Ogni Riccio Un Capriccio

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«Grazie mille, Safira. Era tutto buonissimo.» E lei quali meriti ne aveva? Quella era stata tutta opera di Aaron.
«Oh, ne sono così felice! Vi posso offrire un caffè? O qualcos'altro?»
«Grazie tesoro, ma è fin troppo tardi. Ti ringraziamo tantissimo per quello che hai fatto!» Safira afferrò il denaro con un sorriso, ma poi arricciò le labbra. «Tutto bene?»
«Oh, assolutamente. Solo un po' di dolore alla mano» gliela mostrò. «Grazie mille per essere venuti, vi auguro una buona serata.»
«Grazie a te!»
«Salve signora Marie, è stata bene?» La signora Marie le sorrise delicatamente. Forse la persona preferita di Safira dopo Albert. Si domandava cosa sarebbe successo se si fossero conosciuti, ma la signora Marie si vedeva di rado, ed era evidentemente molto più anziana di lui.
«Oh, sono stata molto bene. Sei sempre gentile a lavorare per i vecchietti soli come me anche nelle feste.» Il cuore le si strinse in una morsa.
«Non lo dica nemmeno, spero di rivederla presto!»
«Ciao, cara Safira.»
«Arrivederci!»
La porta si chiuse, e Safira crollò dietro il bancone.
Sì, si era pentita fino alle ossa di aver toccato quel ciambellone senza presine, le mani le facevano un male cane, e quasi le sembrava di aver peggiorato la situazione. Sì, si pentiva leggermente anche di aver lasciato aperto il negozio nel giorno di Pasqua, aveva appena finito di servire l'ultimo tavolo alle sei e ventisette del pomeriggio, ed era in piedi dalle cinque del mattino. Aaron aveva pur preparato le basi, ma comunque lei aveva dovuto terminare tutte le preparazioni della colazione e del pranzo. Comunque i clienti le avevano colmato abbastanza il cuore per non sentire la pesantezza di quella solitaria giornata. Erano venuti in famiglia, o da soli, si erano seduti al tavolo, avevano scherzato con Safira, ci avevano parlato del più e del meno e quasi obbligata a fermarsi di stare con loro. E tutta la giornata era passata proprio così, cucinando, correndo a destra e sinistra, ridendo a battute anche se non erano del tutto divertenti, e ritrovandosi una cucina incasinata fino al soffitto. «Oddio, no.» Incasinata era riduttivo. Poggiò le mani sui fianchi, delicatamente, e si incantò a guardare dove avrebbe passato le restanti due ore.
E poi, pensò ad Aaron. Chissà cosa stava facendo, che cosa avevano mangiato a pranzo, loro italiani, se si stesse riposando dopo l'abbuffata in famiglia. Sì, forse le sarebbe piaciuto passare quella giornata con loro. «Eh, vabbè.» Si mise al lavoro, che era triplicato per il fatto di riuscire ad usare a stento le mani.
Infatti, ci mise un'eternità per sistemare tutto, dopo un'ora e mezza la testa le stava scoppiando per la tensione, e dopo un'altra ora e mezza le rimaneva ancora da passare la pezza sui banconi. «Oddio.» Era stanca morta, non riusciva neppure più a reggersi in piedi, gli occhi le si chiudevano da soli. Ci mise tutte le forze rimaste per sbrigarsi, e non appena finì, si sedette sulla prima sedia disponibile. E si addormentò. Arrivarono le ventuno, e Safira dormiva ancora.
Aaron si fermò difronte il bar, scese dalla macchina e si fermò fuori la porta non appena la vide. Sorrise, scuotendo la testa, ed entrò. Era tutto silenzioso, solamente la luce della cucina era accesa. «Rira» le carezzò la guancia con il dito. «Rira
«Mmm?»
«Sono io, sono Aaron.» Aprì gli occhi lentamente, e poi li sbatté più volte per metterlo a fuoco.
«They» sbadigliò. Stava morendo di sonno, e per una volta che stava riuscendo a dormire, Aaron l'aveva svegliata. Il colmo. «Sono stanca morta.»
«Lo so, ma devo medicarti e poi potrai metterti a letto» Safira diede una testata sul tavolino, Aaron a stento trattenne una risata. «Forza, ragazzina.»
