«Ahia. Ahia» Safira premette le tempie tra le mani. La testa le stava scoppiando. «Oh, che dolore» eppure qualcosa le faceva più male del mal di testa che stava provando, come la fitta allo stomaco non appena si accorse che quel gradevole profumo che la circondava, altro non erano che le coperte di Aaron. «Oh, merda» si tolse da sotto quell'ammasso di lenzuola, e scattò a sedere sul letto. Erano proprio le coperte di Aaron They quelle. «Oh, no» si guardò i vestiti. Non erano suoi, non era andata in discoteca in tuta, e sopratutto non portava una taglia così grande. «Oh, no» si girò lentamente verso la parte del letto vuota. Era in ordine, un buon segno. Voleva dire che Aaron non aveva dormito lì. «Okay» si alzò e raccolse i suoi panni piegati. Era impensabile che se li rimettesse e tornasse al negozio con una maglietta trasparente e la gonna, avrebbe preso in prestito la tuta di Aaron e poi gliel'avrebbe restituita. «Okay» aprì lentamente la porta, e sbirciò fuori per cercare di capire se ci fosse un uomo alto due metri e dieci nelle vicinanze. Nessun rumore, nessun respiro oltre al suo. Via libera. Corse in salone, trovò gli stivaletti accanto il divano e se li mise velocemente. Quando guardò l'orologio, quasi si sentì male. «Sono le tre del pomeriggio!» Afferrò la giacca, se la mise e non appena aprì la porta, si ritrovò davanti Aaron, con le chiavi di casa sospese per aria. «They.»
«Stavi scappando?» La squadrò velocemente.
«No...» si fece da parte per farlo passare, e richiuse la porta alle sue spalle. Okay, stava scappando, ma non poteva essere maleducata fino alla fine dicendogli la verità.
«Sul tavolo della cucina c'è la colazione, serviti pure.» In effetti Safira moriva di fame, ma erano le tre del pomeriggio, era in casa di Aaron e chissà dove aveva il cellulare. Si tastò le tasche della giacca, e lo sentì lì dentro.
«Non fa nulla, sono apposto.» Lo stomaco le brontolò, Aaron si girò a guardarla con un sopracciglio alzato.
«Fa' colazione, ti riporterò a casa non appena avrai finito.» Ma che altro poteva fare? Non aveva neppure la scusa del bar visto che era domenica.
«Okay» poggiò il cappotto sul divano, e lentamente, a testa bassa andò in cucina. «Uhm... per caso ieri notte...» come avrebbe potuto chiederglielo? E poi che cosa gli stava chiedendo? «Che cosa è successo?»
«Quando sono arrivato stavi ballando la baby dance» Safira si ingozzò con quel cornetto. «Poi tu ed Abby vi siete iniziate a strusciare su due tipi.»
«Oh, no.» Si coprì il viso piena di vergogna, anche se Aaron non poteva guardarla, visto che non capiva in quale parte della casa si trovasse.
«Infine ti ho portata qui.» Tutto lì? Quella era stata la nottata? Il mal di testa che aveva non ne era valso proprio la pena.
«Mi dispiace.» Aaron le apparì alle spalle, si era cambiato e in più aveva gli occhiali da vista.
«Per cosa?» Safira si girò a guardarlo, lo stomaco le si chiuse, improvvisamente non aveva più fame.
«Per... per...» scosse la testa e riabbassò lo sguardo. «Per qualsiasi cosa molesta io possa aver fatto.»
«Non hai fatto nulla di molesto nei miei confronti, Safira» il cervello le andò in tilt. Perché faceva improvvisamente caldo lì dentro? Era stato forse il latte caldo, o il modo in cui Aaron pronunciava il suo nome? E perché aveva l'impressione di non poterlo guardare senza arrossire? «Perdonami se non mi hai trovato questa mattina, poco dopo averti messa a letto sono dovuto andare in ospedale.» No. Non poteva passare altro tempo con Aaron. Doveva andare via.
«Penso che andrò a casa.»
«Vado a prendere le chiavi...»
«No» Aaron strinse le labbra. «Voglio camminare, mi farà bene camminare.»
«Sembri una scappata di casa, Safira.»
«Ecco, grazie.»
«Dico solamente la verità» aggrottò le sopracciglia. «Ma che hai fatto?»
«Cioè?»
