concentrazione si focalizzò su Safira.«Questa è? Ti si sistemato finalmente!»
«Lei è Safira» sorrise. «Safira, lui è Antonio, un caro amico di famiglia.»
«Buongiorno.» L'aveva detto bene? Se l'era ricordato bene? Aaron sarebbe di nuovo scoppiato a ridere per quella sua pronuncia?
«Che bella che sei, è una fortuna che Aaron abbia trovato a te!» L'abbracciò affettuoso, e Safira sgranò gli occhi. Profumava di mare. «Amuninni, che Lampedusa si è riempita con questo tempo.» Li portò entrambi ad una macchina rossa, una Punto. Aaron posò le valigie, ed Antonio si mise al volante.
Fu buffo scoprire che il tratto aeroporto-casa non durava più di due minuti in macchina. «Qui ci stanno le chiavi, in mezzo ci sono anche quelle della macchina. L'ultima volta che tuo nonno è sceso ha cambiato le cose dentro, se vi manca qualcosa mi venite a bussare.» Antonio passò un mazzo di chiavi ad Aaron, e gli strinse la guancia.
«Grazie, Anto'. Ci vediamo questi giorni.»
«Ciao tesoro, divertiti, mi raccomando!»
«Grazie!» Lo seguì con lo sguardo. Antonio viveva nella casa accanto a quella di Aaron e Safira.
«Sei stanca? Hai fame?»
«Sto bene, ho un po' di sete.»
«D'accordo, vieni» entrarono nel cancello verde, ed aprirono quello più piccolo che era l'entrata di casa.
«Non è grandissima, è veramente piccola, ma...» Safira non lo ascoltava più, perche quella era la casa più italiana che avesse mai visto in vita sua. La cucina era piccolissima, ma così accogliente con tutti quei quadri che ritraevano foto della famiglia. Una parete ne era letteralmente piena, si sarebbe fermata più tardi a studiarle. Aaron afferrò una cassa d'acqua da terra, l'aprì e poi afferrò un bicchiere dalla mensola al muro. «È frizzante» Safira sorrise. Si era per davvero ricordato che quella naturale non la beveva. «Vieni.» Tra la cucina e la camera da letto passava un piccolo corridoio.
«Oh, che bello.» Era pitturato, ritraeva il mare.
«L'ha fatto nonno Albert quando ha comprato la casa.»
«Non sapevo dipingesse.»
«Sì, continua a far finta di non saperlo, o ti proporrà di stravolgere il bar» Aaron aprì una seconda porta. «Questo è il bagno, prima che utilizzi la doccia devo controllare che non ti caschi addosso il soffione» quando aprì la camera da letto, entrambi rimasero di stucco. «Cazzo, nonno» un solo letto matrimoniale. Quando le aveva assicurato che avrebbero dormito divisi, spunta fuori un unico letto. «Deve averlo messo l'ultima volta che è stato qui» Aaron scosse la testa. «Okay, non fa nulla. Tu sistemati, io vado a dire ad Antonio di preparare il divano.» Safira aggrottò le sopracciglia.
«Aspetta, cosa?»
«Sì, è nella casa affianco. Ha un divano, andrò da lui la sera» si liberò dei due borsoni che teneva in spalla. «Sistemati con calma, così poi usciamo. Oppure no, se non vuoi uscire.»
«No, ma» boccheggiò. Non poteva sfrattarlo da casa sua. «Possiamo dormire insieme» Aaron drizzò la schiena. Le orecchie. Le antenne del cuore. «È un letto grande, non c'è bisogno che vai da Antonio.»
«Non fa nulla, Safira. A me non dà fastidio andare da Antonio, in questo modo tu starai più comoda e avrai la tua privacy.»
«Davvero, Aaron. Non mi importa dormire nello stesso letto. Metteremo un cuscino in mezzo se serve, ma dormi qua» Aaron continuava a guardarla. «Sono seria, mica abbiamo dodici anni.»
«D'accordo» si infilò le mani nelle tasche. «Vado a fare un po' di spesa, hai qualche preferenza?»
«Qualsiasi cosa andrà bene.»
«Non farti male, qui non ci sono ospedali» Safira non riuscì a comprendere se la sua fosse stata una battuta o meno. «Non ci sono. Ci sono io, ma tu non farti male.»
«Cercherò di non infilzarmi con una stampella.»
