Il Buongiorno Si Vede Dal Mattino

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Safira era sveglia. Ma non aveva ancora trovato il coraggio per aprire gli occhi. Era consapevole del fatto che Aaron si fosse svegliato da più tempo di lei, che si fosse fatto una doccia, che fosse uscito, molto probabilmente per comprare la colazione, e che fosse ritornato più o meno da dieci minuti. Ma lei. Ancora. Non aveva. Aperto. Gli occhi.
Ma avrebbe dovuto farlo, con o senza coraggio. Doveva seriamente recuperare le forze.
Maledetto Aaron They. Maledetto Negroni. Erano rimasti svegli fino alle tre del mattino, e chissà che ore erano. Aprì gli occhi, nella camera non c'era nessuno se non lei. Era nuda, e indolenzita. Le gambe le facevano male. Afferrò da terra la camicia di Aaron, e insieme ad essa i boxer neri. Stava per entrare in cucina, ma cercava ancora il coraggio.
Ci si era spogliata davanti, avevano fatto sesso per tutta la notte e in quel momento aveva paura di guardarlo in faccia. Quando si dice dover affrontare le proprie conseguenze. Prese un profondo respiro, ed entrò in cucina.
Aaron era poggiato allo stipite della finestra, girato di spalle, per questo non doveva essersi accorto della sua presenza. Sul tavolo di legno, c'era una bustina bianca e il bollitore era accesso, accanto il gas c'era una ciotola con chissà che impasto dentro. «Buongiorno» non appena la sentì, si girò immediatamente. Aprì la bocca, ma non uscirono parole. «Scusami, mi sono messa le tue mutande.» Alzò la camicia per mostrargliele. Aaron strinse le labbra.
«Ti sto preparando la colazione, vatti a fare una doccia nel frattempo. Non so quanto ancora resisto prima di riportarti a letto e scoparti, conciata così» le si avvicinò, e le stampò un bacio tra i capelli mossi. Più che mossi, dopo la notte trascorsa erano diventati un ammasso di capelli indomabili. Safira si stava quasi pentendo di essersi tolta la trecce. «Profumi di sesso.»
«Vado a farmi la doccia, ho capito.» Non era pronta psico-fisicamente ad un altro round. Specialmente per quanto riguardava la parte fisica.
Sotto il getto d'acqua calda, diede una testata al muro. Sperava che il quel modo i pensieri si sarebbero zittiti, ma fu inutile. La tormentavano da quando si era svegliata. Cosa sarebbe accaduto? Come si sarebbero dovuti comportare? Aveva avuto il sesso più bello della sua vita con una persona che amava, ma che non amava lei. Doveva lasciarlo andare, ma avrebbe dovuto farlo già da quel giorno?
Troppe domande e poche risposte. Magari, con la colazione qualcuna sarebbe arrivata.
«Te la senti di andare in spiaggia? O preferisci riposarti?» Safira strinse le labbra non appena Aaron le mise sotto il naso un piatto di pancakes con nutella e panna. D'accordo, quello era stato il sesso migliore della sua vita, ma questo Aaron non doveva pensarlo.
«Sono già riposata, vorrei visitare tutto ciò che rimane» lo guardò. «Visto che domani è l'ultimo giorno.» In quel momento scattò un profondo silenzio. Perché l'aveva detto? Per ricordargli che il giorno dopo ancora sarebbero partiti o per ricordargli che dopo qualche giorno Aaron sarebbe partito per Los Angeles senza più guardarsi indietro? Entrambi.
Prese due bocconi di pancakes. «Sì» disse Aaron, un'affermazione più che forzata. «Sì, allora appena finisci vatti a preparare» evidentemente si era accorto della sua stessa reazione distaccata, così le si avvicinò, e le baciò una tempia. Safira si abbandonò poggiandosi alle sue labbra. «O possiamo stare un po' sul letto prima di uscire.»
«Come? Vuoi per caso accoccolarti?» Sorrise.
«Sì, voglio proprio accoccolarmi.» Le passò una mano sui capelli umidi.
«Ci accoccoleremo, te lo prometto. Ma al momento bramo di nuotare tra le alghe, e prendermi il sole.»
«Rovini sempre i momenti più romantici?»