«Sì» si stropicciò gli occhi e sbadigliò di cuore. «Voglio togliermi le trecce.» Aaron aggrottò le sopracciglia. Amava Safira e quelle sue trecce, ma l'amava anche senza.
«D'accordo, ma prima lascia che ti medichi» le si sedé accanto, e con delicatezza le tolse le fasciature vecchie. «Raccontami di oggi.»
Safira poggiò nuovamente la testa sul tavolo. «Mi sono svegliata alle cinque per terminare ed infornare le preparazioni per la colazione. Solamente stamattina sono venute qualcosa come, settanta persone che venivano e andavano, venivano ed andavano. E poi c'è stato il pranzo, l'ultima coppia se ne è andata più o meno alle diciotto e trenta. Ho pulito ciò che c'era da pulire, ed evidentemente mi sono addormentata qui.» Aaron con calma e cautela le aveva medicato entrambe le mani, felice di vederle quasi guarite del tutto.
«Ricordi che tra tre giorni partiamo?» Safira socchiuse gli occhi. Certo che se lo ricordava, non aveva pensato a cosa portarsi, tantomeno l'aveva detto a sua madre, o Abby. Non voleva partire e chiudere il bar, però se lo ricordava.
«Sì» sbuffò. «E voi cosa avete fatto oggi?» Aaron scosse la testa, e quando finì di fasciarle le mani, le chiuse tra le sue.
«Io sono stato in ospedale tutto il giorno, ma a quel che so, a casa hanno mangiato, e mangiato, e mangiato ancora.»
«Sei... credevo che fossi stato con la tua famiglia.»
«C'è stato un incidente, e sono dovuto scappare.»
«Mi dispiace.»
«No, non fa nulla» sorrise. Improvvisamente Safira si domandava quante festività doveva aver abbandonato per correre via. «Hai mangiato, vuoi che ti prepari qualcosa?» Safira scosse la testa lentamente, poi si alzò e chiuse a chiave il negozio. Si buttò a capofitto sul divano, e guardò Aaron.
«Vieni qui?» La raggiunse, e sospirò di sollievo, neppure lui si era seduto durante tutta quella giornata. «Siamo dei vecchi.»
«Per così poco?» A Safira scappò uno sbuffo divertito e lo guardò sorridendo. «Ti va di accoccolarti accanto a me?»
«Hai per davvero usato la parola accoccolarti?» Sussurrò.
«Hai per davvero una tazza a forma di koala che hai chiamato Mr. Spuck a trentadue anni?» Non aveva più le labbra piegate in un sorriso, bensì la bocca spalancata fino alle ginocchia. Aaron sfoggiò le sue fossette, ormai non era neppure più offesa, ma si impegnò a dimostrare il contrario.
«Sei stato cattivissimo.»
«Forse un po'.»
«Io» boccheggiò, non riusciva a dire cose per ripicca, era troppo gentile. «Non ci vengo in vacanza con te.»
«Mio nonno sarà avvilito da questa tua affrettata decisione.»
«Ok, ci vengo ma non ti parlerò.»
«Non mi parlerai per quattro giorni interi?»
«Per quattro giorni interi, più tutto il tempo che ci vorrà per andare e tornare.»
«E quando dovrai capire cosa ti dicono gli italiani, anzi siciliani, che cosa farai? Non mi parlerai neppure in quel caso?» Safira ci penso su per qualche secondo.
«Siciliani?» Aaron sgranò gli occhi difronte a quella pronuncia, scoppiò a ridere poco dopo. «Oh!» Gli diede due pizze sul bicipite, indurito però per la posizione. «Smettila.»
«Oddio» si passò una mano tra i ricci. Prese un profondo respiro. «Grazie, mi serviva proprio.»
«Mi stai rovinando la serata di Pasqua.»
«Vieni qui» le afferrò l'avambraccio e se la tirò addosso. Safira provò a liberarsi, ma Aaron l'avvolse tra le braccia. «Oddio.» Prese un così profondo respiro che lei si bloccò.
«Che hai fatto?»
«Profumi di biscotti» le scappò un risolino, e finalmente si abbandonò alla presa di Aaron. Si abbandonò ad Aaron. Al suo cuore e il suo cervello. Ad Aaron e basta. «Ti morsicherei.» Safira annuì freneticamente.
