«Ehi. Ehi. Ciao, amore» Safira batté gli occhi più volte. Non c'era una cosa che non le facesse male. Le veniva da vomitare perfino. «Ciao, Rira» guardò mamma Ife, che chissà per quale lavoro della gravità, ancora tratteneva le lacrime. «Ciao.» Safira tirò un sorriso, visibilmente confusa, ed ebbe una fitta di dolore non appena stese il labbro. Quando girò lo sguardo, più occhi lucidi la stavano guardando. Quelli di Jackson, di Abby, di Oliver.
Era in ospedale.
Strinse i denti, e non appena si guardò le braccia, scoppiò a piangere. «Lo so, lo so» Ife le alzò il mento affinché evitasse di guardare gli aghi infilati per le flebo. «Porta pazienza, bambina.»
Pazienza. Non aveva più pazienza, Safira.
«Bentornata, sorellina.» Jackson le rimboccò le coperte, in modo tale da nasconderle le sue stesse braccia, ma era inutile, Safira riusciva a sentire gli aghi anche senza aver bisogno di guardarli. Avrebbe voluto urlare, ma a stento sarebbe riuscita a spicciare qualche parola.
«Dove...» si schiarì la voce e alzò gli occhi in cerca di una sola persona. «Aaron?» Mamma Ife tirò un sospiro di sollievo. Si mise una mano sul petto per calmarsi i battiti del cuore.
«Va tutto bene, tesoro. Ora va tutto bene.»
«Safira, hai avuto un incidente» Jackson le si avvicinò e le strinse la mano. «Ti hanno investita e sei stata operata d'urgenza.»
«Come... cosa...» era stordita, le sembrava di essersi svegliata da un pisolino, ma era fin troppo stremata per essere stato solo un pisolino. Si incantò poi negli occhi verdi di Jackson, e come un'epifania rivide la macchina sbandare e venirle addosso sotto tutta quella pioggia. «Oddio.»
«Stai bene, Safira. Guardami» Jackson si sedé accanto alla sua figura. «Hai riportato molti danni. Il cranio ti si è fratturato, e hai due costole rotte. Il cuore ti ha ceduto più volte, sei andata in arresto tre volte» gli occhi di Safira vennero annacquati dalle lacrime, le sembrava di rivivere il peggiore degli incubi. «Hai bisogno di molto riposo, sorellina.»
«Dov'è Aaron?» Esalò. Jackson le sorrise.
«È a Los Angeles. Ricordi? Te lo aveva detto.»
«A Los Angeles?» Si guardò intorno. Quella stanza era piena, piena di peonie. Sui comodini, le mensole. Due vasi erano anche a terra, e sembravano incredibilmente fresche, dalla prima all'ultima. «Ma che giorno è?»
Ci fu qualche istante di silenzio, fu Ife che le rispose. «Sono passate due settimane dall'incidente.»
«Due?» Scosse la testa, ma se ne pentì subito dopo per quanto le faceva male. «Io... oddio.» Uscì le braccia fuori dalle coperte, solamente per coprirsi il viso e scoppiare a piangere.
Jackson si alzò dal letto, e guardò Abby ed Oliver. «Lasciamole sole, noi siamo qui fuori.» Abby non voleva uscire, voleva abbracciarla e contemporaneamente colpirla per essersi fatta investire, ma Oliver la portò fuori con un po' di forza.
«Maman.» Mamma Ife piangeva in silenzio, nonostante si fosse promessa di non versare una sola lacrima al suo risveglio, ma Safira sembrava tornata una bambina, e le logorava il cuore vederla in quel modo.
«Rira, va tutto bene. Non piangere» le carezzò una guancia. «Queste due settimane sono volate, al contrario dei quattro mesi, posso assicurartelo.»
«Mi dispiace tanto, maman.»
«Non è colpa tua, Rira» mamma Ife drizzò le spalle, si asciugò le lacrime e tirò un sorriso. Forse non aveva mantenuto la promessa delle lacrime, ma un'altra l'avrebbe mantenuta eccome. «Non è neppure colpa di Aaron.» Safira aggrottò le sopracciglia.
«Cosa... che c'entra Aaron?»