«Perché non mi guardi in faccia?» Ecco la fine catastrofica di Safira. Era arrivata prima di quanto si fosse aspettata. «Ti metto in imbarazzo?»
«Ma per favore.»
«Avanti, ti accompagno a casa e poi possiamo stare un'intera giornata senza vederci.» Doveva essere un'offerta allettante, allora perché non suonava come tale?
«No» saltò giù dallo sgabello e finalmente lo guardò negli occhi. «Andrò a piedi.»
«È tantissima strada a piedi.»
«Mi farò una bella passeggiata» lo sorpassò, Aaron la seguì e prima di uscire afferrò le chiavi della macchina. «Smettila di seguirmi.»
«Smettila di fare la sostenuta, vieni con me.»
«No.» Di fuori l'aria fredda le diede uno schiaffo in pieno viso, ma non la fermò dal continuare a camminare.
Aaron con una corsa prese la macchina, ci montò sopra e lentamente seguì Safira lungo in marciapiede alla sua stessa velocità. «Oh, Dio. Sei proprio insopportabile.»
«Sali in macchina e ti porto a casa» una macchina gli suonò più volte, ma Aaron non si scostò minimamente. «Safira.» Due ragazze, forse più giovani di Safira, la squadrarono sconvolte, poi scoppiarono a ridere tra di loro. A quel punto si fermò, Aaron fece lo stesso.
«Fanculo.» Salì in macchina, ma rimase il più lontano possibile da Aaron.
Restarono in silenzio fino a quando non parcheggiò davanti il bar, lì sbatté la portiera, e scese molto più che infastidita. «Safira.»
«Mi hai accompagnata, ora vattene.»
«Sai, sei più gentile quando bevi» la seguì fin dentro il negozio. «Non capisco perché ti stai comportando in questo modo.» Perché Safira si sentiva fin troppo esposta, ma questo ad Aaron non poteva dirglielo.
«Mi fa male la testa.» A lunghi passi salì fin sopra casa, e iniziò a cercare nei cassetti qualcosa che potesse calmare quel martellamento alle tempie.
«Lascia che io ti aiuti.»
«Non ce n'è bisogno, perché non vai a riposarti? A casa tua. Devi essere molto stanco.»
«Safira.»
«Pensavo di andare a dormire io, quindi non c'è motivo che rimani qui.»
«Safira.» La richiamò.
«Che c'è?» Si girò di scatto, glielo avrebbe dato con piacere uno schiaffo ad Aaron, e infatti si era preparata. Se non fosse stato però che Aaron le stava dando qualcosa di troppo fragile per essere coinvolto in quell'incidente. «Oh, mio Dio.»
«Mi stavi per tirare uno schiaffo?» Le guardò la mano tesa.
«Sì, forse» Aaron teneva tra loro due una tazza. A forma di koala. Fin troppo simile a Mr. Spuck. «Ma ho cambiato idea» si avvicinò. «Quella... è per me?»
«Sì. Abby te l'aveva rotta, giusto?» Safira annuì a corto di parole. «Mi ricordavo solamente che fosse un koala, spero non sia troppo diversa da quella che avevi prima.»
«Te lo sei ricordato...» esalò. Quando l'ebbe tra le mani rimase incantata. «Mr. Spuck.» Si stava sentendo terribilmente in colpa di essere stata così tanto scontrosa con Aaron da quando si era svegliata. Lui le aveva regalato Mr. Spuck. Non quello originale, ma un degno erede.
«Ti lascio col tuo koala.» Il tempo che si girò di spalle e Safira gli afferrò il polso senza pensarci. Aaron guardò prima la sua mano e poi lei.
«Aspetta» lo lasciò andare e poggiò la tazza sopra il letto. «Dove andrai?»
«A casa.»
«Grazie per la tazza, non avresti dovuto.» Le sorrise.
«Lo so.» Si girò nuovamente per scendere le scale, allora Safira lo richiamò.
«They» boccheggiò un po' quando la guardò. «Credo che sia ora... penso che...» fece due passi indietro a testa bassa. «No, nulla. Scusami.»
«Safira» le mise due dita sotto il mento per farsi guardare. «Ti passo a prendere alle venti» annuì, era solo quello ciò che poteva fare visto che dalla bocca non le usciva nulla. «D'accordo.»