«Perdonami, c'è del romantico lì dentro, dopo ieri notte?» Aaron mise su un ghigno compiaciuto.
«Ti sorprenderesti.»
«Penso che nulla potrebbe più sorprendermi» scoppiò a ridere coprendosi il viso. «Oddio, aveva ragione Abby.»
«Su che cosa?» Scosse la testa, e dopo essersi presa un altro boccone, rispose.
«Ti definisce un Dio del sesso.» Aaron sgranò gli occhi.
«Abby, mi definisce un Dio del sesso?» La guardò dall'alto. «Quante volte tu ed Abby avete tratto supposizioni su come fossi a letto?» Safira boccheggiò, alla fine strinse le labbra.
«Un paio di volte» alzò le spalle. «Ma ha iniziato lei.»
«C'è qualcos'altro di cui avete parlato tu ed Abby che mi riguarda?» Safira arricciò le labbra pensandoci su.
«Sì. Ma non devi saperlo, in effetti non dovevi sapere nemmeno delle nostre supposizioni di come fossi a letto» prese un ultimo boccone e si alzò dalla sedia. «Quindi fatti gli affari tuoi.»
«Vorrei baciarti» con un ginocchio le bloccò il passaggio per andare in camera. Safira era incastrata tra il tavolo ed Aaron. «Posso baciarti?»
«Dipende, è un bacio, o un bacio che finisce con noi sudati a letto?» Ed ecco il ghigno. Maledetto ghigno. Maledette fossette.
«È un: vorrei baciarti, ma potrei non riuscirmi a controllare» le puntò un dito appena sotto il collo, iniziando a scendere lentamente verso il petto. «Ma non ho più profilattici, quindi sarà un bacio e basta.» Per un istante, Safira si rabbuiò, ma in fretta si riprese.
«Non puoi baciarmi, se dopo quel bacio segue un basta» gli mise una mano sul petto allontanandolo, con qualche passo si poggiò ai fornelli e Aaron incrociò le braccia al petto. «Spiegami i tuoi tatuaggi.»
«Ti ho già ribadito che non hanno alcun significato.»
«Bugiardo. Quanti sono?» Si legò i capelli con l'elastico che aveva al polso. «Quindi, quanti sono?» Aaron si schiarì la voce, e la guardò negli occhi.
«Sono trentuno.»
«Trentuno» ripeté. «E di trentuno tatuaggi, nessuno di loro ha un significato?» Gli si avvicinò, buttando la testa all'indietro per guardarlo meglio. «Proprio nessuno?»
«Nessuno. Sono lì perché mi piacevano» Safira gli afferrò il polso, affinché Aaron flettesse il braccio destro. Puntò il dito su un tatuaggio a caso. «Cos'è?»
«È una libellula.» Gli toccò poi la spalla.
«E questo?» Se lo guardò.
«Una farfalla» mise il dito sul petto. «Una X.» Safira aggrottò le sopracciglia.
«Una X?» Lo guardò, c'era per davvero una X.
«Lì c'è il mio cuore.»
«Allora vedi che un significato c'è?» Aaron sorrise.
«Forse qualcuno un significato ce l'ha.»
«E quali sono gli altri?» Abbassò lo sguardo per cercarli, e le mostrò sulla spalla, un cuore .«È per la mia famiglia» poi girò il polso sinistro. «E questo è il Bastone di Asclepio.» Alzò il braccio destro, e sul costato le indicò l'ultimo tatuaggio con un significato. Safira non abbassò lo sguardo per osservato, era fin troppo persa negli occhi di Aaron.
«Che cos'è?»
«Sono tre peonie.» Un respiro le si bloccò in bocca. Era magicamente tornata nel presente, col cuore che aveva rallentato improvvisamente i battiti. Guardò il tatuaggio, e poi Aaron.
«Stai scherzando?» Esalò. C'erano tre peonie tatuate sul costato di Aaron. E la mente di Safira stava già viaggiando in lungo e in largo tra i ricordi.
«No. Io non avrei mai potuto dimenticarti, tanto valeva portarti con me per sempre» le girava la testa, quasi le tremavano anche le gambe. «Quante volte sei finita in punizione per quelle peonie?»
