«Tesoro, sei sicura di stare bene?» Safira non aveva il coraggio di guardare Albert negli occhi. I postumi del dopo-asta si erano dissolti, le occhiaie un po' meno, e i ricordi di lei che si svendeva ad Aaron erano più che vividi. Fammi tua. Non riusciva più a smettere di pensarci. «Rira?»
«Sto bene. Stavi dicendo del tuo amico Vincent?»
«Che è un maledetto, ecco cosa. Mi aveva detto: "Scambiamoci le cartelle, cosa vuoi che cambi?". Tutto. Ha vinto i miei duecento euro al bingo quel bastardo» scosse la testa seccato. «E poi sai cos'ha detto? Ha detto: "Grazie".»
«Be', almeno ti ha ringraziato.»
«Certo, dopo essersi rubato i miei soldi almeno quello l'ha fatto!»
«Signor Albert si calmi, non vorremmo le prenda un infarto, uomo affascinante.» Abby spuntò fuori dal nulla, con una valigia accanto e il borsone in spalla.
«Dolce Abby, dove te ne stai andando?»
«A casa. Finalmente torno a casa per le vacanze di Pasqua, sono passata a salutare la mia povera dolce metà che se ne resterà sola soletta fin quando non sarò di ritorno.»
«È sempre molto tragica» Safira si alzò dal tavolo. «Torno subito, Albert.»
«Oh, no. Fai con calma» anche Albert si alzò. «Io devo vedermi con mia figlia. Fai buon viaggio Abby, portami qualcosa ovunque tu stia andando.» Le strinse il braccio, rivolgendole un sorriso.
«Le porto una fede nuziale, signor Albert.»
«In questo caso. Ciao, tesoro!»
«Ciao, Albert! Saluta Margherita!» Abby si girò lentamente verso l'amica con un'espressione sconvolta. «Che vuoi?»
«Adesso te e signora They siete migliori amiche? La tua amica Margherita?»
«Oh, ma piantala» scosse la testa divertita. «Quando torni?»
«Non sono ancora partita» si poggiò al tavolo, non poteva adattarsi all'ambiente circostante, perché a breve un taxi avrebbe fatto breccia proprio difronte il bar di Safira. «Tra due settimane. Pensi di riuscire a sopravvivere tra le braccia del tuo uomo?» Mise una mano sulla fronte in modo estremamente teatrale. «A proposito, dove ti ha portata? Cosa avete fatto?» Se le avesse detto la verità, Abby avrebbe perso l'aereo per ascoltare ogni dettaglio di quel disastro di serata.
«Mi ha portata ad un'asta di case» annuì. «Dopodiché a casa.» Abby continuava a studiarla con un sopracciglio alzato.
«Asta di case, e casa.»
«Sì, anche io mi aspettavo qualcosa di più, sarò sincera» sbuffò, pregando che Abby non scoprisse il suo bluff. «Ci eravamo fatte troppe aspettative per un vestito.»
«Secondo me...»
«Aspetta. Quando torni puoi portarmi quelle salsicce buone che compra tua madre?»
«Bleah. Sì, ok» non riusciva a capire come a Safira piacessero quelle salsicce, ma comunque gliele portava ogni volta che ritornava dalla Germania. «A proposito di Aaron» un lungo suono di un clacson le fece sussultare entrambe. «Oh, ma che palle! Io volevo sapere di più sull'impiccio!»
«Quale impiccio?»
«Oliver!» Entrambe gli andarono incontro. «Hai fatto in tempo, sto andando via ora. Tieni d'occhio Safira, non andate a ballare senza di me. No, seriamente, tieni d'occhio Safira.»
«Guarda che ti sento.» Le evidenziò l'amica.
«Terrò d'occhio la nostra ragazza, tu rilassati e torna meno esaurita.» I due sposi si abbracciarono, dopodiché Abby stritolò Safira, fino a quando non ci fu un secondo suono di clacson.
«E che palle! Arrivo!» Afferrò la valigia. «Ciao amica, ciao marito. Ci rivediamo presto!»