«Safira!» Abby entrò a palla nel bar, canticchiando il nome dell'amica a gran voce. Rianimò entrambi.
«Oh, che palle Abby.» Scese prima lei e poi Aaron.
«C'è anche Aaron. Ciao, Aaron.»
«Ciao, Abby.»
«Tu stai bene, perché tu stai bene?» Safira si fermò, Aaron le sfiorò la schiena col petto.
«Perché io reggo bene» si stiracchiò. «Ho voglia di cinese, mangiamo cinese stasera?» Prima che potesse aprire bocca, Aaron parlò.
«Indovina, te la ruberò anche questa sera.»
«No! La devi smettere!» Gli puntò un dito contro. «Non sei mica il suo ragazzo! O, cioè, non lo sei per davvero!» Safira fece una smorfia. «Non mi piace quella faccia.»
«Lo accompagno fuori.»
«Ah, certo» Abby schioccò la lingua sui denti. «Traditrice.»
«Possiamo rimandare, se preferisci stare con Abby.» Aaron dovette stringere i pugni per non sfiorarla.
«Non voglio rimandare» si rese conto di suonare fin troppo disperata. «Dobbiamo farlo. Fa parte delle regole.» Aaron parve confuso, poi sembrò ricordarsi che avevano sfilato una lista di regole per quel loro strano accordo.
«Giusto, le regole.» Ma si trattava per davvero solamente di regole?
«Ci vediamo stasera, allora.»
«Ci vediamo stasera.»
Quando rientrò nel bar, Abby le lanciò contro un canovaccio. «Allora, dammi una buona spiegazione, tipo che ti stai innamorando di Aaron e per questo rinunci al cinese.»
«Mi sto innamorando di Aaron, per questo rinuncio al cinese.» Abby sgranò gli occhi e si tappò la bocca con la mano.
«Stai mentendo.»
«Sì, certo che sto mentendo» le rilanciò il canovaccio. «Sto mentendo» scosse la testa ridendo. «Sono una bugiarda.»
«Oddio, Rira. Ti stai innamorando di Aaron?»
«No» si avvicinò ad Abby. «Mi ha regalato una tazza molto simile a Mr. Spuck.» Sussurrò.
«Quanto simile?» Sussurrò di rimando. Nonostante attorno a loro non ci fosse nessuno.
«Molto simile.»
«Bene, io mi ero scordata di avertela rotta» Safira le diede tre pizze sul braccio. «Scusa! Non mi ricordavo di Mr. Spuck! Però Aaron se ne è ricordato.»
«Già, l'ha fatto.»
«Okay» Abby annuì lentamente. «Ti va di andarci a sdraiare sotto le coperte e guardare "Io Prima Di Te"?» A Safira si inumidirono gli occhi.
«Sì, mi va.»
Passarono due lunghe ore a piangere. O meglio, Safira piangeva, Abby l'unico film per cui aveva versato mai una lacrima era stato "Il Miglio Verde". Quelle due ore le passò a consolare Safira e i suoi mille pensieri che si scontravano tra loro. «Ti sei ripresa?»
«Sì.»
«Continuerai a piangere anche dopo che me ne sono andata?»
«È probabile.»
«Chiamami se hai bisogno di qualcosa, io sono ancora favorevole al cinese.»
«Buono studio.»
«Buon pianto» si scambiarono un bacio. «Ti voglio bene, Rira.»
«Anche io» seguì tramite udito ogni passo di Abby, fino a quando non la sentì chiudere a chiave il negozio. «Uffa» afferrò il cellulare, e restò a guardare il nome di Aaron per mezz'ora. Una lunghissima mezz'ora, infine lo chiamò. «Aaron?»
«Ehi» Safira si drizzò sul letto. La voce di Aaron era così affievolita. «Stavo per chiamarti.»
«Ti senti bene?» Quei due colpi di tosse le fecero capire di no.
«Penso che Abby possa riscattarsi la sua serata di cinese» le parve di sentirlo sorridere, e quindi pensò alle sue fossette. «Io riscatterò la mia cena quando starò meglio.»
«Posso fare qualcosa per te?» Ci mise qualche instante a risponderle.
«No. Ma grazie lo stesso» sospirò. «Penso che andrò a dormire, ora.»
«D'accordo.»
«Scusami ancora.»
«D'accordo.» Aaron le attaccò e Safira venne inghiottita dal silenzio dei suoi pensieri.
Avrebbe dovuto chiamare Abby ed essere felicissima di annunciarle che la loro serata a base di cibo cinese era confermata. Che potevano sfondarsi continuando a guardare film su film fino a quando non si sarebbero addormentate.
Ciò che invece fece, fu prendere la bicicletta e pedalare fino a casa di Aaron, dopo aver preparato una busta piena di pane al cioccolato.
Trovò il portone aperto, sfaticata arrivò fino a quel maledetto attico col fiatone, e aspettò di ricomporsi prima di bussare. «Chi è?»
«Sono io. Sono Safira.» La porta si aprì, non appena guardò lo stato di Aaron, si morsicò il labbro inferiore per quando si sentiva in colpa.
«Safira.» Si passò una mano sul viso, ma poi indietreggiò fino a sdraiarsi sul divano. Non riusciva a stare in piedi.
«Perdonami» Safira chiuse la porta alle spalle, gli si avvicinò. «Io... scusami. Ti ho portato il pane al cioccolato.» Sussurrò.
«Stai lontana.» Lo squadrò velocemente.
«Aaron, sei sproporzionato rispetto al divano. Vai a metterti a letto, per favore.»
«Non saresti dovuta venire fin qui» si alzò in piedi traballante, Safira tese le mani in avanti qualora avesse perso l'equilibrio e sarebbe caduto. Schiacciandola. «Sei venuta a piedi?» Aggrottò le sopracciglia, perché aveva ancora il casco della bici in testa, ma giustificò Aaron e le sue condizioni.
«No, in bici» arrivato in camera si infilò sotto le coperte. «Cosa posso fare?»
«Sono io il dottore, ricordi?»
«Un dottore che prende l'influenza? Non fai una bella figura» Aaron sorrise debolmente, poi iniziò a tremare. «Dimmi che cosa posso fare, per favore.»
«Dentro l'armadio c'è un piumone, potresti...»
«Sì» non appena aprì le ante, il profumo di Aaron la travolse. Com'era possibile che fosse ovunque e in quel modo così tanto forte? E com'era possibile che ogni volta riusciva a far rallentare il ragionare di Safira? Afferrò il piumone e glielo mise sopra, sistemandolo come meglio poteva. «Hai già preso qualcosa? Devo... devo darti qualche medicina?» Gli si inginocchiò affianco. «Non so cosa fare.»
«Sì, lo sto notando» avrebbe potuto strangolarlo, ma si diede un contegno solamente perché non voleva prendersela con una persona ammalata. «Ho già preso qualcosa per farmi abbassare la febbre, tranquilla.»
«Io sono tranquilla» sussurrò, e si tolse il casco adagiandolo ai piedi del letto. «Vado a prepararti qualcosa di caldo. Posso andare a prepararti qualcosa di caldo?»
«Non avevi portato il pane al cioccolato?» Aaron continuava a tenere gli occhi chiusi ogni volta che le rispondeva.
«Sì, ma hai bisogno di qualcosa di caldo» poggiò una mano su quella di lui. Aaron aspirò tra i denti e fece una smorfia. «Oddio, che ho fatto?»
«Sei congelata» quando aprì gli occhi, si trovò Safira molto più vicina di quel che credeva. «Sei tu ad aver bisogno di qualcosa di caldo.»
«Okay. Cerchi di fare il simpatico da ammalato. Non ti riesce nemmeno quando sei sano.»
«Abbi pietà.» Espirò.
«Io vado a prepararti qualcosa, tu non svenire.»
«Okay.» Lasciò la porta aperta andando via, nel caso in cui Aaron avesse esalato l'ultimo respiro. Aprì il frigo e restò a guardarlo per un tempo prolungato.
«Ma che ci faccio qui?» Non riusciva proprio a spiegarselo. Alla fine, quanto doveva importarle se Aaron si fosse ammalato? Non così tanto da pedalare fin casa sua e prendersi cura di lui, comunque.
Gli preparò un po' di brodo vegetale, una minestrina. E se non l'avesse mangiata, gli avrebbe ficcato un imbuto in gola e l'avrebbe obbligato. «Sei ancora vivo?»
«Sfortunatamente per te» si spostò per farle spazio e si sedé affinché riuscisse a mangiare. «Ma è minestrina?»