«Tantissime...» ogni volta che alle elementari li portavano a ricrearsi, puntualmente Safira si allontanava fino ad arrivare ad un cespuglio di peonie. Non facevano parte della scuola, ma del signore che ci viveva accanto. L'aveva colta più di una volta seduta ad osservarle, e un giorno forse per quanta pena le aveva fatto, gliene diede una. E Safira finì per la prima volta in punizione, le maestre credevano che gliel'avesse rubata. La prima volta di tante altre. «Io ho ancora la prima peonia che quel signore mi aveva regalato.» La conservava gelosamente nella sua camera, seccata e inquadrata al muro.
«Ma perché le peonie? C'erano così tanti fiori in quel giardino, così tante rose.» Safira strinse le labbra.
«È così facile notare le rose in un giardino pieno di fiori» abbassò lo sguardo. «Le riconosci subito, sono forse i primi fiori che le persone guardano. Sono alte, ed eleganti, e fini» si domandava se dopo tutti quegli anni il giardino del signore fosse ancora curato come lo era all'epoca, o se fosse stato abbandonato al suo destino. «Ma le peonie chi le guarda? Sono fiori pieni, non sono belle quando non sono aperte» si iniziò a pizzicare le dita. «Odio le rose! Le odio, io non mi sento una rosa, io non sono nata per sbocciare immediatamente ed essere notata da tutti. Io sono una cacchio di peonia, io sono paffuta, mi apro lentamente ed è quasi impossibile che vengo scelta al posto di una rosa!» Chiuse gli occhi. Il discorso più assurdo che avesse fatto l'aveva fatto proprio in quel momento. Prima aveva provato a dissuadere Aaron, e poi era finita col raccontargli il vero motivo del perché durante la ricreazione si sedeva a gambe incrociate difronte un cespuglio di peonie.
«Ho intrapreso medicina per te» Safira sussultò a quelle parole. Quando guardò Aaron, lui sembrava sul punto di piangere, ma sarebbe parso impossibile. Aaron They che stava per piangere. «Tua madre non mi ha mai fatto entrare nella tua camera mentre eri in coma, ma un giorno ho aspettato ore intere nascosto che ti lasciasse sola, anche solo per andare al bagno. Quando si era allontanata ero entrato, e ti avevo osservata dormire. Perché per me era quello che facevi, dormivi da tempo e non ti andava di svegliarti» le pizzicò il naso, alzò gli occhi al cielo per ricacciare in dentro le lacrime. «Eri collegata a più fili di quanti me ne potessi immaginare, e ti avevo preso la mano dicendoti che eri troppo pigra. Ti avevo guardato molte volte addormentarti in classe, ma stavi davvero esagerando. Ti avevo detto che era ora che ti svegliassi perché un giorno quel signore mi aveva domandato di te, mi aveva messo in mano tre peonie e mi aveva detto di portartele» il cuore le fece male a quelle parole. «Io te le avevo portate, e le avevo lasciate sul comodino. Ti avevo detto: "Ci sono i tuoi fiori qui. Uno è di colore bianco, uno è rosa e uno è fucsia. Apri gli occhi e guardali. Apri gli occhi e scusami. Apri gli occhi ed odiami, ma apri gli occhi."» Safira indietreggiò fino a toccare il mobile della cucina, e lentamente scivolò a terra singhiozzando. «Non l'avevi fatto, e per un istante avevo anche creduto che le peonie non ti piacessero più, ma mi sembrava impossibile. Era impensabile che Safira Smith non andasse su di giri con delle peonie accanto.»
«Aaron...»
«Poi mi hanno trasferito in collegio, senza mai avere una risposta del perché non ti fossi svegliata. Ho dovuto trovarmela da solo. Sono diventato una matricola, un tirocinante, un chirurgo per scoprire che ti avevano messa in coma farmacologico perché nella caduta avevi riportato un gravissimo trauma cranico. Che fossi viva per miracolo» si afferrò il viso tra le mani, stremata da quel discorso. «Ti avevano obbligata a dormire affinché tu non rubassi più peonie agli anziani signori» Safira era sommersa dai singhiozzi, così tanto da trovare difficile anche respirare. «Sei stata il mio primo tatuaggio. Il mio primo amore. Sei stata il motivo per cui sono chi sono oggi. Sei sempre stata tu, Rira.» Era quello il momento per dirle che fosse innamorato dei lei. Ma a che costo? Non poteva incastrarla nella sua vita con la forza, non se lo sarebbe mai perdonato.