«Ciao, ciao!»
Non appena si chiuse la porta alle spalle, e Safira ed Oliver rimasero soli, ci fu qualche istante di silenzio. Poi Safira sbottò. «Ho supplicato Aaron di fare sesso.» Quasi la mandibola di Oliver si staccò dalla faccia.
«Che cosa vuol dire?» Alzò una mano per bloccarla. «Sediamoci. Devo sedermi.» Solamente lui si sedé, perché lei iniziò a camminare su e giù per il bar.
«Ieri mi ha portato ad un'asta di beneficienza, per le associazioni canine.»
«Okay, sembra un ottimo inizio.»
«E ho bevuto molto vino, tipo, molto vino, ero ubriaca ma mi sembrava di essere così lucida» si afferrò una treccia. «E stavamo per baciarci. Prima dentro l'asta, sul divano, però non l'abbiamo fatto, ok? Ce ne siamo andati via, di fuori per andare in macchina.»
«Oddio, avete fatto sesso in macchina?»
«No! Però, poi tipo mi ha detto che se accadesse qualcosa tra noi non si tratterebbe più di finzione, che quando mi bacerà sarà per davvero.»
«Eri ubriaca e ti ricordi tutte queste cose?»
«Sì, perché subito dopo io gli ho letteralmente detto: "Fammi tua, Aaron They"!»
«Oh, mio Dio» Oliver si tappò la bocca con la mano. «Non ti credo.»
«Credimi, credimi perché l'ho proprio fatto» storse le labbra. «E gli ho anche detto che può fare qualsiasi cosa voglia di me» Oliver scoppiò a ridere di cuore e Safira batté i piedi a terra. «No! Non puoi ridere! Io sono in una situazione assurda!»
«Rira, sei in una situazione assurda da quando ti ci sei sposata! Ma questo, questo è veramente assurdo. Ti stai innamorando di Aaron?»
«No» sbottò. Che ipocrita, mamma mia. «Non credo, almeno!»
«Non credi? Perché qui stiamo parlando di amore, non di una cotta, ma amore. Visto che avete entrambi trent'anni e non quindici.»
«Io so solamente che passare tempo con lui mi fa male.» Oliver strinse le labbra.
«Perché ti stai innamorando di Aaron?»
«Oliver! Ti giuro, ti do uno schiaffo in faccia!»
«Mmm» entrambi si girarono di scatto verso quel verso di lamento. «Io non la istigherei.» Aaron They era proprio difronte a loro. E chissà quanto di quella conversazione aveva ascoltato.
«È un po' esaurita.» Oliver si alzò dal divano, Safira lo fulminò con lo sguardo. Non poteva lasciarla sola, non con Aaron. Sarebbe diventata terribilmente esposta se lui l'avesse guardata per più di tre secondi.
«Dove vai?» Sussurrò. «Resta qui» le lanciò un'occhiata allarmata. «Resta...»
«Torno tra cinque minuti, ti ritrovo qui?»
«Non saprei, devo andare in ospedale. Sono passato per fare un saluto.»
«Un gesto così gentile» Oliver si avvicinò sempre più velocemente alla porta. «Proprio gentile.» Scappò via, lasciando Safira faccia a faccia con le responsabilità.
«Ti senti bene?» Doveva mentirgli, per forza, era quella l'unica scelta che le rimaneva.
«Sì, sto benissimo. Sono fresca come una rosa.» Nella sua mente aveva optato per fare finta di nulla, e comportarsi come se per davvero non ricordasse nulla della serata, ma non era riuscita a collegare bocca e cervello.
«Oh» Aaron alzò le sopracciglia sorpreso, e l'unica cosa che continuava a domandarsi era se Safira si ricordasse cosa si fossero detti. «Be', è una buona notizia questa.»