«Non è colpa sua. Non era stato lui a spingerti, da piccola.» Serrò la mandibola, perché le sembrava un discorso ormai sepolto che non aveva la minima voglia di ritirare fuori, sopratutto in quel contesto.
«Maman...»
«Safira, ascoltami» le strinse la mano. «Era stato Gerald» il fiato le si spezzò nei polmoni, era una fortuna che avesse la mascherina dell'ossigeno. «Ma l'aveva ammesso troppo tardi, Aaron si era già preso la colpa e l'avevano trasferito in collegio. Non ti ha mai spinta giù dalle scale.»
Le labbra di Safira tremarono, gli occhi di nuovo pieni di lacrime. «Oddio...» si spinse il palmo delle mani sopra gli occhi. «Lui... me l'aveva detto. Non gli ho creduto.»
«Devi perdonarmi. Non avrei mai dovuto mentirti, mi dispiace tanto.»
«Ma perché... perché l'hai fatto?» Singhiozzò. «Aaron crede che io lo...» ami. Aaron crede che io lo ami, perché è quella l'ultima cosa che gli ho detto. Safira rimise le mani e braccia sotto le coperte, restando in silenzio per qualche secondo. «Oddio» guardò mamma Ife. «Gli ho detto che lo amo.»
«Come?»
«Prima che la macchina mi investisse, gli ho detto di amarlo. È stata l'unica cosa a cui ho pensato, prima di credere che stessi per morire.» Mamma Ife aguzzò lo sguardo.
«Cioè, tu prima di essere investita dalla macchina gli hai detto di amarlo ma non di dirmi qualcosa a me?» Safira strinse le labbra.
«Be', adesso siamo pari.»
«Scusate, c'è quella psicopatica di Abby che smania per entrare» Oliver la indicò con un dito alle sue spalle. «Prima che io le spezzi il collo, posso farla venire?» Sgranò gli occhi, e un ciuffo rossiccio di capelli gli cadde sulla fronte. «Oddio, ho fatto dell'umorismo pessimo senza rendermene conto, non è vero?» Era un bene che Oliver esistesse, perché era riuscito a farle ridere entrambe.
«Falla entrare, io vado a prendermi qualcosa da mangiare.» A quelle parole, lo stomaco di Safira brontolò fortissimo.
Fece una smorfia addolorata. «Ucciderei per della pasta» mamma Ife le lanciò un'occhiata curiosa, quando mai Safira bramava la pasta? Da quanto tempo mangiava italiano che non fosse pizza? «Per della pasta... di zucchero.»
«Certo, zucchero.» Uscì fuori con un ghigno, ed Abby prese il suo posto alla velocità della luce.
«Safira. Cazzo. Smith.» La strinse in un abbraccio, e gli occhi di Safira uscirono dalle orbite. Il dolore le fece girare la testa.
«Abby! Le costole!» Oliver la prese per le spalle e la fece sedere. «Che male, mi viene da piangere.»
«Non è una novità, Rira.» Oliver le schioccò un bacio in fronte, e si posizionò al suo fianco con un sorriso sulle labbra.
«Sei una pazza. Sei la donna più pazza che conosco, mi avevi detto: "Tranquilla, lascio il negozio chiuso una settimana per andare in vacanza", non: "Lo lascio chiuso un mese perché appena torno mi faccio investire"» di punto in bianco, Abby scoppiò a piangere, lasciando ampiamente perplessi Safira ed Oliver. «Oddio, non sai... quanto mi sono preoccupata! Quel Jackson ha usato così tanti paroloni per dire cosa ti fosse successo che l'ho picchiato per stare zitto!» Safira sgranò gli occhi e si abbassò la mascherina dell'ossigeno.
«Hai picchiato Jackson?»
«Gli ha dato un pungo in faccia» spiegò Oliver. «Be', era sotto pressione. È comprensibile.»
«Non farlo mai più, non farti mai più investire perché io non saprei proprio cosa fare se tu decidessi di passare qui dentro un altro po' di tempo. Perdere la mia migliore amica non è nemmeno un'opzione plausibile!»