Safira si asciugò le lacrime, ma era inutile visto che continuavano ad uscire imperterrite. «Non te ne andare» sussurrò. Il cuore di Aaron venne avvolto in una morsa di dolore. Le si inginocchiò davanti, le afferrò il viso tra le mani. «Per favore, ti prego. Non te ne andare» gli strinse i pollici. «Aaron, ti prego. Non... non mi abbandonare. Non di nuovo.»
«Non puoi rimanere legata a me. Non posso permettertelo» strinse le labbra, perché aveva voglia di piangere quanto lo stava facendo Safira, ma non piangeva da anni, era difficile abbandonarsi alle lacrime. «Ci penso io a farlo. Lo faccio da ventiquattro anni, lo farò per sempre. Sarò sempre legato a te, ti porterò ovunque andrò, per sempre.»
«No, non puoi» scosse la testa, Aaron sorrise debolmente. Safira alzò lo sguardo al cielo, poi lo guardò dritto in quei suoi occhi dal colore che in quel momento non aveva poi così tanta importanza decidere quale fosse. Era il momento che cascasse il mondo, che il cuore di Safira si spezzasse per un motivo. «Non puoi farlo, non puoi andartene dall'altra parte del mondo e rimanerci, perché io sono innamorata di te» Aaron trasalì. La bocca gli si schiuse. «Mi sono innamorata di te, e tu non puoi lasciarmi. Non puoi voltarti e ritornare alla tua vita e scordarti di me qui.»
«Safira...»
«No» lo zittì. «Mi devi ascoltare prima di mandare tutto questo a puttane» gli afferrò il viso tra le mani affinché le prestasse tutta l'attenzione che aveva. «Aaron They, io mi sono innamorata di te. Ti sto supplicando di non abbandonarmi.» Non riuscì più a resistere. Aaron il secondo dopo la stava già baciando stringendola al petto.
Safira gli si aggrappò alle spalle con tutte le forze rimaste, che non erano tantissime dopo quel pianto disperato. Il viso bagnato di lei bagnò addirittura quello di Aaron, ma cosa importava?
Gli sorrise sulle labbra, sotto tutte quelle lacrime, e si allontanò poggiando la fronte su quella di lui. «Mi abbandoni lo stesso» sussurrò. Quello era un vero e proprio bacio d'addio. La stava baciando come se dopo non ce ne sarebbe stata la possibilità. «Lo fai, non è vero?» Le labbra di Aaron tremarono.
«Safira, sono innamorato di te da quando ne ho memoria» si allontanò per guardarla. «Tu non sai cosa ho potuto provare la prima volta che ho scoperto chi fossi. Non sai cosa voleva dire amare te mentre tu odiavi me» Safira scosse la testa, non voleva ascoltarlo. Amare lei. Aaron l'amava? Com'era possibile? «Dammi il tempo per sapere cosa fare. O meglio, so già cosa voglio fare, ma quel che devo fare è più complicato di un desiderio» le carezzò i capelli. «Ci sono doveri a cui non posso mancare.»
«E cosa succede nel frattempo?» Aaron sorrise, si alzò in piedi da terra, e aiutò Safira a fare lo stesso.
«Se me lo permetterai ti amerò. Perché è quello che ho continuato a fare da quando ti avevano portata via da me. Fammi riscattare.» Le asciugò le lacrime. Respirare era più facile dopo essersi tolti a vicenda quel peso dal petto che li logorava da tempo.
«Ma se alle elementari a stento mi rivolgevi qualche parola» sorrise. «Ti limitavi a guardarmi e a balbettare ogni volta che ti domandavo qualcosa» Aaron alzò un sopracciglio stringendo le labbra, Safira parve rianimarsi. «Oddio. Ti piacevo?»
«Mi sembrava alquanto evidente, a te no?» Batté le palpebre così tante volte.
«Ero molto più che convinta che ti piacesse Tiffany.»