«Sì, i postumi non sono stati così malaccio stavolta» si dondolò sui talloni. «Devo aver bevuto tanto, non ricordo molto» Aaron si rabbuiò lentamente, un po' ci aveva sperato che ricordasse almeno qualcosa. «Sono stata molesta?» Le sorrise, e infilò le mani nelle tasche.
«No, affatto.»
«Bene.» Aaron anche stava facendo finta di nulla, allora perché a Safira il petto pesava invece che essere più leggero?
«Bene. Allora, io vado» "No, Aaron They. Non andare via. Rimani qui per favore, e leggi tra le righe i miei occhi che ti supplicano a rimanere qui." Ma non disse mezza parola di quelle che aveva pensato. «Buon lavoro, Safira.» Si girò di spalle, più basse del solito.
«Aaron!» Quando lo richiamò, il cuore di lui riprese a battere, e la speranza sembrò più lucida della realtà. Ma Safira non aveva pensato a cosa avrebbe detto dopo aver urlato il suo nome, quindi affondò il viso tra le mani, prese un profondo respiro e urlò.
Urlò come una pazza.
Aaron sussultò sgranando gli occhi. «Safira...» urlò ancor più forte. Lo fece per almeno un minuto, dopodiché si ricompose come se non fosse mai accaduto. «Ti senti meglio?»
«Vorrei darti uno schiaffo.»
«Oddio» anche se molto titubante, le si avvicinò. «D'accordo, sono pronto.» Chiuse gli occhi, in attesa che Safira si sfogasse su di lui, ma al posto di mollargli uno schiaffo in pieno viso, iniziò a colpirlo ripetutamente sulle braccia, poi sul petto, di nuovo sulle braccia. Smise, ma gli diede un ultimo schiaffo alla cieca ed espirò tutta l'aria che aveva trattenuto.
«Mi sento meglio.» Incrociò le braccia al petto, e buttò la testa all'indietro per guardarlo negli occhi.
«Bene. C'è altro che io possa fare per te?» "Smettere di essere perfetto e rivelarti improvvisamente una cattiva persona, in modo tale che i sentimenti che provo per te scompaiano una volta e per tutte."
«No, Aaron. Tu sei» scosse la testa estenuata dai suoi stessi pensieri. «Sei perfetto.» Aaron le si avvicinò ancor di più, afferrandole il viso con la mano. Safira si abbandonò al suo tocco come fosse la prima volta, ma non lo era, per quel motivo si trovava estremamente a suo agio. Sarebbe potuta restare lì per un'eternità.
«Secondo me potremmo farcela.» Sussurrò. Lei chiuse gli occhi, perché sentiva che per qualche assurdo motivo avrebbe potuto anche piangere.
«I dottori non danno false speranze.»
«Io e te non siamo una falsa speranza» poggiò la fronte su quella di lei. «Non lo siamo, Safira» si sforzò così tanto, che una lacrima le scese lungo la guancia, andando ad infrangersi sulla mano di Aaron. «Safira, ti prego.» Provò a parlare, a dirgli che forse sì, forse ce l'avrebbero potuta fare, ma sembrava per davvero che il destino fosse a loro controverso, perché proprio in quel momento entrarono due clienti. Safira tirò su col naso, si asciugò la guancia e guardò Aaron.
«Devo andare» gli sorrise. «Buon lavoro.»
«Anche a te.» Le carezzò i capelli, dopodiché andò via, e Safira si sentì ancor più vuota.
«Salve, cosa posso fare per voi?» Avrebbe preferito sotterrarsi in un mare di coperte e sparire affinché i suoi pensieri si zittissero da soli. Invece continuava ad annuire a quei due turisti che indicavano ogni pasta diversa attraverso la vetrina.
Fu così gratificante quando arrivò a casa di mamma Ife e riprese finalmente a respirare. Ma non del tutto, perché comunque continuava a pensare ad Aaron, ma in compenso erano sdraiate nel bel mezzo del piccolo giardino della casa, godendosi i raggi solari sul viso. «Abby è partita?»
«Sì, torna tra due settimane ha detto» sospirò pesantemente. «Stavo pensando di partire anche io.»