«Abby... oh, e dai. Vieni qui.» Le permise si essere abbracciata una seconda volta, più delicatamente della prima. Un'abbraccio da parte della migliore amica restava la miglior medicina di tutte.
Qualcuno si schiarì la voce due volte. «Oddio» Jackson puntò lo sguardo su Abby, quasi fosse timoroso di vederla. «Posso entrare?» Alzò il cellulare per aria. «C'è qualcuno che ti cerca. E non immagini neppure la minaccia più innocua che mi ha fatto se non te lo passo subito» tutti poterono notare i battiti di Safira accelerare dal monitor, per questo Jackson si mise il cellulare all'orecchio. «Ha i battiti a ottantasette, se sfiorano i novantatré ti fiondo fuori dalla finestra.» Si avvicinò a Safira, le passò il cellulare e poi tutti uscirono fuori la stanza, lasciandola sola.
Avrebbe potuto anche credere che il cuore le stava per uscire dal petto non appena se lo poggiò all'orecchio. «Rira?» Si tappò la bocca con la mano, e scoppiò a piangere. «Rira.»
«Aaron.»
«Rira, mi dispiace così tanto. Vorrei essere lì in questo momento» annuì, anche se non poteva essere vista. «Come ti senti?»
«Mi... mi scoppia la testa. Mi fa male tutto» i singhiozzi le spezzavano il respiro. «Mi fa male tutto.»
«Chiederò a Jackson di darti qualcosa, non preoccuparti» Aaron tirò su col naso, e Safira si sorprese di sentirlo piangere. «Mi dispiace tanto, Rira, non avrei dovuto dirti di venire. È colpa...»
«Oddio, Aaron They. Non ti azzardare a finire quella frase» si mise una mano sul petto, per calmare i battiti, per calmare il dolore. «Non ti ho voluto credere» sussurrò. «Quella sera io non ti ho voluto credere» Aaron capì immediatamente a cosa si stava riferendo, e venne a conclusione che Ife doveva averle detto qualcosa. «Mi dispiace così tanto.»
«Non...»
«Ho bisogno di te» singhiozzò. «Ti prego, ti prego. Non abbandonarmi.»
«Abbandonarti?» Sorrise incredulo. «Ti ho chiesto di sposarmi» Safira smise di respirare. «Di sposarmi per davvero.»
«Ma noi... siamo già sposati. Sposati per davvero.» Aaron scosse la testa, una lacrima gli scese lungo la guancia.
«Mi sposerai?»
«Sì. Certo che sì.» Sorrisero entrambi, nello stesso istante. Avevano i cuori coordinati.
«Bene. Questa è un'ottima notizia, perché non so proprio cosa avrei fatto altrimenti.»
«Perché?»
«Perché due giorni dopo l'incidente sono arrivati i fogli del divorzio» Safira strinse le coperte tra le mani. «E li ho dati ad Abby ed Oliver. Li hanno firmati senza pensarci.»
«E... e i nostri?»
«Li ho strappati» Safira scoppiò a piangere, e a ridere contemporaneamente. La testa era sul punto di esplodere, ma ne stava valendo la pena. «È strano che Abby non te l'abbia detto. Era proprio difronte a me quando l'ho fatto.»
«Tu li hai strappati?»
«Vuoi vederli?»
«Sì, certo» sorrise come un'idiota, poi tornò seria, ma nel giro di qualche secondo avrebbe avuto l'ennesimo infarto. «Che cosa hai detto?»
«Ti ho chiesto se li vuoi vedere.» Poi si ricordò che Aaron fosse dall'altra parte del mondo, e la sua illusione svanì lentamente.
«Devo chiedere ad Abby? No, altrimenti me li avrebbe tirati addosso come coriandoli. Li ha Oliver? O mia madre?» Si guardò intorno, c'era la giacca della madre sulla sedia accanto al letto. «Oh, c'è qui la sua giacca, aspetta. Vedo se li ha nella tasca.»
«Rira.» Aaron stava correndo, era evidente che stesse correndo.
«Aspetta, aspetta. Ci sono quasi.» Fece una smorfia per il dolore.
«Rira.»