«Tiffany?» Fece una faccia sorpresa. «In tutto quel tempo ci avrò parlato due volte con quella bambina.»
«Molte più di quanto tu abbia parlato a me.»
«Ti ho parlato più di quanto ricordi. Non erano discorsi così tanto lunghi, ma qualcosa ti dicevo.»
«Tipo?» Aaron arricciò le labbra.
«Ti davo il buongiorno ogni mattina. Aspettavo sempre che finissi di fare lo zaino in modo tale che non restassi sola, e puntualmente ti davo sempre il mio budino al cioccolato» Safira sgranò gli occhi. «Te lo ricordi, vero?»
«Oddio» aggrottò le sopracciglia. «Tu avevi detto che non ti piaceva il budino al cioccolato.»
«Era ovviamente una scusa, Safira. A quale bambino non piace il budino al cioccolato?» Safira boccheggiò a corto di parole. «Poi...» iniziò a vagare con lo sguardo, in cerca di ricordi astratti a cui aggrapparsi. «Poi, una volta Antoine mi ha pestato di brutto.»
«Antoine? Il bambino della classe difronte alla nostra?» Aaron annuì. «Me lo ricordo! No, non è vero. Perché eravamo in giardino e io stavo parlando col signore delle peonie, ho solamente visto che bisticciavate e che poi ve le davate di santa ragione.»
«Ti sbagli, era lui che menava me, io me le facevo dare.» Safira sorrise.
«Lo ammetto, non mi era interessato il perché ne fossi uscito con un occhio nero, ma ora sono curiosa.» Aaron socchiuse gli occhi, prima buttò un'occhiata all'orologio della cucina.
«Te lo dirò mentre andiamo al mare. O vuoi perdere l'altra metà della giornata piangendo ancora?» Safira sgranò gli occhi, provò a colpirlo, ma Aaron le bloccò il polso per aria. «Prevedibile» se la tirò al petto, e la baciò. Safira si abbandonò alle sue labbra, perché finalmente poteva farlo. Poteva farlo e provare mille emozioni diverse mentre le loro lingue si intrecciavano. «Rira» la richiamò, ma non era molto intenta ad allontanarsi. «Rira.»
«Mmm» si staccò, ed Aaron strinse gli occhi arricciando il naso. «Che hai fatto?»
«Vai a prepararti, ti prego.» Sembrava addolorato, o combattuto. Non riusciva a capirlo. Lo squadrò lentamente, fino a quando non notò il rigonfiamento nei pantaloncini.
«Oddio.» Scoppiò a ridere non appena capì il motivo del perché la stesse respingendo.
«Smettila di ridere» incrociò le braccia al petto. «Sono serio, smettila.»
«Questo cosa vuol dire, che non potrò più baciarti?» Aaron alzò un sopracciglio.
Non diede spiegazioni, tantomeno disse nulla, ma le afferrò nuovamente il viso tra le mani per baciarla. Molto più che un bacio, sembrava stesse dipendendo dalle labbra di Safira in quel momento. Se la caricò in braccio, poggiandola sul piano cottura. Le morsicò leggermente le labbra, poi iniziò a scendere lentamente sul collo. Safira gli mise una mano tra i capelli affinché non si allontanasse, ma invece rallentò solamente la foga con cui la stava baciando. Le succhiò il lobo dell'orecchio, Safira buttò la testa all'indietro. «Mi domando» la voce di Aaron divenne un ringhio. «Se adesso ti infilassi due dita nelle mutande, quanto ti troverei bagnata?» Sentì l'elastico dei boxer allentarsi, mentre le dita di Aaron la esploravano con molta più lentezza di quella che serviva. Il fiato le si spezzò non appena la penetrò con facilità. «Cazzo, Safira» tornò a respirare solamente quando le tirò fuori. «Mi stai dicendo che tutto questo è per me?»
«Aaron...» la testa le girò quando si mise in bocca le dita per assaggiarne il sapore.
«Sei la mia condanna.» Le strappò di dosso le mutande, Safira dovette reggersi alle sue spalle per non cadere dal ripiano. Il tempo di fare mente locale ed Aaron era già in ginocchio ad esplorarla con la lingua senza pietà.