«E dove andresti?»
«Mi accontento di tutto. Voglio scappare da Parigi.» Mamma Ife si girò a guardarla, coprendosi gli occhi per vedere meglio.
«Scappare da Parigi?» Aggrottò la fronte. «Tu, vuoi scappare da Parigi? Non ricordi quando da piccola mi supplicavi di ritornare? Che senza questa città non potevi vivere? Che saresti stata felice solo qui?»
«Sì, maman. E infatti io amo Parigi, io amo essere una pasticciera e i miei clienti. Sono innamorata di Parigi, lo giuro» strappò un ciuffo d'erba, quando se ne rese conto lo rimise al suo posto, sperando vivamente che mamma Ife non se ne sarebbe accorta prima che lei fosse andata via. «Ma quest'anno è così tanto difficile, sembra quasi che voglia vedere fino a che punto riesco a resistere.» Mamma Ife non rispose subito, e questo scombussolò ancor di più lo stato d'animo della figlia.
«Quest'anno, o quest'ultimo mese?» Safira strinse le labbra. Beccata. «Quest'anno, o Aaron They?»
«Ma no. Cosa c'entra adesso Aaron?» Falsa. Bugiarda. Ipocrita di una figlia.
«Rira» la richiamò. «Tu non parli più con me. Prima mi raccontavi sempre tutto, ogni minimo dettaglio della tua giornata, e ora a stento ci vediamo. Sei sempre impegnata e non mi dici mai con cosa, o con chi. So che centra Aaron, ma vorrei sentirlo dire da te» le pizzicò la mano. «Non sei capace a mentire, non provarci nemmeno.»
«Maman, sono rovinata.» Si coprì il viso, e finalmente, finalmente, Safira scoppiò a piangere.
«Mon Dieu, non pensavo fosse così tanto seria la cosa!» Si alzò a sedere, invece la figlia rimase immobile a singhiozzare. «Rira.»
«Maman, mi dispiace così tanto.» Mamma Ife si mise una mano sul petto a quello sbotto improvviso. A Safira dispiaceva di averla delusa, di aver bramato ciò che più di tutto sua madre non riusciva a sopportare. Si sentiva una pessima figlia.
«Rira, vieni qui. Avanti» l'afferrò per il polso, caricandosela in grembo, proprio come quando era più piccola. «Raccontami cosa succede, per favore, non tenerti tutto dentro. Non sei fatta per questo.»
«Stiamo passando così tanto tempo insieme, per davvero, proprio tanto tempo. Ceniamo insieme, usciamo, mi ha portata ad un'asta di beneficenza!» Sorrise sotto tutte quelle lacrime. «Maman, lui pensa che ci sia una speranza. Me lo ha detto più volte e ci crede per davvero.»
«Una speranza per che cosa?»
«Per noi due.» Mamma Ife smise di respirare all'improvviso.
«Voi due? Intendi, come coppia? Come dei fidanzati?» Annuì, morente di vergogna. «E tu che cosa gli ha detto?»
«Non gli ho risposto. Il destino ha voluto interrompermi prima» si asciugò le lacrime fredde con il dorso della mano. «Ma Aaron ci crede per davvero. Ci crede tantissimo.»
«E tu?»
«No» scosse la testa. «Come potrei? Non posso farlo.» Mamma Ife era combattuta dai suoi stessi sentimenti.
«Non puoi fare che cosa, Rira? Non capisco, perché piangi se non ci credi?»
«Io...» boccheggiò senza parole, perché quell'ultima domanda la mandò fuori dai binari del suo cervello. «Se lui fosse un'altra persona, sarebbe così tanto più facile.» Sussurrò.
«Ma quella non è un'altra persona, quello è Aaron They» Safira si rialzò a sedere, studiando attentamente ogni treccia. Voleva toglierle, o ci si sarebbe strozzata con piacere. «Lui ti piace?» Quanto più una domanda, suonava come un'affermazione.