«Sarò veloce» andò via. «Ti lascio le chiavi attaccate alla porta!»
«E se entrasse qualcuno?»
«Siamo a Lampedusa, Safira, non a Parigi!» Rimase immobile, al centro della stanza, ascoltando la macchina chiudersi e poi andar via.
«Siamo a Lampedusa, Safira.» Afferrò di corsa il cellulare, e videochiamò Abby, che rispose immediatamente. Safira andava via da Parigi, ed Abby ci tornava. Che tempistica la loro.
«Oddio, l'hai fatto veramente.»
«Adesso vomito.»
«Raccontami tutto, devi raccontarmi tutto.»
«Abbiamo preso l'aereo, da Parigi a Roma e da Roma a Lampedusa, non so neppure se lo pronuncio bene! E ora siamo arrivati a casa, Aaron è andato a fare la spesa e io sono qui. Al cellulare. Con te.»
«Okay, ma cos'è successo da Parigi fino a come-si-chiama dove siete ora?»
«Nulla, nulla. Non abbiamo parlato più del dovuto» iniziò ad uscire fuori i vestiti dalla valigia per impilarli dell'armadio bianco. «Il discorso più lungo che abbiamo avuto da quando siamo partiti è stato poco fa.»
«E cosa intendi fare? Non parlargli mai più? Passare questa settimana in mutismo selettivo fin quando non tornerete a Parigi?»
«No?» Abby si strofinò il viso. Non sapeva più come fare con Safira.
«Rira, non puoi tornare qui col cuore spezzato solamente perché te lo sei spezzato da sola. Abbi un buon motivo per piangere.» Safira strinse le labbra.
«Non ho capito.»
«Dico solo» Abby sospirò. «Fai bandiera bianca. Dichiarati e digli che lo ami, così avrai un vero motivo per stare male.»
«Io... io non... io...»
«Tu non lo ami? Ma per favore.»
«Dovrei uscirci? Non mi va molto di uscire, ma non mi va nemmeno di andare immediatamente a letto.»
«Dipende, la seconda opzione implica del sesso tra te ed Aaron?» Abby mise su un ghigno. Riusciva ad essere perfida anche difronte un evidente crollo mentale di Safira. «Te l'ho detto, secondo me in camera è lui che comanda.»
«Non voglio ricordarmelo.»
«D'accordo, guardami negli occhi e dimmi che non ti sei mai masturbata pensando a come possa essere Aaron a letto» Safira incrociò le braccia al petto e fissò Abby. Aprì bocca, ma non uscì nemmeno una sillaba, solo un lungo rumore di balbettii. «Lo sapevo!»
«Okay, vaffanculo Abby.»
«Senti, seriamente. Vai a letto con quel figo assurdo di Aaron They e facci tutti felici! Vogliamo sapere com'è a letto! Avete a disposizione cinque notti!»
«Tu ed Oliver dovete smetterla di parlare della mia vita sessuale.»
«Non ne possiamo fare a meno. Abbiamo scommesso anche su te ed Aaron.»
«Cosa?»
«Cosa?» L'altra voce oltre a quella di Safira non era di Abby. Ma di Aaron. Safira urlò dallo spavento, e anche Abby per colpa dell'amica. «Cristo!»
«Voi siete pazzi, cazzo.» Aaron diede una sbirciata al cellulare poggiato sul letto. Quei capelli biondi erano ormai diventati inconfondibili perfino per lui.
«Ciao, Abby.»
«Ciao, Aaron! Come è andato il viaggio?» Aaron piegò la testa per rientrare leggermente nell'inquadratura.
«Tutto bene, grazie. A te le vacanze come sono andate?»
«Oh, stancanti. Ho dovuto fare da babysitter ai miei due cuginetti...» Safira alzò un sopracciglio da dietro Aaron, un chiaro invito per Abby a stroncare il discorso. «Sono andate bene, grazie.»
«Ci sentiamo dopo, Abby.»
«Sì, certo. Ciao, buon... s...» Safira attaccò in tempo.
«Cosa ha scommesso su di noi?»
«Ah, non lo so. Ho finito di interessarmi di scommesse.» Aaron sorrise impercettibilmente.
«Ho comprato un po' di cavolate, giusto se preferisci rimanere a cena a casa, invece di uscire. Ma mi piacerebbe portarti in centro.» Ci fu un attimo di silenzio. Doveva comunque pur trovare un reale motivo per spezzarsi il cuore. Abby aveva ragione. E anche Oliver.