«Cristo, non avrei mai immaginato che due costole rotte potessero fare così tanto male» rinunciò a prendere la giacca, e si accasciò contro il cuscino con uno sbuffo. Le faceva male tutto, anche solo respirare. «Quanto dovrò stare così?» La linea si interruppe di colpo. «Aaron?» Guardò il cellulare, ma apparì solamente l'immagine sfondo di un cagnolino, fin troppo carino per pensare che quello fosse realmente il cellulare di Jackson. Eppure per qualche strano motivo quel cagnolino e Jackson si somigliavano. Proprio come Aaron e Spettro. «Aaron?» Il cuore le arrivò in gola quando qualcuno fece capolino sulla porta della stanza. Quando due occhi neri le guardarono nell'anima, il cuore uscì una volta e per tutte dal petto.
Aaron si infilò le mani nelle tasche, e con un gesto veloce ne uscì fuori una manciata di coriandoli.
No, non coriandoli, i fogli del divorzio. «Eccoli» li indicò non appena toccarono il suolo. «Hai visto, vero? Perché non lo rifaccio di nuovo.»
«Oddio» Safira provò ad alzarsi, ma aveva fin troppo dolore che la obbligava a stare giù. «Aaron» fece uno scatto fino ad arrivarle accanto, le afferrò il viso tra le mani e la baciò. Il petto di Safira scoppiò.
Era più di un bacio. Era una promessa. «Sei... sei qui» se lo buttò addosso, ma non aveva calcolato quanto più pesante fosse, e le scappò un urlo di dolore, sorpassato da quello di Jackson che correva nel corridoio.
«Il carrello per le emergenze, dobbiamo...» Jackson si bloccò proprio sull'uscio della porta, quasi cascando a faccia in avanti. «Ma che cazzo!» Bloccò con l'alzata della mano chiunque stesse correndo appresso a lui. «Aaron!»
«Aaron?» Spuntarono fuori anche le teste di mamma Ife, di Abby e di Oliver. «Aaron!» Ma né Aaron, né Safira facevano caso a quelle voci. Si continuavano a guardare come se attorno a loro non ci fosse nessuno. «Ma non era a Los Angeles?» Jackson guardò restio Abby, e le indicò gli infermieri che si stavano dileguando insieme al carrello.
«Pensavo stesse per avere un altro infarto.» Ci fu un lungo istante di silenzio, perché Safira ed Aaron continuavano a comportarsi come due amanti, ma la maggior parte dei presenti era rimasta a ben prima della partenza per quella vacanza che aveva rimescolato le carte.
«Non ci credo» Abby si precipitò dentro la stanza, solamente a quel punto Safira la guardò. «Io ho vinto?» E Safira ci provò a restare seria, ma le spuntò un ghigno, e le guance le andarono a fuoco. «Ho vinto! Lo sapevo!» Alzò le mani al cielo trionfante e puntò un dito contro Oliver. «I miei cento bigliettoni»
«Cento!?» Safira sgranò gli occhi. Tradita. Shoccata. A corto di parole. «Hai... avete... cento!?»
«Safira, mi hai deluso. Ti credevo più forte di così» Oliver infilò la mano nella giacca, prese il portafoglio e ne uscì fuori cento euro. «Come ha fatto a convincerti?» Nessun altro capiva quella conversazione così tanto strana.
Safira strinse le labbra, e poi alzò di poco le spalle. «L'ho convinto io.» Abby ed Oliver sgranarono gli occhi contemporaneamente. Poi anche la mente di Aaron tornò in quella stanza, riuscendo a decifrare il discorso.
«Tu. Che. Cosa!?»
«Oh, sì. È tutta colpa sua, io ho tentato di oppormi...» Safira lo incenerì con lo sguardo, provò a colpirlo, ma Aaron la bloccò. «Che c'è? È la verità.»
«Prima che continuiate questa bizzarra conversazione, vorrei fare dei controlli a Safira» Jackson li invitò tutti ad uscire con un gesto della testa. «Aaron, anche tu» Aaron lo inchiodò a terra con lo sguardo. «Le alteri i battiti del cuore.»
«Si altererebbero anche al pensiero che sia qui fuori, non farlo andare via» poi, però, si rabbuiò. Il fatto che Jackson l'avesse operata alla testa, aveva portato a doverle rasare i capelli. I boccoli di Safira non c'erano più, e con loro la maggior parte della sua sicurezza. «Anzi, potresti andare...» guardò Jackson. «Posso mangiare qualcosa? Può andarmi a prendere qualcosa da mangiare?» Leggeva la supplica negli occhi di Safira. Sembravano essere tornati alla seconda volta in cui si erano incontrati.
«Sì, certo. Valle a prendere qualcosa da mangiare.»
«Torno subito.» Le lasciò un bacio sulla tempia, e uscì fuori la stanza. Jackson rimase in silenzio per un po' mentre le toglieva la fasciatura.
«Avanti, di' quello che devi dire.» Safira fece una leggera smorfia.
«A cosa ti riferisci, sorellina?» Gli diede un buffetto sull'addome. «L'hai fatto andare via, per quale motivo?»
«Perché... per...» non riusciva nemmeno a dirlo ad alta voce.
«Perché non hai più i capelli?» Sentirselo dire aveva fatto ancor più male.
«Sì.» Jackson le si sedé accanto, sorridendo.
«Aaron» controllò la flebo. «Aaron ti ha visto andare in arresto due volte. L'ho dovuto placcare al muro, farlo uscire di forza dalla mia sala operatoria. Quando la linea si è interrotta, stavamo operando insieme, in quel momento ha iniziato a tremare. Aaron They che trema in sala operatoria, nessuno al mondo l'avrebbe creduto possibile» le afferrò la mano. «Credevamo tutti che fosse ancora ad L.A., invece stava correndo da te» Safira sorrise. «Tu sei viva, sorellina. Sei viva, e stai bene. È l'unica cosa che possa interessargli» Aaron tornò con una bustina di carta sotto il braccio, e un bicchiere nella mano. Quando Jackson lo guardò, alzò un sopracciglio. «Stavo scherzando, non può mangiare. Dottor They, ecco il motivo per il quale non puoi seguire la tua ragazza.»
«Ha fame.»
«Ma non può mangiare» le rifasciò la testa, si stiracchiò e sbirciò dentro la bustina. «Queste sono le mie preferite.»
«Sono di Safira.» Aaron gli bloccò il polso.
«Aaron, lascia stare.» Jackson le ammiccò, scappò via dopo aver rubato due girelle alla fragola.
«Lo lascio stare, va bene.» Diede una veloce occhiata ai monitor mentre sistemava la bustina ed evitava di rompere qualche vaso con le peonie dentro.
«Puoi smetterla di fare il dottore? Mi basta Jackson, lo giuro» con molta difficoltà si spostò fino al limite del lettino. «Vieni?» Aaron aggrottò le sopracciglia. «Ti sto chiedendo di accoccolarci.»
«Finalmente, credevo non me l'avresti mai chiesto.» Lentamente si sdraiò accanto a Safira, le mise un braccio dietro il collo e lei si abbandonò a quel tocco.
«Grazie.» Le schioccò un bacio sulla fronte, forse anche più di uno.
«Quindi? Mi sposerai?»
«Sì. Basta che non ci sia nessun Elvis nelle vicinanze» per sbaglio lo sguardo le cadde sul braccio, e una fitta le fece stringere i denti per non vomitare. «Quanto dovrò restare qui dentro?»
«Diciamo che ci vorrà un po' di tempo prima che torni a infornare pane al cioccolato» la sentì sbuffare. «Non dirlo a me, ormai è un mese che non lo mangio» le coprì le flebo con le mani, affinché non le vedesse. «Porta pazienza, ragazzina. So che hai paura, ma ti servono.»
Safira annuì. «E in tutto questo tempo ti vedrò con la divisa chirurgica?»
«Sì.»
«Bene, ottimo» alzò la testa per arrivare a sussurrargli nell'orecchio. «E il sesso?» Aaron scoppiò a ridere rumorosamente.
«Non mi ci far pensare.»
«Si può?» Mamma Ife si affacciò dentro la stanza con la testa. «Oh.»
«No, entra. Tranquilla» era sinceramente ancora un po' estranea a quell'immagine di sua figlia ed Aaron alla luce del sole, ma ormai ci stava facendo l'abitudine. «Come sta Spettro?»
«Ah! È cresciuto, guardatelo» afferrò il cellulare, e smanettando un po', iniziò a scorrere le foto del cane. Sul divano. Lo lasciava salire sul divano. «Ma è un disgraziato, mi ha rosicchiato le ciabatte.»
«Per proteggermi, in questo modo non c'è più rischio che me ne arrivi una in pieno viso.» Mamma Ife alzò un sopracciglio.
«Potrei lanciarti direttamente il cane se ne avessi il bisogno, giusto Aaron?»
«Sì, giustissimo.» Safira girò la testa per guardarlo.
«Ma da che parte stai?»
«Mi farò perdonare, non preoccuparti.» Le sussurrò all'orecchio. Fanculo alla vita di Safira, sarebbe morta in quel letto d'ospedale.
«Oh, vabbè. Vabbè» Abby diede uno schiaffo sul braccio di Oliver, che non centrava assolutamente nulla, ma era la valvola di sfogo più vicina. «No, guarda» puntò un dito contro Safira. «Ringrazia di essere stata investita, altrimenti te le avrei rotte io le costole.»
«Grazie, Abby.»
«Mi hai fatto patire, giuro, le pene dell'inferno. E ora te ne stai accoccolata ad Aaron difronte tua madre. E non è che ci stai per la finta relazione, no, ci stai perché...»
«Finta relazione?» Safira chiuse gli occhi avvilita. Abby, Abby, Abby, la solita Abby. «Che vuol dire?»
«Scaturiscimi un altro trauma cranico, ti prego.»
«Se lo scaturissi ad Abby?»
«Tua figlia ed Aaron, oltre ad essere ufficialmente sposati, hanno finto di avere una relazione per nemmeno so quanto tempo!» Oliver sgranò gli occhi, si schiaffeggiò la fronte con una mano.
«Ufficialmente... che cosa?» A quel punto Abby si rese conto di aver parlato forse un po' troppo. «Voi siete sposati?» Poi sembrò illuminarsi. «Las Vegas... avevate detto...» non trovava le parole. Ma neppure Safira.
«Non eravamo a conoscenza che valesse quanto un matrimonio tradizionale. L'abbiamo scoperto troppo tardi» spiegò Aaron. «La finta relazione è una storia più complessa, ma ci saremmo "lasciati" non appena avremmo ricevuto i fogli del divorzio.»
«E dove sono questi fogli del divorzio?» Aaron increspò le labbra, indicò a terra con il dito.
«Sono quelli.» Mamma Ife aveva la bocca spalancata.
«Non capisco.»
«Non lascio tua figlia» tutti gli occhi nella stanza si posarono su Aaron. «Non di nuovo. Ne sono innamorato da quando ho memoria, Ife, me la porto all'altare. Di nuovo.» Safira si nascose sotto le lenzuola, per la prima volta stava desiderando di non essere ancora sveglia.
«Chi vuole una camomilla?» Oliver, santo, santissimo Oliver.
«Quindi siete sposati, e avete finto di stare insieme, e ora siete sposati ma non state più insieme?» Abby non parlava, voleva saperne tanto quanto mamma Ife.
«Siamo sposati, e stiamo insieme. Anche se non l'abbiamo ufficializzata come cosa» Aaron con un dito sbirciò sotto le coperte. Safira aveva il viso rosso e stringeva gli occhi. «Rira, noi stiamo insieme? Tu vuoi stare insieme a me?» Lo stomaco le fece otto capriole, era impensabile che stesse realmente vivendo quella scena.
«D'accordo.» Aaron riguardò mamma Ife.
«Sì. Stiamo insieme.»
«Io voglio una camomilla, sì» improvvisamente si ricordò della domanda di Oliver. «Sapete cosa? Queste sono state due settimane estenuanti, ma la giornata di oggi? Me la dovete ripagare, tutti e quattro» si alzò dalla sedia. «Safira Smith, parlo anche con te!»
«Sì, maman» uscì fuori con metà faccia. «È They, comunque.»
«Scusami?»
«È... Safira They.» Le bastò uno sguardo a zittirla.
Jackson, poggiato allo stipite della porta, attirò l'attenzione di tutti con due colpi di tosse. «È terminato l'orario delle visite.» Mamma Ife sbuffò, si avvicinò a Safira e le schioccò un bacio sulla guancia. Uno di quelli rumorosi. Uno di quelli da mamma.
«Chiamami se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa intendo.»
«Tranquilla, maman» anche Abby l'abbracciò, un po' timorosa. «Appena sarò in grado di camminare, ti faccio capire cosa vuol dire avere due costole rotte.» La minacciò.
«Immaginavo, ti voglio bene anche io.»
«Risposati, Rira. Ma non per altre due settimane.»
«Grazie, Ol. Grazie.» Sorpassarono tutti e tre Jackson, che poi guardò Aaron.
«Tu non te ne vai?»
«Vai a cagare, Jake.» Entrambi sorrisero, sapevano già che Aaron non si sarebbe mosso da lì.
«No, me ne vado a casa. Chiama me se avete bisogno, mamma Ife lasciatela dormire che le serve» ammiccò ad entrambi. «Buonanotte, e lascia dormire Safira.»
«Buonanotte.» Gli chiuse la porta, e il silenzio li avvolse.
«Dovevi per forza ufficializzare davanti mia madre, la mia migliore amica ed Oliver?»
«In questo modo sai che non avrai modo di scappare.»
«Non che ne avessi l'intenzione» provò a sistemarsi, ma il dolore l'obbligò a fermarsi. «Che palle.»
«Passerà, devi avere solamente un po' di pazienza.»
«Aaron, tu profumi di mare, ogni volta che mi sfiori la pelle mi va a fuoco, e se ti guardo la bocca solo Dio sa quel che penso. Dove la trovo la pazienza?» Aaron scoppiò a ridere di gusto. «Averti qui attaccato a me è una tortura.»
«Oh, immagino. Povera, povera Rira. Devono essere state due settimane durissime per te.»
«Okay, hai le tue ragioni» lo stomaco le brontolò rumorosamente. «Maledetto, Jackson.»
«Posso farti una domanda?» Aveva un tono così tanto serio, che Safira provò un leggero vuoto alla bocca dello stomaco, ma non per la fame che aveva.
«Sì, certo.»
«Ti ha fatto male quando hai scoperto di non potere avere figli?» Safira si prese un po' di tempo per rispondergli, fece un piccolo sbuffetto.
«Sì. Non era questa la vita che volevo. Io sognavo un negozio di fiori, una famiglia, volevo dei figli. Il bar è un ripiego per dimostrare che non sono inutile, che anche io potevo fare qualcosa.»
«Dimostrare a chi?»
«A me. Solo... a me» sospirò. «Se questa cosa tra noi funzionerà, se... io non potrò darti figli.»
«Se?» Ad Aaron scappò un risolino. «Pensi che non funzionerà?»
«Penso che essere coscienti del fatto di non potere avere figli sia una questione molto delicata in una relazione.» Abbassò lo sguardo, altrimenti avrebbe pianto.
«Rira, voglio passare il resto della nostra vita insieme. Voglio vivere nella stessa casa, tornare da lavoro e baciarti per tutte le volte che avrei desiderato farlo in sala operatoria» avrebbe pianto a prescindere, anche con lo sguardo basso. «Non mi sono mai concesso di pensare ad un'eventuale famiglia, il lavoro mi occupa gran parte della vita. Ma non sarà mai troppo tardi per pensarci, ci sono molti trattamenti di riproduzione assistita.»
«Sì, lo so» ricacciò le lacrime in dentro, sospirando di cuore. Aaron le baciò la fronte, la tempia e la guancia, e Safira si abbandonò al suo tocco. «Ti ricordi cosa ti ho detto prima che mi investissero?»
«Mmm» le poggiò le labbra sulla tempia. «Tipo: "In realtà preferisco i cannoli alle arancine"?» Sorrisero entrambi.
«Una frase estremamente articolata da dire poco prima che una macchina mi venisse addosso.»
«Io sono molto stupito che tu non abbia nemmeno balbettato» Safira lo fulminò con lo sguardo. «Mi sa che dovrai rinfrescarmi la memoria.»