«Okay. Eviterei di farlo, e ti consiglierei di alzarti per prenderti qualcosa da mangiare.» Le sorrise contro le trecce.
«Sai nuotare, Safira?» Roteò gli occhi al cielo ed evitò di sorridere. Amava essere chiamata per nome in quel modo.
«Nuotare?» Strinse le labbra. «Non saprei.»
«Non sai se sei capace di nuotare?»
«Io non vado al mare da tantissimi anni, so tenermi a galla» buttò la testa indietro per guardarlo, finendo definitivamente col sdraiarsi sulle gambe di Aaron. «Perché me lo chiedi?»
«Per sapere quanto d'occhio dovrò tenerti quando andremo in spiaggia» Safira aggrottò le sopracciglia. «Devi mettere il costume in valigia, Smith.»
«They, è quasi maggio.»
«Qui. Dove andiamo noi è più o meno luglio inoltrato» rimase in silenzio. Non poteva portarsi il costume, perché non voleva restare in costume davanti Aaron. E questo lui lo sapeva, per questo ne aveva già comprati tre nel caso in cui Safira non se ne fosse portato nemmeno uno. «Vivrai l'estate per un po', e ritornerai in primavera poco dopo.»
«Sembra divertente» che pessima attrice. «E che altro faremo dove andremo?»
«Mangeremo, e usciremo, e se non vorrai resteremo a casa sdraiati sul letto a guardare il soffitto» il cuore le fece una capriola. Sdraiati sul letto, perché avrebbero dormito insieme? «Ah, ovviamente ci sono due letti nella casa, così avrai la tua privacy e il tuo spazio, non preoccuparti.» Quella capriola si ritirò immediatamente. Era giusto, allora perché un po' le dispiaceva? Si era fatta troppe aspettative, come al solito.
«Bene, grazie» chiuse gli occhi. «A me piace guardare il soffitto.»
«Perché non festeggi Pasqua con tua madre?» Con l'indice le tracciò lentamente ogni punto del viso.
Al Diavolo le vacanze, Pasqua, al Diavolo qualsiasi cosa. Safira voleva rimanere in quel modo, per quanto più tempo possibile.
«Non abbiamo mai festeggiato nulla, io e lei. Solamente il mio primo, quinto e diciottesimo compleanno. E i trenta» prese un attimo di pausa. «Penso che a mia madre non piaccia festeggiare per colpa della sua famiglia, o di mio padre. Non so, in realtà non mi ha mai parlato molto né di uno e né dell'altro. Quindi, al posto di passare giornate lunghissime a non fare niente, ho iniziato prima ad aprire a Pasqua, poi a Natale e poi ancora a Capodanno. Le persone che venivano c'erano, non ho più smesso da allora.»
«Non hai mai provato a domandarle perché non festeggiavate?»
«Sempre risposte vaghe a questa domanda, mai una concreta» si strinse nelle spalle. «Non fa nulla, almeno da quest'anno anche lei ha compagnia, con Spettro» Aaron sorrise. «Quando sono andata a trovarla gli parlava con una vocina striminzita, e sono quasi sicura che lo lasci entrare dentro casa.»
«L'ha conquistata, quindi.»
«Non potevo essere io l'unica scema che si scioglieva difronte gli occhi dolci di un cane» poi si rianimò all'improvviso. «Ti va di togliermi le trecce?»
«E come dovrei fare?» Safira si alzò goffamente, corse dietro la cassa per afferrare un paio di forbici, e tornò da Aaron.
«Tu tagli, e io sciolgo.»
«Dovrei tagliarti i capelli?» Aaron prese quelle forbici molto titubante.
«No, mi taglierai le extension, i capelli non li toccherai.»
«Ma se ti tagliassi i capelli nel mentre?» Safira strinse le labbra per non ridere.
«Sono sicura che non accadrà, avanti» gli si sedé accanto, afferrò una treccia, e indicò un punto. «Su, taglia qui.»
«Non voglio tagliarti i capelli, come puoi dire che non accadrà? Come fai a sapere che non mi hai indicato il punto preciso dove sono i tuoi capelli?» Safira trattenne un sorriso. Avrebbe voluto baciarlo, ma avrebbe anche voluto tirargli un cazzotto.