«Mi piacerebbe andare in centro.» A quelle parole, Aaron parve illuminarsi.
«Sei sicura? Se sei troppo stanca...»
«Non sono stanca. Ma ho fame» guardò verso la finestra. «Fa ancora caldo fuori?»
«Sì, ma portati una giacca.»
«Okay» strinse le labbra, attendendo che Aaron andasse via, ma non si muoveva da lì. «Allora mi cambio.»
«Oh, sì. Certo, perdonami.» Uscì fuori la camera, dopo aver preso il suo borsone a terra e chiudendosi la porta alle spalle.
Per un primo momento Safira andò nel panico, cosa avrebbe dovuto mettersi? E per quale motivo stava andando volutamente nella tana della volpe con la consapevolezza che ne sarebbe uscita fuori senza cuore? «Quanto ti odio, They.»
E gliel'avrebbe voluto dire anche una volta uscita fuori la camera, ma Aaron indossava dei cargo bianchi, con una maglietta nera a maniche corte. Il cervello le si spense completamente. Era sempre stato così tanto abbronzato? O ci era diventato nel tratto dall'aeroporto a casa, e durante la spesa? «Sei pronta?»
«Sì...» schiarì la voce. «Sono pronta.» Montarono in macchina, e partirono. «Uhm» strinse le labbra confusa. Aaron le lanciò un'occhiata incuriosito. «Ma non ci sono semafori?» Non riuscì a trattenere un ghigno divertito. Ed ogni ghigno di Aaron portava automaticamente alla fuoriuscita delle maledette fossette.
«No. Niente ospedali, niente semafori. Strana come combinazione, vero?» Passò in terza. «Solo tanti Stop, e strisce pedonali sbiadite.»
«Non è assolutamente pericolosa come cosa?»
«Safira, non siamo a Parigi.» Aaron accostò accanto un'altra auto. No, non era un'auto. O forse sì? I sedili c'erano, il cambio e il volante pure, ma non c'era nessuno sportello, nessun finestrino. Ed era di un verde evidenziatore.
«No, non siamo proprio a Parigi.» Tentò di calmare i battiti del suo cuore mentre avanzavano verso le vie. Le piaceva ciò che aveva intorno, era calmo e le sembrava di stare in un film. Le voci delle persone si confondevano tra loro, ma erano felici e spensierate. Con altri quattro passi si ritrovarono avvolti da un fumo bianco. Aaron afferrò il polso di Safira affinché si spostasse di lì.
«Ma» aggrottò le sopracciglia. Stava per litigare, Safira ne era sicura. Aaron stava per litigare e quella loro vacanza sarebbe finita prima del previsto. Senza se e senza ma. «Vincè, ma anche a maggio continui a fare 'ste castagne?»
«Che mi pighiass' un colpo! Aaron!» No, non stavano per litigare, stavano per abbracciarsi. «Piccirì, ma che fai qua?» Spostò lo sguardo su Safira, su Aaron che ancora la teneva per il polso. «E sta picciotta? Chi è sta picciotta?»
«Lei è Safira. È francese, non capirà nulla di quello che le dirai.»
«Ma ti si accasato? Nulla mi dicisti? È bedda, ma bedda come un fiore!» Aaron guardò Safira, che sentendosi fuori luogo continuava a pizzicarsi le dita.
«È così bella che è imparagonabile.»
«Prendile un po' di castagne, dai, offro io!»
«Penso invece che le farò fare prima un giro, siamo arrivati qualche ora fa.»
«Mi, chi camurria che sei» Vincenzo scosse la testa, afferrò il capellino di paglia e si sventolò in viso. «Salutami a casa, almeno.»
«Quello posso farlo.»
«Au revoir, Safira!» Safira sorrise così di cuore che forse avrebbe pianto. Vincenzo l'aveva appena salutata in francese, e in modo così buffo che voleva abbracciarlo.
«Ciao!» Le fece un'occhiolino, dopodiché Aaron, automaticamente le afferrò la mano. E Safira ci posò immediatamente lo sguardo sopra, e non si tirò indietro.
Un vero motivo per stare male. Era sulla strada giusta.
«Vorrei... mmm... forse dovremmo» Aaron continuava a guardarsi a destra e sinistra, indeciso su dove andare. «Potremmo andare...»
«Il tuo posto preferito» richiamò la sua attenzione tirandolo leggermente a sé. Aaron abbassò lo sguardo affinché riuscisse a guardarla negli occhi.  «C'è qui un posto che ami?» Forse Aaron non la stava nemmeno ascoltando, perché era così perso a guardarla che sembrava assorto in chissà quali pensieri.
«Vieni con me.» Andarono a destra. Passando difronte una chiesa, un negozio dipinto interamente di blu, e poi Safira non riuscì a guardare altro visto che Aaron aveva il passo esageratamente lungo rispetto al suo.
«Rallenta!» E lo fece, poco dopo. «Se corriamo così per tutta la vacanza...» le parole le morirono in bocca, perché la sua attenzione fu catturata da ciò che aveva avanti a sé.
«Questo» ammise Aaron. «Questo è il mio posto preferito» c'era un muro lungo tre metri, o forse quattro, con sopra attaccata una lavagna. In alto a sinistra c'era scritto: "Before I Die", prima di morire, ed estese per tutta la lavagna, chissà quante parole scritte con gessetti di diverso colore. «Ogni volta che torno, mi fermo a leggere ciò che è stato aggiunto, o ciò che è stato cancellato. E mi domando se alla fine tutti questi sogni sono stati realizzati.» Safira si avvicinò per leggere qualcosa, ma non capiva nulla.
«Puoi... puoi tradurmene alcuni, per favore?» Alzò una mano per indicarle una scritta.
«Vorrei la pace nel mondo» e un'altra. «Vorrei trovare una casa» un'altra ancora. «Vorrei un figlio» Safira sorrise malinconica e un vuoto le si aggrappò poco sotto lo sterno. «Vorrei sorridere alla vita. Vorrei ubriacarmi. Diventare nonna. Diventare ricco. Mangiare. Farmi una canna» entrambi scoppiarono a ridere, e improvvisamente il vuoto divenne sempre più leggero. «Vorrei vivere.» Safira camminò lungo quel muro, desiderava accarezzare ogni parola, ogni lettera, ma aveva paura che le avrebbe rovinate. Poi una scritta attirò la sua attenzione, forse perché era una delle poche che si leggeva bene lì in mezzo.
«Questa?» Aaron la raggiunse. «Questa che cosa vuol dire?» Non le rispose subito. Anzi, sembrò assorto nel leggere quella frase. Safira si domandava che cosa potesse mai esserci scritto di così tanto interessante da attirare in quel modo la sua attenzione. Quando la guardò, negli occhi gli risplendeva una strana luce. Il fiato di Safira si spezzò. Come potevano quegli occhi neri risplendere di luce propria? E perché diamine ogni volta le facevano provare quell'intruglio di sensazioni che a stento la lasciavano respirare?
«Prima di morire, vorrei amarci.»
Maledetto. Maledetto. Maledettissimo destino.
Sembrava proprio che si stesse divertendo a prendersi gioco di loro due.
Perché era quello che stava facendo, no? Li stava prendendo in giro. Non poteva trattarsi di altro.
Safira trasalì. Si stava pizzicando le dita con così tanta ansia, che finì per togliersi una pellicina, e farsi male. «Che succede, Safira?» Sussurrò Aaron.
«Mi... mi sono...» quando si accorse che si trovavano all'aperto, e con l'aria del mare che li circondava, respirare divenne più facile. «Nulla. Mi sono tolta una pellicina.» Aaron sorrise debolmente, dopodiché mise una mano nei pantaloni, prendendo il portafoglio. Quando lo aprì, dall'interno prese un cerotto.
«Tieni.» Afferrò il polso di Safira, e con delicatezza risalì alla mano, per poi prenderle il dito.
«Tu ti porti i cerotti ovunque?» Aaron scosse la testa.
«Solo quando ci sei tu» sorrise, perso nei ricordi. «Quando ti ho rivista la prima volta, hai tirato una testata al bancone.» Safira chiuse gli occhi, fece una smorfia.
«Non ricordarmelo.» Aaron alzò lo sguardo, e quando finì di metterle il cerotto, le spostò i boccoli da davanti gli occhi. Il cuore le fremette.
«Sono stupito non ti sia rimasta la cicatrice» le ammiccò. «I cerotti con i gattini hanno funzionato alla grande.»