«Porca puttana.» Le scappò forse il gemito più forte di tutti, Aaron ci vide bianco per un attimo.
«Dovevamo andare al mare.» Lo attirò di nuovo a sé, impedendogli di dire qualsiasi cosa.
«Sì, certo. Oh, cazzo» stava per venirgli sulla bocca, non teneva nemmeno più il conto di quante volte era successo dalla scorsa notte. «Aaron» le gambe le tremarono intorno alle guance di Aaron, e strinse forte il piano mentre il corpo le fu preso dagli spasmi. «Cazzo.» Aaron si raddrizzò, le afferrò il viso tra le mani, carezzandola col pollice affinché recuperasse il fiato.
«Questa sarà per sempre la mia colazione preferita, Safira.» Le lasciò un dolce bacio sulle labbra, e Safira si domandò come quelle due azioni così tanto diverse potevano provenire dalla stessa persona.
«Ti prego, scopami.» Rimase quasi sorpreso da quella supplica, ma non del tutto.
«Non ho più profilattici, Rira.» Safira strinse le labbra, pour parler doveva essere sincera con Aaron tanto quanto lui lo era stato con lei.
«Davvero, scopami» sorrise debolmente, abbassò lo sguardo. «Sono sterile.» Il tempo si fermò per qualche secondo. Aaron si fermò, e anche il respiro di Safira.
«Rira...» aveva evidentemente fatto uno sbaglio a dirlo in modo così diretto, perché la sua voce divenne improvvisamente più delicata.
«Oddio, no» lo guardò. «Non rovinare il momento, per favore» si drizzò per riuscirlo a baciare. «Per favore, Aaron.»
«Sei sicura?»
«Sono sicura.» Rispettò la sua richiesta, e poco dopo si abbassò i pantaloncini insieme ai boxer.
«Aspetta, aspetta.» Le afferrò il viso tra le mani.
«Che c'è?» Safira non ne poteva più, non avrebbe resistito abbastanza.
«Questo sarà molto probabilmente il momento più bello di tutta la mia vita. Non voglio correre.»
«Smettila di torturarmi.»
«Tu lo fai da molto più tempo» le afferrò le cosce e l'attirò fino al margine del piano. Si passò una mano sulla bocca, e leccò tre dita lasciandoci sopra un po' di saliva, che poi lasciò sopra la punta del pene. Con lentezza penetrò Safira fino in fondo, e quel contatto bastò a fargli girare la testa. «Porca puttana» buttò la testa in avanti, e rimase fermo per qualche secondo a stringerle le cosce. «Non odiarmi se verrò nel minor tempo possibile, ma sei così stretta da darmi alla testa» si tirò indietro, con una spinta la fece sussultare. «Cristo, mi stai risucchiando.»
«Aaron, ti prego.» I movimenti divennero sempre più veloci e decisi. I fiati di entrambi traballavano, Safira incrociò le gambe al corpo di Aaron per averlo più vicino.
«Porca puttana, Safira» le mise una mano sul collo, stringendolo leggermente ma senza farle male. «Sei perfetta.»
«Vienimi dentro, ti prego.» Gli morsicò la spalla, strappandogli un gemito. Aaron era al culmine.
«Oddio...» le affondò il viso nella curva del collo, orgasmando e venendole dentro. Safira restò senza forze venendo quella seconda volta, quindi si abbandonò al muro dietro di lei.
Restarono uniti per qualche secondo, dopodiché Aaron si fece indietro e Safira incrociò le gambe.
«Grazie.»
«Grazie?» Le carezzò il viso, ravviandole i capelli dietro le spalle, la baciò. «Grazie di esistere.» In tutto quel silenzio, a Safira brontolò lo stomaco.
«Non ho fame, ho mangiato.» Aaron strinse le labbra, l'aiutò a scendere dal ripiano.
«Ma ti ha brontolato lo stomaco.» Safira strinse ancor di più le gambe.
«Vado al bagno» gli pizzicò l'addome. «Non cucinare nulla, voglio andare al mare.»
«Ma ti ha brontolato lo stomaco, Rira
«Non ho fame!» Fece subito la pipì.
Ma quale mare, avrebbe pagato oro per dormire e recuperare le forze.

Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora