«Bevi, avanti.» Aaron poggiò sulle labbra di Safira una bottiglietta d'acqua.
Era notte fonda, seduti sul divano in casa di Aaron.
Avevano passato il tempo rimanente a Lampedusa prima di partire ad andare al mare, a mangiare e fare sesso. Una montagna di sesso, ovunque capitasse, in ogni momento libero.
«Ho sonno, non sete.»
«Bevi, e ti porto a letto. A dormire.» Specificò.
«Non voglio dormire» si stropicciò gli occhi, allontanandosi dalla bottiglietta. «Perché tu tra quattro giorni te ne andrai e io resterò senza di te.»
«Smettila con questa storia, quattro giorni sono lunghi.»
«Sono sicura che se mi addormento ora, quando mi risveglierò tu già non ci sarai più.» Aaron sorrise. Se la caricò in braccio, e la portò in camera, mettendola sotto le coperte.
«Perché allora quando ti sveglierai non vieni a trovarmi in ospedale?» Le baciò le labbra. «In questo modo faremo colazione insieme, e io potrò baciarti senza che tu sia sul punto di collassare.»
«Almeno non sto sbavando.»
«Non ancora.» Safira gli mise le mani tra i capelli, lo attirò a sé, dipendente dalle sue labbra. Dall'averlo il più vicino possibile.
«Rimani qui, ti prego. Rimani qui e chiama in ospedale dicendogli che in realtà ti sei sbagliato» Aaron le sorrise sulle labbra. «Che sei ancora in vacanza e non puoi aprire petti oggi, né domani e né dopodomani.»
«Prometto di cucinare per te stasera, che ci guarderemo un film e poi ti scoperò fino a far sentire le tue urla ai turisti sulla torre» Safira sorrise ad occhi chiusi. «Per ora resterò qui, fino a quando non ti addormenterai, d'accordo?» Fece il giro del letto, sdraiandosi accanto a Safira. L'avvolse tra le braccia, e iniziò a giocare con i suoi capelli. «Rira?»
«Mmm?» Aspirò a pieni polmoni il profumo di Aaron. Era sorprendente come amasse le sensazioni che le scaturiva. Se non avesse aperto gli occhi poteva ancora credere di essere a Lampedusa.
«Penso» scosse la testa. Safira era molto più che nel mondo dei sogni. «Anzi, sono sicuro che la mia vita non sarà mai più la stessa senza di te.»
«Bene» borbottò. «Tanto... sto qua.»
«Sì, anche io sto qua» le lasciò un bacio tra i boccoli. «Sto qua, Rira.»Quando Safira si risvegliò, Aaron non era più accanto a lei. E quello le sembrò solamente l'inizio di un prossimo, lunghissimo incubo.
Aveva fatto colazione con ciò che lui le aveva preparato, si era lavata e vestita, e aspettava ansiosa un taxi che la portasse in ospedale. Pioveva a dirotto, era bloccata sotto un albero che non del tutto le evitava di essere bagnata.
C'era qualcosa che non andava, e non riusciva a capire che cosa di importante si fosse dimenticata. Afferrò il cellulare, chiamò Aaron.
«Che succede? Stai bene?» Lo sentiva distante, probabilmente aveva il viva voce.
«Sì... no. Sento di aver dimenticato qualcosa, i tuoi fornelli hanno il gas?» Ci fu un lungo attimo di silenzio. «Aaron?»
«Sono in sala operatoria, e la mia equipe è qui che ti sente.» Sgranò gli occhi, piena di imbarazzo. Una goccia le entrò nel colletto della felpa, facendole venire una miriade di brividi lungo il corpo.
«Oddio... salve a tutti, scusatemi. Non licenziatelo solamente perché sta parlando con me al cellulare, per favore.» Qualcuno dall'altra parte rise.
«Ciao, sorellina! Com'è andata la vacanza?»
«Ah, c'è anche Jackson. Ciao Jackson, è andata bene. Aaron, il tuo fornello ha il gas o no?»
«No, tesoro. Sono ad induzione. Non esploderà casa, te lo assicuro.»