«Mmm» borbottò. Iniziò a sentire caldo solo al pensiero. «Ho detto che... ti amo...» sussurrò sempre più piano, affinché Aaron nemmeno riuscisse a capire dopo le prime due parole.
«Perdonami? Non ho capito, più o meno, tutta la frase.»
«Bene, allora, se vuoi capirmi dovrai sistemarmi, perché a stento riesco a respirare sdraiata così» Aaron scattò in piedi preoccupato. «Calmati.» Guardò il monitor. Le flebo.
«Mi hai detto che a stento respiri.»
«Soltanto perché ho dolore, aiutami a mettermi meglio.» Aaron le mise una mano dietro le spalle, e l'altra sotto le ginocchia, fino a quando Safira non annuì per fargli capire che andava bene.
«Hai freddo?» Le rimboccò le lenzuola, rimproverandosi di non esserselo chiesto prima visto che l'unica cosa che le fasciava il corpo era il camice bianco.
«Ho detto che ti amo» Aaron si bloccò sul posto, con i pugni ancora chiusi intorno alle lenzuola. Ma non provava la stessa sensazione della prima volta che Safira glielo disse, perché quelle parole vennero seguite dal suono più orrendo che potesse mai udire. Quella volta, però, c'era solo il silenzio. «Ecco, l'ho detto» accadde qualcosa di inimmaginabile. Il fiato di Safira si spezzò non appena una lacrima attraversò la guancia di Aaron. «Oddio, perché stai piangendo?»
«Non sto piangendo.» Si passò la manica sul viso velocemente, e schiarì la voce.
«Ti ho visto, stai piangendo.»
«Smettila di dirlo.»
«Ma se stai piangendo.»
«Safira, smettila.» Le puntò un dito contro.
«Dottor They» un giovane ragazzo comparì sulla porta. «Mi dispiace interromperla, ma abbiamo un codice rosso e abbiamo bisogno di lei.» Aaron aggrottò le sopracciglia, guardò Safira.
«Vai, io ti aspetto qui.» Le si avvicinò, le afferrò il viso tra le mani e le stampò un bacio sulle labbra.
«Ti amo anche io, Rira. Ti ho sempre amata» sussurrò. «Non dubitarlo mai» le sorrise, poi guardò il ragazzo. «Pensaci tu a mia moglie.»
«Sì, Dottor They» Aaron andò via, e il ragazzo entrò sorridendo. «Posso fare qualcosa per lei?»
«Uhm» gli rifilò un sorrisetto. Era il momento di provare ad essere una manipolatrice tanto quanto Albert. «Sto morendo di fame. Potrei, non so, avere qualcosa da mangiare?»
«Il Dottor Miller cosa ha detto a tal proposito?» Afferrò la cartella di Safira dal porta cartelle attaccato ai piedi del lettino.
«Ha detto di sì.» Il ragazzo sorrise, e scosse la testa. Guardò il monitor, e poi di nuovo Safira.
«È a conoscenza del fatto che quando si dicono bugie, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e la coagulazione del sangue aumentano e il cuore batte in modo più statico?» Safira strinse le labbra, e i denti, altrimenti li avrebbe infilati nel collo di quel ragazzo. «Non fa bene mentire nelle sue condizioni.»
«Okay, com'è che ti chiami?»
«Paul.»
«Ti licenzio Paul, non ho proprio bisogno di nulla» gli strappò una risata. «Grazie per i tuoi servizi vani.»
«Sarò nei dintorni se avrà bisogno di qualcosa che non sia cibo.» Fece uno storto inchino, Safira lo fulminò con lo sguardo, ma fu felice che uscì in fretta dalla stanza. Perché subito dopo scoppiò a piangere.
Perché aveva rischiato di morire.
Perché era sopravvissuta.
Perché era in ospedale, il luogo che più di tutti odiava, di nuovo.
E perché non aveva idea di quando sarebbe uscita di lì.
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Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!
Chick-LitBisogna scommettere solamente quando si è certi di vincere. E specialmente quando la penitenza non comprende un matrimonio a Las Vegas con uno sconosciuto. Ma per Safira andava bene, alla fine si trattava tutto di finzione. Fin quando non incontrò p...