«Aaron They, per favore. Taglia, o ci metteremo tre giorni.» Aaron afferrò la treccia, gli ci volle qualche secondo per prendere coraggio, ma alla fine tagliò.
«Oddio, ti ho tagliato i capelli?» Safira si sciolse il resto della treccia con calma. Quando lasciò cadere l'extension a terra, analizzò le punte dei capelli.
«Non mi hai tagliato nulla, puoi continuare.»
«I tuoi capelli sono ricci.»
«Perché ho portato le trecce per molto tempo» Aaron annuì, preferiva continuarne a non capire e vivere nell'ignoranza. «Vai, ne rimangono un bel po'.»
Ma comunque erano riusciti a prendere il ritmo in poco tempo. Nonostante il lavorare a rilento per via delle mani indolonsite, Safira riusciva in fretta a sciogliere le trecce. Aaron non appena aveva finito di tagliarle tutte, con la speranza e la paura di non averle preso i capelli, l'aiutò a scioglierle, e insieme ci misero meno tempo del previsto. «La mia testa pesa di meno, ora.» Safira lanciò un'occhiata a tutte le extension a terra, ma Aaron invece, continuava a guardare lei. Per via delle trecce i capelli erano ricci, riccissimi, ed era bellissima.
«Safira.» Lo stomaco le si ribaltò come un guanto.
«Sì?» Si girò a guardarlo, e lo ritrovò esageratamente troppo più vicino a ciò che si aspettava. Il cuore di entrambi si fermò nello stesso momento. Ma perché cacchio una volta e per tutte non si arrendevano a quella tensione?
Cosa li bloccava dal baciarsi? Dal provare a far capire all'altro quella sensazione di tachicardia nelle orecchie ogni volta che si ritrovavano così vicini? Perché entrambi pensavano che sarebbe stato sbagliato?
«Quando» gli occhi gli scivolarono sulle labbra di lei .«Quando torneremo qui, dovrò partire per Los Angeles.» La luce e la speranza negli occhi di Safira si spense di colpo. Stupido, stupido Aaron.
«Los Angeles?» Aaron annuì, e allo stesso momento si allontanarono di poco. «Partire per restarci, intendi?» Afferrò un cuscino dal divano e lo mise in grembo, stringendolo leggermente.
«Forse, non lo so» abbassò lo sguardo. «Devo andare per lavoro, ovviamente, ma» indugiò, perché non sapeva quali parole usare per non passare da stronzo. «Prima di venire qui a Parigi, la mia vita era a Los Angeles. Per certi versi è ancora lì» Safira distolse in fretta lo sguardo. «Avevo degli amici, una casa, ero primario nel mio ospedale. Mi piace lavorare qui, ma essere primario, quella è tutt'altra cosa.»
«E quando ripartiresti?»
«Il primo maggio.» Avrebbe potuto piangere, perché era quello di cui aveva bisogno, ma non lo fece. Sorrise ed annuì, invece.
«Bene. Tranquillo, non mi cambia nulla un mese in meno alla fine del nostro accordo» le cambiava tutto, ma voleva ferirlo tanto quanto lui aveva ferito lei, senza la certezza che ci stesse riuscendo. «Ci godremo queste vacanze, e poi ognuno tornerà alla sua vita» si alzò in piedi. «Tu a Los Angeles, e io qui.»
«Safira.»
«Pensi che i fogli del divorzio siano pronti?» Eccola, aveva sganciato la bomba più grande di tutte. E l'aveva capito dall'espressione di Aaron, che si era rabbuiata all'improvviso. Lui aveva attaccato, e Safira si stava difendendo spingendolo via.
E Aaron, sciocco innamorato, ci aveva davvero creduto fin troppo. «Domani andrò a controllare.»
«Ottimo, grazie.» Aaron si alzò in piedi, e Safira incrociò le braccia al petto.
«Safira.»
«Ci vediamo tra tre giorni, allora.» Lo interruppe. Che brutta la sensazione di quel vuoto allo stomaco, pareva quasi che solamente un pianto isterico l'avrebbe potuta colmare. Aaron la sorpassò, ed andò via.