«Ah, ottimo» ci fu uno spaventoso suono di clacson. Uno di quelli tremendamente pericolosi da sentire così tanto vicini. «Penso che andrò a pattinare.» Aaron sgranò gli occhi, bloccandosi nel bel mezzo dell'operazione.
«No!» Lo disse in modo talmente euforico, che tutta l'equipe alzò la testa per guardarlo. «Non... ti ho detto di non andarci. Non da sola.»
«Puoi smettere di palpare il cuore della persona in sala operatoria e venire con me?»
«No.»
«Allora andrò da sola» a Jackson scappò un risolino. Safira era perfetta per Aaron. «No!» Urlò di punto in bianco. «Non è vero. L'ultima volta che ci sono andata... stavano abbattendo il mio palaghiaccio. Non ho più una pista dove pattinare!» Aaron tirò un sospiro di sollievo, e ricominciò ad operare. Jackson alzò gli occhi, aggrottò le sopracciglia. «D'accordo, verrò in ospedale. Devo...» Safira si girò di scatto alla sua destra.
Qualcosa di brutto stava per accadere, ma non si trattava di fornelli o case, o di palaghiacci abbattuti, quanto più di un'auto che stava sbandando e venendo dritta nella sua direzione. «Aaron, ti amo.» L'impatto fu quasi immediato, gli occhi di Safira si chiusero immediatamente.
La sala operatoria sprofondò nel silenzio.
Aaron continuava a guardare il cellulare nero, e ad ascoltare la linea interrotta. «Aaron» Jackson lo richiamò, ma sembrava non essere neppure in quella sala operatoria. Per la prima volta, gli stavano tremando le mani. «Aaron, allontanati dal paziente, per favore» Jackson strinse i denti. Stava morendo di paura, ma sotto le loro mani c'era un paziente che sarebbe morto per davvero se Aaron non si sarebbe allontanato dal tavolo. «Aaron, ti prego.»
«Michelle» la strumentista sussultò quando Aaron la richiamò. «Richiama mia moglie. Richiamala subito.»
«Dottor They...»
«Fallo.» Michelle incrociò prima lo sguardo di Jackson, che le annuì leggermente. Provò a richiamare Safira, ma non squillò neppure.
«Aaron, allontanati dal tavolo, ora» Jackson lo implorava con lo sguardo. «Ci penso io a richiudere, esci dalla sala.» Michelle timorosa gli tolse gli strumenti dalle mani.
Aaron non respirava più. Afferrò il cellulare dal vassoio, insieme al cercapersone, e corse fuori la sala operatoria. Provò a richiamare Safira, ma non c'era verso che la chiamata partisse. Inciampò contro più infermieri, dovette reggersi al muro. «Devo...» vomitare, cercare aria, pregare.
La provò a richiamare ancora, e ancora, e ancora. La chiamata non partì neppure una volta soltanto.
Restò immobile, in mezzo al corridoio, lontano con la mente da quel posto. E ci rimase così tanto tempo che le gambe gli iniziarono a tremare.
Doveva vomitare. Si mise una mano sulla bocca dello stomaco, e non appena provò a richiamare Safira, una mano lo fece uscire da quello stato di trance in cui era perso. «Dottor They» Aaron abbassò lo sguardo sulla mano, e poi lo alzò sugli occhi allarmati che lo stavano guardando. «Dottor They, si tratta di sua moglie!» Candice. Candice che lo stava strattonando per la maglietta urlandogli che si trattava di Safira. «Dottor They! Sua moglie!» Quindi era vero. Se Candice gli urlava "sua moglie", per davvero a Safira era successo qualcosa.
L'afferrò per le spalle, stringendola più di quanto avrebbe voluto. «Dove... lei dov'è...» aveva la bocca impastata. Il cuore gli pulsava nelle orecchie. «Dov'è mia moglie?»
«In pronto soccorso!» Aaron scattò non appena sentì la prima parola. Scese giù per le scale quasi cadendo, quando arrivò in pronto soccorso, stava piangendo.
Si rigirò più volte su sé stesso, perso. «Dove... Safira... dove...»
«Carico a duecento!» No. No. No. No. Lentamente si girò verso la sala due. No. No. «Libera!» Il corpo di Safira sussultò sotto le piastre.
«Safira!» Sussultarono tutti quanti a quell'urlo maledetto. Aaron provò a correre, ma qualcuno lo placcò prima di entrare nella sala.
«Aaron, Aaron, Aaron!» Jackson lo bloccò tra le braccia. «Aaron!»
«Safira! Safira!»
«Libera!» Un altro sussulto.
«Aaron, Aaron! Aspetta! Stai fermo!»
«Lasciami andare, lasciami andare!»
«Abbiamo il polso, ma è debole. Dobbiamo portarla in sala operatoria! Chiamate il Dottor Morris!»
«Sono qui! Sono qui!» Jackson bloccò con un braccio Aaron al muro. «Aaron, resta qui. Devi restare qui» si girò verso l'equipe d'emergenza. «Arrivo subito, preparate la paziente!»
«Jackson, devo venire. Devo venire non sai di cosa si tratta, devo venire.»
«Se ti faccio entrare in sala operatoria, Safira muore» Aaron scattò in avanti, ma Jackson lo sbatté di nuovo al muro. «Aaron, devi chiamare sua madre. Chiama sua madre, falla venire qui. E resta con lei. Non ti avvicinare alla mia sala operatoria.»
«Jackson, ti prego. Lei è tutto per me, ti prego. Io... ti prego.»
«Resta qui» Jackson si guardò intorno. «Erika, mandami Lily in sala operatoria.» Si allontanò di qualche centimetro da Aaron. Lo guardò crollare a terra di peso, prendersi la testa tra le mani e scoppiare a piangere. Non gli disse nulla, non poteva fargli promesse, quindi corse in sala operatoria.
«Che cosa sta succedendo?» La voce del primario di chirurgia arrivò per un primo momento dura, quando poi gli occhi scivolarono sulla figura di Aaron a terra, si attenuì. «Dottor They, che cosa succede?»
«Signore» qualcuno lo richiamò, il primario si allontanò. «Sua moglie è stata coinvolta in un incidente poco fa. È in gravi condizioni, l'hanno appena portata in sala operatoria.» Per quanto si sforzasse di sussurrare, Aaron sentiva tutto.
«Chi la sta operando?»
«Il Dottor Morris.»
Il migliore amico di Aaron che operava sua moglie. Quello era un incubo.
«D'accordo...» il primario si avvicinò cautamente ad Aaron. «Vado a vedere cosa succede, e manderò qualcuno ad aggiornarti. Dottor They, non fare sciocchezze.»
«Ho bisogno... l'ossigeno. Portarmi l'ossigeno.»
«Portate l'ossigeno al Dottor They.»
«Sì, signore.» Il primario andò via.
Solamente quando Aaron si mise la mascherina dell'ossigeno riprese a respirare. Afferrò il cellulare dalla tasca, le mani gli tremavano come dannate. Indugiò qualche secondo prima di chiamare la madre di Safira.
«Pronto?» Aprì la bocca, ma non uscirono parole. «Pronto, chi è?»
«S... sono Aaron. Sono Aaron.»
«Oh. Ciao, Aaron» silenzio. «Come posso aiutarti?»
«Safira...» scoppiò a piangere.
«Safira, che cosa? Sta bene? Dov'è?»
«In ospedale... lei... un'auto...»
«Oddio.» Agganciò immediatamente. Il telefono cadde a terra dalle mani di Aaron.
Com'era possibile? Cos'era accaduto? Era colpa sua, era colpa sua perché era stato lui a dirle di venire in ospedale quella mattina. Era colpa sua. Stavolta lo era per davvero.
Passò una buona mezz'ora prima che le porte del pronto soccorso si spalancarono, mamma Ife entrò con un'espressione di puro terrore, che si amplificò non appena vide Aaron a terra. «Aaron, Aaron!» Gli crollò accanto in ginocchio. «Dov'è Safira? Dov'è?»
«È stata investita. L'hanno portata in sala operatoria.» In tutto quel tempo Aaron era riuscito a separare la parte razionale da quella sentimentale. Era un dottore, era il suo lavoro.
«Come... cosa...» mamma Ife scoppiò in lacrime. «Perché... non sei con lei... perché...»