«Questo vuol dire che i tuoi tristi cerotti bianchi non avranno alcun effetto su di me.» I cerotti forse no, ma il solo esistere di Aaron le faceva provare così tante emozioni che non sarebbe stata in grado di descriverne nemmeno una.
«Okay, farò finta di non essermi offeso» alzò un braccio fino al bordo superiore della lavagna, dopodiché iniziò a tastare la cornice alla ricerca di qualcosa. Non ci volle molto che trovò un piccolo gesso azzurro, che mise davanti gli occhi di Safira. «Forza. Lasciami un pezzo di te, ragazzina.»
Safira guardò il gessetto per un po', quando decise di afferrarlo, le mani le tremavano.
Un pezzo di lei.
Aaron si era già fatto possesso di Safira e nemmeno se ne era accorto.
Camminò lungo la lavagna, fino a trovare un microscopico spazio in mezzo tutte quelle frasi.
Prima di morire.
Quante cose avrebbe voluto fare prima di morire. Avere dei figli. Una famiglia. Realizzarsi. Perfino visitare la Germania.
Ma non ci scrisse mezzo di quei sogni, nemmeno il più significativo, perché prima che riuscisse a zittire il suo io, Safira aveva scritto: "Vorrei darci una tregua".
Prima di morire, vorrei darci una tregua.
«Cos'hai scritto?» Prese un profondo respiro, e si mise davanti la scritta per bloccarne la visuale ad Aaron.
«Non sono affari tuoi» ed Aaron avrebbe anche fatto finta di nulla, ma quando Safira si sforzò di non ridere, provò a raggirarla, ma lei proprio non si smosse da lì. «Togliti, They. Potresti farti del male.»
«Correrò il rischio» ma era impossibile leggere quella scritta se Safira continuava a saltellare a destra e sinistra come una scimmia per bloccarlo. «Avanti, fammi leggere.»
«Piuttosto la cancello.» Aaron alzò le sopracciglia sorpreso, oramai era curioso da morire.
«Piuttosto ti prendo di peso per leggerla.» Safira aguzzò la vista. Era pronta a staccargli la giugulare a morsi qualora Aaron avesse anche solo mosso un passo nella sua direzione.
«Provaci.»
Azzardò a muovere un passo in direzione di Safira, e lei gli saltò letteralmente addosso, attaccandosi alle spalle e coprendogli gli occhi con le mani. Ma gli stava per staccare la testa, visto che era bassa rispetto ad Aaron. «Ok! Ho capito! Lasciami andare!»
«Allontanati da qua, prima.»
«Come faccio? Mi stai rompendo il collo.» Safira saltò giù, e per finire gli diede uno spintone che lo fece barcollare leggermente in avanti.
Quando Aaron si sistemò, si girò a guardarla. «Sei pazza.»
«Sì, anche» l'osservò passarsi le mani tra i ricci, e poi abbassarsi la maglietta nera. «Ho un po' di fame.»
Ad Aaron scappò uno sbuffo di divertimento. Safira era realmente pazza. Le porse il braccio, invitandola ad accettarlo. «Se è così gentile da seguirmi, signorina They.» Safira sgranò gli occhi, subito dopo scoppiò a ridere. Non poteva cadere in mutismo selettivo, e non poteva fare finta di odiarlo. Quando lo amava.
«E dove vuole portarmi, Dottor They?»
«Ovunque lei desidera. Ad un bar, un pub» Safira si attaccò al suo braccio. «Sulla luna. Posso portarla anche sulla luna, se lo desidera.» Prese un profondo respiro, e sorrise.
«Portami dove il tempo non ci insegue» Aaron la guardò, ma Safira sembrava essere su un altro pianeta, e quasi gli sembrò che l'avesse detto per sbaglio. «Dove per noi tutto è più semplice» gli strinse il braccio, per sentirlo più vicino, per richiamare la sua attenzione. «Esiste questo posto, Dottor They?»
«Posso farlo esistere» quando si fermò, di conseguenza anche Safira fu obbligata a bloccarsi. «Se è quello che desideri, posso farlo esistere.» Safira buttò la testa all'indietro, non ne capiva il motivo, ma sentiva pizzicarsi gli occhi dalle lacrime.
«Allora, ti prego. Ti prego, fallo esistere» si alzò sulle punte per mettergli una mano sul viso. «Ti prego, Aaron.»
Il momento della tregua era finalmente arrivato.

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