«Volevi forse dire: "grazie per il tuo tempo".»
«Forse» scosse la testa divertito quando Safira si preparò ad imboccarlo. «Non l'avevamo scritto questo nelle regole.» Si guardarono a lungo. Il corpo di Safira venne travolto dai brividi.
«Sì, ma comunque ci siamo promessi in salute e in malattia» gli sfiorò le labbra col cucchiaio. «Ora mangia.»
«Mmm» Safira trattenne un sorriso difronte quella scena. «È buona.»
«Sì, lo so» strinse le labbra per non sputarle la minestrina addosso. «Non ridere, ti uccido.»
«Sarebbe un duello non equo.»
«Allora pensaci bene prima di sputarmi tutto addosso.»
«Permalosa...» Safira gli ficcò il cucchiaio pieno di minestrina in bocca per zittirlo.
«Stai zitto, Aaron They.» Si fece indietro ed ingoiò dolorante. Per quanto quella minestrina fosse calda gli vennero le lacrime agli occhi.
«Scotta!» Safira si strinse innocente nelle spalle. Aaron avrebbe voluto ucciderla, oppure baciarla, ancora non aveva deciso. «Tu cosa mangerai? Se vuoi ordinare qualcosa...»
«Ma che hai capito?» Scosse la testa con un sopracciglio alzato. «Ti sto rimettendo in forze, in modo tale che andrai di là a prepararmi quella buonissima pasta dell'altra volta» Aaron strinse le labbra e rimase in silenzio per un po'. Safira non riusciva a crederci che ci stesse realmente pensando. «Sto scherzando. Mangerò il pane al cioccolato se avrò fame.»
«Ma quello era per me.»
«Era. Prima che scoprissi quanto male stai.» Le afferrò una mano, dopodiché si alzò la maglietta e se la poggiò sul petto. Era come se fosse scoppiato l'universo tutto insieme.
Safira continuava a guardare il punto in cui la maglietta le copriva il braccio. Non respirava più. E non sapeva se per quanto stesse bollendo Aaron, o per come i suoi pettorali erano incredibilmente delineati. Posò il piatto accanto la figura di Aaron, e poi gli mise la mano libera in faccia, allontanandolo.
«Non toccarmi, They. Vado a prenderti da bere.»
«Che palle, Rira.» Buttò la testa all'indietro. Safira si bloccò accanto alla porta. Si girò lentamente verso Aaron con gli occhi spalancati.
«Mi hai chiamata Rira?» La guardò con un occhio aperto. Avrebbe potuto dirle di sì, e beccarsi un super mega cazziatone da parte di Safira e di come quel soprannome fosse per poche persone, persone a cui lei teneva in particolar modo e delle quali lui non faceva assolutamente parte. Oppure avrebbe potuto negare, e godersi un po' di silenzio mentre andava a prendere l'acqua. «L'hai fatto?»
«No.»
«Ma io ti ho sentito. Ho sentito che mi chiamavi Rira.»
«Ma non l'ho fatto. Vorresti che ti ci chiamassi?» Safira rimase col fiato sospeso. Voleva? Sì, sì perché sulle labbra di Aaron tutto risuonava in modo diverso.
«No, tu non puoi chiamarmi Rira.»
«Non ti ci chiamerò» sorrise, si coprì il viso con un braccio. «Non preoccuparti.»
Safira boccheggiò, poi si girò di spalle ed andò dritta in cucina. E ci rimase il tempo di mangiarsi un solo pane al cioccolato. «Per tua informazione, odio l'acqua naturale» al suo ritorno in camera, Aaron stava dormendo. «Ma questo a te non interessa.»
«Sì che mi interessa» lo sussurrò così piano che Safira pensò di esserselo immaginato. Ci si avvicinò, lo guardò dall'alto. Aaron aveva le guance e le orecchie rosse, la bocca socchiusa e i ricci che gli coprivano gli occhi. «Torna a casa, Safira.»
«No» gli si inginocchiò accanto, e poi si sedé a terra, poggiando la testa sulla sua mano calda. «Mi dovrai sopportare ancora un po'.»
«Almeno» tossì un po'. «Vieni sul letto.»
«Mmm. No, sto bene qua.»
«O sali tu o scendo io» sospirò. «Al novantanove percento, sei già infettata, non mi farà differenza prenderti di forza.»