E Safira scoppiò a piangere. Prese il telefono, credendo di voler chiamare Abby, ma si sentiva una stupida a rovinarle quelle vacanze. Mamma Ife era meglio che non sapesse che sua figlia stesse piangendo per lo stesso ragazzo che l'aveva mandata in coma da piccola.
Proprio quando si arrese all'idea di esser sola, qualcuno entrò nel bar. «Dobbiamo smetterla di incontrarci così» Oliver, santo, santissimo Oliver. «Che cosa è successo?» Strinse le labbra, indeciso di dove andare a puntare. «È per i capelli? Guarda che secondo me ci stai bene con questi ricci pazzi, ti rendono più selvaggia!» Safira si sedé sul divano, e Oliver la raggiunse poco dopo. Le afferrò le mani tra le sue. «O si tratta di uno alto due metri e più, con i capelli e gli occhi neri?» Le scappò uno sbuffo sotto tutte quelle lacrime.
«Sono marrone scuro, lui dice che sono marrone scuro.»
«Non è vero, sono neri» le asciugò le lacrime fredde. «Che cosa ti ha fatto?»
«Io non penso di esserne innamorata» sbottò, e afferrò nuovamente un cuscino da stringere al petto. Oliver sorrise pensieroso. «Partiamo tra tre giorni, la sua famiglia ci ha regalato i biglietti aereo e non potevamo dirgli di no. Stiamo via per una settimana.»
«Quindi piangi di gioia.»
«Mi ha detto che quando torneremo, lui partirà per Los Angeles. Per lavorare, per la vita che ha lasciato prima di venire qui» sospirò. «Io non faccio parte di quella vita.»
«Ma vorresti farne parte?» Safira aggrottò le sopracciglia. Non era neppure un'opzione che aveva ritenuto possibile.
«No. La mia vita è qui. È questo bar, la mia casa, mia madre. Io non posso lasciare tutto per inseguire Aaron They dall'altra parte del mondo. Io fino a poco tempo fa odiavo Aaron They.»
«Non puoi, o non vuoi?»
«Entrambi! Sai quanto ho faticato per costruirmi la vita che ho ora? Io ho sognato Parigi da quando ne ho memoria, e qui ho tutto ciò di cui ho bisogno.»
«Allora per quale motivo piangi? Se non ti importa di inseguire Aaron perché sai di aver tutto qui, perché piangi?»
«Perché me ne sono innamorata!» Si tappò la bocca dopo quell'urlo. Invece, Oliver non si mosse di un millimetro. «Oddio, l'ho detto ad alta voce.»
«No, l'hai urlato, Rira» le labbra le tremarono, scoppiò a ridere. E rise per tantissimo tempo senza prendere fiato, tanto da contagiare anche Oliver. «Tu non stai bene.» Quando riprese fiato, sospirò alleggerendo il peso sul petto.
«Okay, sono innamorata di Aaron They. È per questo che piango, perché non può tornare alla sua vita e lasciarmi qui, non può prendersi il mio cuore e volare a Los Angeles lasciandomi a sanguinare qui a Parigi!» Si sfregò gli occhi. «Può farlo perché non siamo realmente fidanzati, ma non può perché... perché... cazzo!»
«Okay, ora calmiamoci» Safira si legò i ricci in uno chignon. «Sembra un grande problema.» Aspettò che Oliver terminasse.
«Ma?»
«No, nulla. Lo è anche.»
«Non sei di molto aiuto, Ol.»
«Possiamo lavorarci sopra, ma con qualcosa da mangiare. Andiamo, a mangiare qualcosa.»
«Vado a mettermi una tuta.»
Venti minuti dopo, erano appostati in un parcheggio nella macchina di Oliver, mentre mangiavano frittura di pesce comprata da un camioncino che stava per chiudere. Gli erano evidentemente parsi così disperati che aveva messo a friggere ogni cosa che gli era rimasta. «Vorrei che Abby fosse qui.»
«Sì, anche io.» Safira aguzzò gli occhi col boccone in bocca.
«Ti piace? Abby?»
«Non a sfondo sessuale, ma come amica con cui uscire per divertirsi» le spiegò. «Non come a te piace Aaron. Perché hai aperto un bar?» Safira lo incenerì con lo sguardo per il borbottio su Aaron.
Oliver alzò le sopracciglia, invitandola a spiegare. «Sai cos'è successo tra me ed Aaron quando eravamo piccoli?»
«L'unica cosa che so è che lo odi da un pezzo prima di Las Vegas.»
«Andavamo alle elementari insieme, fino a quando lui un giorno mi ha spinta giù dalle scale mandandomi in coma per un paio di mesi» Oliver sgranò gli occhi, e un calamaro fritto gli cadde dallo stuzzicadenti al cartoccio. «Non ricordo nulla del coma, e della mia infanzia. Fatto sta, che con mia madre eravamo andate a vivere nel Wisconsin, per ricominciare, ma lo odiavo da morire. Il freddo, le persone. Io non ero fatta per ricominciare, quindi siamo tornate a Parigi, e io mi sono decisa ad aprire il bar» scosse la testa. «No, sai cosa. Non posso fare questa conversazione in una macchina. Portami da una parte.»
«E dove, scusami?»
«Tranquillo, tu segui le mie indicazioni.» Oliver passò il cartoccio a Safira, che gli spiegava per filo a per segno come arrivare al suo palaghiaccio, ma mai avrebbe immaginato il lutto che le avrebbe avvolto il cuore una volta arrivata lì.
Per questo stava piangendo in piedi, in mezzo alla strada, mentre addentava la frittura ormai fredda. «Safira» Oliver la guardava ad un metro di distanza a labbra strette. Lì serviva un disperato bisogno di Abby. «Sicura di stare bene?»
«No!» Batté i piedi a terra per alleviare quel senso di crisi isterica. Indicò con un gesto del braccio il palaghiaccio, circondato da transenne e macchinari, e anche gru perfino. «Mi stanno abbattendo il palaghiaccio!»
«Sì, questo lo vedo» sussultò quando Safira lanciò un urlo di frustrazione. «Okay, che ne pensi di tornare in macchina e...»
«Il mio palaghiaccio!»
Oliver si mise una mano dietro il collo, e buttò la testa all'indietro. Adorava Safira, era una bomba quella ragazza, ma al contempo impossibile maneggiarla.
Cosa avrebbe dovuto fare? Chiamare Abby? Aaron? Sua madre? «Tu venivi qui a pattinare?» Safira annuì, e con tre passi indietro si poggiò alla macchina di Oliver. «Anche io da bambino, ma non ero capace» le si avvicinò. «Vieni, sali in macchina.»
«Ma questo era il mio palaghiaccio.»
Quando si rimisero comodi, Oliver le passò un pacchetto di fazzoletti. «Come ti senti?» Safira si soffiò il naso, sospirò e guardò il palaghiaccio difronte i suoi occhi.
«Combattuta. Abbattuta.»
«Come va il lavoro?»
«Va bene.»
«E tua madre come sta?» Si girò a guardare Oliver e quei suoi capelli rossicci.
«Sta bene.»
«Quindi l'unica pecca è Aaron» Safira sorrise e annuì leggermente. «Tu devi deciderti, Rira. Lo odi, gli dici di farti sua, a stento lo tolleri, te ne innamori» entrambi piegarono la testa di lato. «Ne sei innamorata?»
«Sì.»
«Riesci a mettere da parte tutte le discordie che avete avuto per riuscire ad amarlo senza respingerlo?» Safira a quel punto iniziò a pizzicarsi le dita. Mettere da parte.
«Io ci riesco, ma a cosa serve amarlo? Lui se ne andrà via, molto probabilmente non tornerà più. Perché amarlo se quella che soffrirà sarò io ed io soltanto?»
«Non amarlo come vorresti ti fa soffrire lo stesso. Che cosa cambia?» Oliver aggrottò le sopracciglia. «Che cosa gli hai detto quando ti ha parlato di Los Angeles?»
Safira boccheggiò un po'. «Gli ho chiesto dei fogli del divorzio.»
«Oh, Gesù.»
«Lo so...»
«Ecco perché tu piangi» le pizzicò una coscia. «Ne sei innamorata, ma hai paura di esserlo, quindi lo respingi, ma respingerlo ti porta a stare male e stare male ti porta a piangere.» Safira si strinse nelle spalle.
«Che devo fare?»
«Dà pace al tuo cuore, e a quello di Aaron. Datevi una tregua, una volta e per tutte.»

Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora