«Sembri teso.» Safira continuava a guardare Aaron a labbra strette. Da quando avevano scavalcato i cancelli abbandonati ed erano strisciati dentro quel posto, non aveva spiccicato parola.
«Quando hai parlato dell'essere arrestati, io pensavo dovessimo andare a derubare una banca.»
«Sei partito dall'ospedale convinto che dovessimo derubare una banca?» Aaron si strinse nelle spalle.
«Ho pensato che volessi rubare Adrian, oppure che...» scosse la testa lentamente. «Non mi aspettavo di infiltrarmi di nascosto in questo palaghiaccio abbandonato.»
«Mi rende estremamente triste.» L'osservò incrociare le braccia.
«Che cosa?»
«Questo posto» fece un giro su sé stessa. «A te no?»
«Mi rende estremamente preoccupato» Aaron si concentrava sopratutto sui due enormi buchi sul tetto e i detriti caduti sugli spalti. Era tutto distrutto lì dentro. Quel palaghiaccio era effettivamente molto piccolo, ma comunque cadeva a pezzi. «Tu vieni qui da sola?»
«Non vengo qui spesso.»
«Ma vieni da sola?»
«Sì» era stato chiuso da tantissimo tempo ormai. Avevano pensato di farlo diventare un mercatone al chiuso, o un supermercato ma alla fine i progetti non erano mai stati messi in atto. Continuava a cadere a pezzi, e la pista di ghiaccio sintetica era ancora intatta. In qualche assurdo modo, Safira aveva trovato il modo di farla funzionare. E funzionava, al massimo dell'illegalità, ma lo faceva. «Da questa parte, vieni.»
«Non posso portarti a cena fuori?»
«Senti, sto cercando di tollerare la tua presenza intollerabile per me, stai zitto e fa quello che dico.»
«Sissignora» esitò un po' prima di poggiare il piede sulla pista, ma comunque Safira era già partita, e quello non era ghiaccio vero. «Come hai scoperto questo posto?»
«Sapevo che quando era ancora in piedi ci venivano molte persone, volevo sapere che fine avesse fatto» per un attimo perse l'equilibrio, ma subito si riprese. «Quando vidi che era ridotto in questo stato ho avuto un magone. I buchi sul tetto mi danno una strana inquietudine.»
«E quindi pensi bene di venirci.»
«È un posto abbandonato. Ha bisogno di qualcuno.»
«Cosa vieni a fare da sola?» Safira si bloccò, poi uscì fuori la pista ed indicò ad Aaron una lunga scrivania in legno. Aaron spostò lo sguardo su di lei. La negazione che avrebbe seguito era già scritta sulla sua faccia ben prima di uscirgli dalla bocca. «No.» Dietro la scrivania, c'era un intero scaffale di pattini blu.
«È divertente. E illegale, quindi c'è anche il brivido.»
«È pericolosissimo, e per certi versi disgustoso.»
«Tu metti le tue grosse mani nei petti delle persone e questo sarebbe disgustoso?» Aaron incrociò le braccia al petto. «Non è pericoloso. L'ho fatto molte volte, e sono cascata spesso. Quello non è nemmeno ghiaccio! Non si rompe e non viene giù nulla.»
«Safira, ti prego. Andiamo a cena, andiamo a prendere un aereo e partiamo, facciamo qualsiasi altra cosa ma non questo.»
«Faremo proprio questo.»
«Mi squilla il cercapersone.» Safira alzò un sopracciglio. Tirò su col naso.
«Non è vero.»
«Non ora, sono sicuro che tra poco mi squillerà e io dovrò correre ad infilare le mie grosse mani nel petto di qualcuno.»
«They.» Gli indicò con la testa i pattini. Aaron boccheggiò per un po', poi buttò la testa in avanti e sospirò.
Safira sapeva già dove prendere i suoi pattini, li aveva sistemati in un punto strategico, invece Aaron ci mise più tempo per trovare il suo numero. «Non potremmo andare ad una vera pista? Che sia a norma e non in pericolo di crollo?» Safira chiuse gli occhi e trovando appoggio tramite la balaustra entrò in pista.
«Non potresti smetterla di lamentarti? Sei veramente insopportabile.»
«Io sono insopportabile?» La guardò iniziare a pattinare. «Io sono insopportabile?» Aaron quasi cadde faccia in avanti appena toccò il ghiaccio. «Tu sei veramente incredibile.»
«Ti stai ripetendo, ti stai ripetendo!»
«Anche tu!» Non riuscì a mantenere l'equilibrio, e non appena Safira gli passò accanto, Aaron si sbracciò e cadde col sedere a terra.
Safira si tappò la bocca con le mani. Aveva il petto in fiamme dalle risate soffocate .«Non provarci, Safira. Non provarci» le scese una lacrima per trattenere lo sforzo. «Smith, se tu ridi il prossimo cuore che apro è il tuo.»
«Lo so» espirò. Sbuffò pesantemente e strinse gli occhi. «Lo so.» Quando Aaron si rimise in piedi, Safira dovette asciugarsi gli occhi con la maglietta.
«Sei veramente pessima. Sei arrivata a piangere.»
«Mi hai minacciata, in qualche modo dovevo pur sfogarmi» mise le mani sui fianchi. «Togliti quei pattini, prima che cadi di nuovo e dai una testata a terra, e mi toccherà raccontare a Jackson come te la sei procurata.»
«Finalmente» quando però la vide allontanarsi, alzò le sopracciglia. «Cosa credi di fare?»
«Credo che mi divertirò ancora un altro po' e cercherò di evitare quella tua brutta faccia finché posso.»
«Ah, ah» quasi volle gattonare per uscire da quell'inferno, al contrario di Safira, che seppure non eccelleva nel pattinaggio sembrava volare quando si muoveva. «Ingenua...»
«Cosa hai detto?»
«Nulla» si girò a guardare la giacca di Safira non appena sentì il cellulare squillare. «Ti sta cercando qualcuno.»
«Uhm» valutò attentamente quella richiesta. «Puoi vedere tu chi sia?» Aaron rimaneva sempre più sconcertato dai comportamenti di Safira, ma fece lo stesso come chiesto.
«È Abby» non un buon segno. «Ti ha lasciato un pacco in negozio.»
«Cosa dice esattamente il messaggio?»
«Non...» Aaron strinse le labbra. «"Ti ho lasciato la scatola dietro il bancone, fino a quando tu ed Aaron non arriverete allo step successivo, accontentati.".» Safira fece un capitombolo inciampando nei suoi stessi piedi. «Cristo.» Lasciò il cellulare nella giacca e corse in pista. Prima che aprisse bocca, Safira già si era rialzata.
«Direi che può bastare, andiamo?»
«Ti sei fatta male?»
«No, affatto» le scappò una risata nervosa. Si promise che mai, mai, mai avrebbe permesso a qualcuno di leggere i suoi messaggi di nuovo. «Andiamo.»
«Cosa intendeva Abby?» Aaron aveva un ghigno. E a Safira non servì nemmeno girarsi per accertarsene.
«They, stai zitto.»
«Con step successivo, intendo.»
«Probabilmente il momento in cui ti ficcherò un coltello in gola e ti guarderò sanguinare fino al tuo ultimo respiro.»
«Sarà difficile fare un ultimo respiro con un coltello in gola.»
«Lo scopriremo presto, suppongo.»
Il viaggio di ritorno in macchina fu estremamente silenzioso. La mente di Safira era fuori dall'auto, lontana da Parigi e dal mondo circostante. «Tutto bene?» Aaron accostò proprio difronte il bar. Le luci erano tutte spente, tranne quelle dal bancone che lasciava sempre accesse.
«Perché l'hai fatto?» Aaron spense i motori e aggrottò le sopracciglia.
«Che cosa ho fatto?» Era difficile capire Safira, sopratutto quando lei non lo guardava in viso.
«Perché mi hai buttata giù dalle scale?» Abbassò la testa, i capelli le coprirono ciò che restava in mostra della sua pelle. «Era suonata la campanella, e stavamo andando a pranzo. L'ultima cosa che ricordo era che stavo scendendo le scale, poi ho sentito ridere e una forte spinta sulle mie spalle. Dopodiché un grande vuoto» scosse la testa. «Cioè, sapevo di non piacerti. Non mi parlavi mai, se non in casi eccezionali, ma buttarmi giù dalle scale in quel modo. Perché l'hai fatto?»
Aaron nemmeno si era reso conto che aveva smesso di respirare. Erano passati così tanti anni ormai, Safira era cresciuta con la convinzione che fosse stato lui. Nulla avrebbe fatto la differenza, ma valeva la pena tentare e togliersi quel peso. «Non sono stato io.» A quel punto Safira lo guardò. Forse era stato il tono della voce, o la fermezza con cui lo disse che attirò la sua attenzione.
«Cosa?»
«Non sono stato io a buttarti giù dalle scale.» Le scappò un risolino, e una lacrima le rigò la guancia.
«Sì, certo» ironizzò. «Non devi...»
«Safira, non sono stato io» sostenne il suo sguardo, poi guardò avanti a sé. «Eri uscita per ultima dalla classe, perché stavi aspettando Gerald» Safira per certi versi sorrise al ricordo del suo migliore amico d'infanzia. «Ma lui era andato al bagno, ci stava mettendo più tempo del solito quindi avevi deciso di scendere per non essere sgridata dalle maestre. Mi eri passata davanti» lo ricordava bene. Aaron era sempre stato silenzioso a scuola, non parlava quasi mai, era intimorita dalla sua figura, specialmente perché era sempre stato più alto dei suoi compagni. «Gerald non ti aveva trovata in classe, ma comunque sapeva dove trovarti e forse era euforico come al suo solito, o divertito non lo so. Mi era passato davanti anche lui, stava ridendo, penso fosse con Tiffany, e che volesse dirti qualcosa visto che le aveva chiesto dove fossi.» Safira si irrigidì.
«No» iniziò a scuotere la testa. «Non è vero. Bugiardo.» La guardò negli occhi e questo la fece arrabbiare da matti.
«Sono sicuro che volesse chiamarti, che non l'abbia fatto apposta» Aaron sospirò. «È stato Gerald, Safira.»
«Tu» scosse le mani per aria. «Sei così meschino, come puoi dire una cosa del genere? L'hai ammesso a tutti, il preside ti aveva espulso.»
«Io...»
«No. Stupida, io credevo...» credeva? Che cosa credeva dopo un solo pomeriggio passato a stento a non litigare? «Non dovevo tirare fuori questo discorso.» Aprì la portiera della macchina.
«Safira, aspetta» ma era già scesa, lasciando Aaron seduto in macchina con così tante parole da dire e così poche dette. «Safira...» aspettò che rientrasse nel bar, poi mise in moto e partì.
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Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!
Chick-LitBisogna scommettere solamente quando si è certi di vincere. E specialmente quando la penitenza non comprende un matrimonio a Las Vegas con uno sconosciuto. Ma per Safira andava bene, alla fine si trattava tutto di finzione. Fin quando non incontrò p...