«Sì, maman» abbassò lo sguardo, perché per la prima volta nella sua vita aveva la netta sensazione di aver deluso sua madre. «Sai, è l'uomo perfetto. Lui ti piacerebbe veramente tanto.»
«Perché non credi in voi?» Quando la guardò però, mamma Ife sorrideva. Stava sorridendo, non era delusa o arrabbiata, sorrideva.
«Perché» per i fogli del divorzio, la finta relazione e la data di scadenza. Perché era certa che avrebbe perso per sempre la fiducia di sua madre. «Posso farlo? Secondo te posso scordarmi di ciò che è accaduto per far spazio al nuovo? Far finta che non sia mai successo?»
Mamma Ife abbassò lo sguardo, avrebbe voluto urlare, invece si limitò a sorridere. «Lui l'ha fatto» sospirò e guardò la figlia. «Dammi un altro motivo.»
Ovviamente non ne aveva, quindi si limitò a buttare la colpa sulla madre. «Tu lo odi» momenti di puro silenzio e tensione. Mamma Ife le diede uno schiaffo in viso. Safira si coprì immediatamente la guancia con gli occhi fuori dalle orbite. «Maman!» Non l'aveva mai colpita, almeno non in modo così diretto.
«Perdonami, scusami!» Rimase stupita anche lei stessa del suo gesto. «Scusami, ma è stato istintivo!»
«Oh, mio Dio! Mi hai dato uno schiaffo! E mi hai fatto male!» Era indecisa se ridere o piangere. «Perché cavolo l'hai fatto!?»
«Ma hai sentito cosa hai detto? Hai praticamente dato la colpa a me se a letto con Aaron tu ancora non ci sei andata!» Safira era pietrificata.
«Non ho mai... non ho detto questo! Maman, sei pazza! Ho detto» si passò velocemente la mano per alleviare quel bruciore. «Che tu odi Aaron They, e io non posso tradirti. Maman, non ti tradirei mai!»
«Oddio» mamma Ife si alzò da terra un po' goffamente. «Io non ti voglio più riconoscere come figlia.»
«Mi sembra tardi dopo trentadue anni.» Safira la seguì dentro casa, a capofitto sul divano giallo.
«Esatto, Safira. Trentadue anni. Io ti amo, tu sei veramente unica e questo lo sai, ma non puoi impedirti di essere felice basandoti sui miei pensieri» le afferrò le mani. «Sono sicura che Aaron non sia più quel bambino delle elementari, che tu lo conosca meglio di quanto voglia ammettere» Safira era sul punto di scoppiare a piangere. «L'unica cosa che desidero è vederti felice e realizzata, come lo sei stata quando hai aperto il tuo piccolo bar, e se questo comprende avere Aaron al tuo fianco, io sarò più che felice di averlo anche al mio.»
«Maman...»
«Safira Smith, sei proprio un caso perso» le asciugò le lacrime, che non si accorse di star versando. «Il mio bellissimo caso perso.»
«Ti voglio...» il cellulare le squillò, interrompendo la sua dichiarazione d'affetto. Perfino mamma Ife notò il cambiamento delle sue guance non appena lèsse il nome.
«Okay, andrò a preparare qualcosa per cena.» Safira strinse le labbra.
«Sì?»
«Dove sei?» Maledetto Aaron They.
«A casa di mia madre, perché?»
«Oh» non capì se fosse dispiaciuto o preoccupato. «Io ho una cosa per te.» Il cuore di nascosto le fece una capriola.
«Per me? Che cosa?» Si asciugò il viso, poi si sistemò le trecce.
«È difficile spiegartelo.» Safira guardò sua madre in cucina.
«Puoi passare qui, se vuoi.»
«Da tua madre, intendi? Sei proprio sicura?» Infatti, Aaron che cosa ne poteva sapere che sua madre le aveva appena dato la benedizione per fare di Aaron qualsiasi cosa volesse.
«Qui fuori, non c'è bisogno che entri.»
«Mmm» Aaron era molto più che titubante. «È che ciò che ti devo dare, cioè, noi dobbiamo valutare bene questa cosa.» Noi. Aveva detto "noi".
«Sì, va bene. Ti aspetto qui.»
«Sarò li tra due minuti.» Non appena attaccò, Safira scattò in piedi.
«Maman!»
«Che succede?» Mamma Ife quasi si cappottò per raggiungerla.
«Sta vedendo Aaron, qui fuori» aspettò che continuasse. «No, nulla. Solo questo» Safira era per davvero un caso perso. «Ha detto che ha una cosa per me.»
«Che cosa?»
«Non ne ho idea, ma Aaron sta vedendo qui fuori» si legò le trecce, intrecciando le prime due tra loro dietro la testa. «Sei sicura di non essere arrabbiata? Di non voler cambiare figlia perché sono per te una tremenda delusione?»
«Sul cambiare figlia sono ancora indecisa, ma comunque...» quei tre, inconfondibili, suoni di clacson attirarono l'attenzione di entrambe. «È lui, non è vero?» Ovviamente era lui. Ed era ovvio per il clacson, mica per lo stupido sorriso che Safira tentava di nascondere.
«Scappo, ma torno. Ordina cinese, ordinane tanto» non la lasciò controbattere, perché sfrecciò via come un fulmine, e si ricompose giusto in tempo prima di uscire di casa. «Ciao.»
«Ascolta» l'afferrò per le spalle. Il cuore le cadde nello stomaco, e lo stomaco le sprofondò a terra. «È avventata la cosa, per questo preferivo parlarne con calma.» Non gli stava per chiedere di sposarla, perché lo erano già. Forse di diventare la sua ragazza, in quel caso Safira cosa avrebbe fatto?
«Sono pronta a tutto, mia madre mi ha dato uno schiaffo poco fa, sono veramente pronta a tutto.»
«Perché tua madre ti ha dato uno schiaffo?» Aaron la guardò preoccupato. «Ma schiaffeggiare è una cosa di famiglia?»
«No, forse sì. Ma non ha importanza. Cosa devi farmi...» ci fu un abbaio. L'abbaio di un cane. Safira si fece di lato per guardare oltre Aaron, dentro la sua macchina, dove la piccola testa di un dobermann rosicchiava chissà che cosa. «Quello...»
«Sì.»
«Spettro.»
«Lui.» Lo guardò, poi riguardo il cane, poi di nuovo lui.
«Vuoi tenerti Spettro?»
«Tu vuoi tenerlo?» Safira sgranò gli occhi. «Per questo ti avevo detto che sarebbe stato opportuno valutarla bene come cosa.»
«Mi stai chiedendo di tenere un cane? Ma dove... io...» non trovava le domande.
«Vuoi vederlo?» Annuì, anche se incerta.
Aaron con delicatezza lo prese in braccio, e improvvisamente risultò molto più piccolo di quel che era. «Non mi piace il nome Spettro.» Ammise.
Il cuore si Safira si era disperso, perché Spettro le stava leccando l'indice con così tanta dolcezza che sarebbe potuta restare lì per sempre.
«Aaron ma come facciamo... tu sei sempre a lavoro, e io anche. Abiti in un attico e io sopra il mio stesso bar. Non ho neppure una porta che mi ci separa!»
«Vuoi tenerlo?»
«Tu non mi stai aiutando» ma comunque lo afferrò lo stesso, un gesto che peggiorò solamente la situazione, visto che Spettro sembrava si trovasse a suo agio. «Tu nemmeno.»
«È bravo, e cucciolo, e hanno detto che si è ancora in tempo per cambiargli nome.»
«Cambiargli nome...» scosse la testa, riprendendosi dall'idea di cambiare veramente il nome di Spettro, di tenerlo veramente con sé. «Sai cosa sta facendo questo cane? Mi sta conquistando, e tu? Oh, tu sei un manipolatore peggiore di tuo nonno, mio Dio! Me l'hai messo in braccio perché credevi che poi io non riuscissi più a staccarmi da lui, in questo modo avrei ceduto a tenerlo!» Aaron strinse le labbra colpevole, dopodiché allungo le mani.
«Avanti, dammelo, lo riporto indietro.» Safira lo guardò.
«Ovviamente no.»
«Perdonami?»
«Non lo riporterai indietro. Questo è il nostro cane. Il nostro Spettro» si guardò alle spalle. «E ho un'idea di dove potrebbe trovarsi bene.»
«No. Tua madre mi odia, io non le mollo un cane dentro casa all'improvviso.» Provò a riprendere Spettro, ma Safira fece un passo indietro.
«Invece lo farai. Prima mi manipoli e poi non ti prendi le tue responsabilità?»
«Rischierò stavolta, tengo davvero alla mia vita.»
«Aaron» lo richiamò per fermarlo. «Entrerai dentro casa con me e Spettro, lo farai» Aaron aprì bocca, ma Safira lo anticipò prima. «Lo farai se... se tu davvero pensi che non siamo una falsa speranza.» Lo esalò, sperando che non l'avesse sentita. Ma l'espressione che nacque sul viso di lui, le fece capire il contrario. Era possibile che i loro cuori in quell'istante battessero all'unisono?
«Non si tratta solamente del cane, non è vero?»
«No» scosse la testa. Spettro si era appisolato tra le braccia di Safira. «No, non si tratta solamente di lui» gli si avvicinò. «Lo pensi? Pensi che noi siamo una falsa speranza?» Aaron aggrottò le sopracciglia, e parve dolorante ai suoi stessi pensieri.
«No, ma...»
«Ricordo tutto» lo interruppe, prima che Aaron infrangesse le sue aspettative. «Della sera dopo l'asta» lui rimase sorpreso per davvero, non se lo aspettava. «Ho detto il contrario perché mi risulta difficile riuscire ad accettarla come cosa, ma l'ho accettata. Qualcosa come dieci minuti fa, ma l'ho fatto» per quanto era agitata stava stringendo Spettro al petto, ma non sembrava risentirne. «Quindi Aaron They, se non pensi che siamo una falsa speranza» aprì la bocca, poi la richiuse temendo i suoi occhi neri scrutarle l'anima. «Fammi tua. Aaron They, fammi tua.» Il cuore gli si fermò, e lo stomaco gli precipitò nell'oblio. Stava sognando, per forza di cose.
«Ma ricordi anche quello che ti ho detto?» Le fece un passo incontro. «Safira, io ti voglio mia. Ti voglio per davvero.»
«Allora entra con me» sorrise. «Non farmi affrontare mamma Ife da sola.» Aaron avrebbe preferito inginocchiarsi e supplicarle il contrario.
«Tua madre mi odia.»
«Ti difenderò.»
«Ah, allora» guardò Spettro, poi di nuovo Safira.
Quando bussarono alla porta di mamma Ife, entrambi rimasero col fiato sospeso per un tempo indeterminato. «Non ho ancora ordinato da...» la porta si aprì lentamente, e gli occhi di mamma Ife iniziarono il loro viaggio. Dalla faccia di Safira, a quella di Aaron molto più alta di quella di sua figlia, e alla coda scodinzolante sempre tra le braccia di lei. A Safira scappò un risolino nervoso. «Che cos'è quello?»
«Quello, è Aaron, e stasera resterà a cena con noi.»
«Safira.»
«Si chiama Spettro, ed è il cucciolo più buono del mondo, forse mordicchia un po' di cose, ma... ma lui è un cucciolo.» Glielo mise tra le braccia. Se la tecnica con lei aveva funzionato, perché con mamma Ife non avrebbe dovuto?
«Cosa dovrei farci? Dove te lo metti un cane, Safira?» Safira entrò dentro casa, ma non prima di aver afferrato la mano di Aaron, che era estremamente teso. «Non hai tempo e spazio per un cane.»
«No, è vero. Ma tu sì.» Per un attimo ebbe lo spasmo di spingere Aaron avanti a sé e farsi da scudo, nel caso in cui mamma Ife le fosse partita con un altro schiaffo, oppure una scarpa.