«Cosa dovrebbe essere quell'un percento?»
«Un forte sistema immunitario.» Safira sorrise.
«Allora mi sa che sono fregata» Aaron rigirò la mano affinché il palmo aderisse alla guancia di Safira. «Sei caldissimo.»
«Vieni qui sopra, per favore» Safira chiuse per un istante gli occhi. Poi si alzò, fece il giro del letto e si mise sotto il piumone. Aaron si rigirò tra le coperte per averla faccia a faccia, e mise bocca e naso sotto il lenzuolo. «Hai lasciato qualche pezzetto di pane al cioccolato per me?»
«Non ho mangiato il pane al cioccolato.» Borbottò. Aaron alzò il pollice, e senza pensarci le pulì gli angoli della bocca.
«Sì, invece.» Safira seguì ogni suo movimento mentre se lo riportava alle labbra e ci passò la lingua sopra. Arrossì violentemente, ma fortunatamente lì dentro non si vedeva quasi nulla.
«Potrei avertene lasciato uno.»
«Ah, allora va bene.» Safira boccheggiò a vuoto, poi strinse le mani.
«Qual è il tuo colore preferito?» Sussurrò. Aaron fece una smorfia confusa.
«Il mio colore preferito?»
«Io penso che sia il nero, anzi, che molto probabilmente è il nero» strinse le labbra. «È il nero?»
«A me piacciono tutti i colori.»
«No, no. Cioè, sì a tutti piacciono tutti i colori, ma dico il tuo colore preferito.» Aaron era fisicamente stanco, e affannato, ma avrebbe tenuto duro un altro po' per Safira.
«Forse l'azzurro.» Ecco. Safira proprio non se lo aspettava.
«Quello del cielo?»
«Quello del mare» annuì distratta. Perché l'ultima volta che Safira era andata al mare era stato così tanto tempo fa che neppure se lo ricordava. «E il tuo qual è?»
«Lavanda.» Aaron sorrise, e le fossette gli spuntarono fuori. E il cuore di Safira tremò. Non poteva chiedergli anche il suo piatto preferito, perché era ovvio non fossero le lumache, ma se poi avesse scoperto quale in realtà fosse, a quel punto cos'altro restava da scoprire?
«Forse mi sto riaddormentando, ma non perché io non voglia parlare di colori preferiti.»
«Ah, non lo so. Faresti di tutto per scappare da un discorso così tanto interessante.»
«Starai ancora qui quando mi risveglierò?» Voleva toccarlo. Voleva passare le mani tra i suoi ricci e capire se fossero morbidi come sembravano o troppo impigliati per riuscire a farlo. Se le sue labbra erano morbide come apparivano, sapere se anche loro sapessero di crema solare.
«Sarò ancora qui.»
Aaron si addormentò definitivamente qualche secondo dopo. Safira lo raggiunse dopo un quarto d'ora.
Lui fu il primo a svegliarsi dei due. Si sentiva meglio, non da fare una maratona di corsa, ma dal potersi alzare dal letto senza traballare. «Io Rira ti ci chiamo quando mi pare e piace» le sussurrò dall'alto. Safira era chiusa a feto coperta fino a metà viso dal piumone. «Ma questo tu non lo saprai mai» le carezzò le tempie, e poi notò che era estremamente calda. «Oh, no.» Poggiò la mano sulla fronte. Era bollente.
«Se stai per dirmi che ho la febbre, io ti uccido» il corpo le iniziò a tremare, era così stanca che non riusciva ad aprire gli occhi. «Aaron, penso di avere la febbre.»
«Lo penso anche io» le si sedé accanto, togliendole una treccia che le stava scivolando sopra gli occhi. «Non uccidermi.»
«Non ora, più avanti lo farò.»
«Vado a prepararti qualcosa di caldo, così ti potrò dare la medicina.»
«Aaron» gli afferrò la mano. «Non farmi la minestrina.»
«Dovrò pur vendicarmi in qualche modo.»
«Ti odio.»
«Sì, lo so» si alzò dal letto. «Lo so.»
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Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!
ChickLitBisogna scommettere solamente quando si è certi di vincere. E specialmente quando la penitenza non comprende un matrimonio a Las Vegas con uno sconosciuto. Ma per Safira andava bene, alla fine si trattava tutto di finzione. Fin quando non incontrò p...