«No.»
«Maman, ti prego. È ancora piccolo, non ha nessuno se non noi.»
«In tutta Parigi siamo l'unica speranza di questo cane? La fai tragica la situazione. No.» Non poteva mollare la spugna, non quando ormai Spettro era tra le sue braccia con quel musetto dolcissimo. Decise di giocarsi l'ultima carta che aveva, quella del vittimismo.
«Ne dipende la mia felicità!» Mamma Ife alzò un sopracciglio, ma guardò Aaron.
«È stata un'idea tua?» Non scherzava Aaron quando diceva di aver paura della madre di Safira, d'altronde lei aveva tutte le ragioni del mondo per odiarlo, e in quel momento le stava praticamente mettendo il cane che sarebbe dovuto essere loro a carico suo, e rubando la figlia per la seconda volta.
«È stata mia. Io sono innamorata di questo cane, maman. Verrò ogni giorno a prendermene cura, lo prometto.» Quella giornata per mamma Ife era stata travolgente, non sapeva se per la dichiarazione di Safira, oppure per quel dobermann che la guardava incuriosito.
«Non voglio saperne nulla, è una tua responsabilità.» Safira si lasciò andare un sospiro di sollievo, abbandonando la schiena contro il petto di Aaron, che poggiò le mani sui suoi fianchi. Decisero entrambi di ignorare almeno in quel momento le farfalle che gli si erano sprigionate nello stomaco.
«Visto? Non era poi così difficile.» Gli sussurrò. Mamma Ife diede loro una veloce occhiata, dopodiché andò in cucina.
«Aaron, tu resti a cena?» Il cuore gli si fermò in petto. «Ordiniamo il cibo cinese.»
«Io resto a cena?» Domandò sottovoce a Safira.
«Resta per sempre.»
«Con piacere, signora Smith.» Safira si allontanò da Aaron, e lasciò Spettro vagare per la piccola casa pieno di curiosità.
«Chiamami Ife» entrambi si guardarono con gli occhi sgranati "Non lo farò mai", le mimò con le labbra a Safira, ma l'unica cosa che fece fu stringersi nelle spalle. «Rira!» Quell'urlo la fece scattare sul posto, forse a raggiungerla in cucina, ma proprio in quel momento, Spettro le passò davanti, e per non travolgerlo, cadde in avanti con un tonfo secco. Aaron provò ad afferrarla, ma non fece in tempo.
«Ahia, ahia che male.» Le si inginocchiò accanto, mamma Ife uscì a vedere cosa fosse accaduto, trovando la figlia che continuava a massaggiarsi il mento, Aaron accanto, e Spettro che la annusava scodinzolando.
«Una tua responsabilità.» Tornò in cucina, già stanca di quella situazione.
«Fammi vedere» le scostò le mani, ma non aveva niente più che un graffietto. «Smettila di cascare ogni volta che ti muovi.» La rimise in piedi, le afferrò le mani, perché proprio non riusciva a stare senza sfiorarla. Perché finalmente poteva sfiorarla. Perché finalmente poteva definirla per davvero la sua Safira.
«Io ho salvato il tuo cane.» Glielo indicò con la testa.
«Il nostro.»
«Io ti odio, Aaron They» sulle labbra di Aaron nacque quel suo ghigno, che Safira bramava sempre di più. «Oh, sta' zitto.» Gli diede uno spintone.
«Non ho detto nulla.»
«Non ho detto nulla.» Lo scimmiottò.
Safira aveva gettato la spugna col mondo. Gli aveva fatto bandiera bianca. Ora toccava godersi quella tregua il più possibile.
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Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!
ChickLitBisogna scommettere solamente quando si è certi di vincere. E specialmente quando la penitenza non comprende un matrimonio a Las Vegas con uno sconosciuto. Ma per Safira andava bene, alla fine si trattava tutto di finzione. Fin quando non incontrò p...