«Perché io non posso operarla. Non posso farlo perché sono troppo coinvolto emotivamente con Safira. Non posso entrare nella sala operatoria perché c'è il mio migliore amico che la sta operando, questo vuol dire che si tratta del cervello, ma anche del cuore visto che hanno chiamato la mia miglior tirocinante. Sono dentro da un'ora e ancora non mi hanno fatto sapere nulla. Non mi hanno fatto sapere nulla.»
«Ma... lei...» Aaron guardò mamma Ife, che a stento respirava. Le mise con delicatezza la mascherina dell'ossigeno. «Non puoi... Aaron...»
«Dottor They.» Si alzò di scatto non appena venne chiamato.
«Dimmi.»
«Mi manda il dottor Morris. Safira ha riportato una frattura cranica basale, con emorragia interna. L'emorragia è stata fermata. Ha due costole rotte ma la frattura è composta, il corpo è pieno di lesioni» strinse le labbra, evidentemente a disagio difronte quello sguardo pieno di rabbia. «Ha anche detto che non si deve avvicinare alla sua sala operatoria.»
«E... e il cuore... il suo cuore?» Non si accorse che stava piangendo.
«Da quando è entrata in sala è andata in arresto due volte» Aaron si strofinò la faccia tra le mani. «Lily sa cosa sta facendo.»
«Voglio un aggiornamento ogni mezz'ora. Altrimenti sradico quella cazzo di porta di quella cazzo di sala operatoria.»
«Sì, Dottor They.» Andò via, lasciandolo in bilico su un punto di non ritorno. Quando si rigirò, mamma Ife era in lacrime.
«Ife, vieni. Per favore. Vieni con me» accettò la mano, e si alzò molto lentamente da terra. «Ti darò un ansiolitico, d'accordo?» La fece sedere e di conseguenza sdraiare su un lettino. Frugò in fretta dentro i cassetti del pronto soccorso, ma Aaron non riusciva a pensare con la rabbia e la paura che lo stavano strangolando. Diede un pugno al muro, e urlò. «Qualcuno mi può portare un cazzo di ansiolitico?» Gli infermieri iniziarono a correre in lungo e largo.
«Aaron... tu credi... pensi che... oddio...»
«Penso che Safira è la donna più forte che conosco. Che Jackson è il più bravo del suo campo, e che nessuno la lascerà morire.» Scosse la testa.
«Quella ragazza ha detto parole così... sembra così grave...»
«La morte non è nemmeno uno scenario plausibile» attese che l'infermiere attaccasse la flebo a mamma Ife. «Non lo è.»
Passò un'altra ora, e un'altra ancora.
Passarono quattro ore e mezza, in cui solamente una volta erano andati ad aggiornarli.
Ed Aaron stava impazzendo. Guardava Ife, e vedeva Safira. Chiudeva gli occhi, e vedeva il viso di Safira. Sentiva la sua risata. Riusciva a sentire il suo profumo. Il suo sapore. Se chiudeva i pugni, riusciva a sentire i capelli di Safira tra le mani.
Non poteva più farcela. Non poteva più restare ad aspettare.
Si alzò di scatto dalla sedia, facendola rimbalzare contro la tenda, e risvegliando Ife. «Dove stai andando?» Era stordita dagli ansiolitici, e mezza addormentata.
«Torno subito» schioccò le dita contro un'infermiera. «Resta con lei.» Non prese nemmeno l'ascensore, corse su per le scale fino ad arrivare al quarto piano. Aprì due porte delle sale operatorie prima di trovarsi in quella giusta. Restò a guardare attraverso il vetro del lavabo, poi afferrò una mascherina ed entrò, stremato dalla figura di Safira su quel tavolo operatorio.
«Dottor They, fuori dalla mia sala operatoria.»
«Nessuno mi ha fatto più sapere un cazzo, Jackson. È qui dentro da quasi cinque ore!»
«Aaron, non è cascata da una bici, è stata investita. Vattene via.» Aaron guardò i parametri vitali.
«Posso... ti prego fammi restare. Ti prego.»
«Devi andare fuori da questa sala» distolse lo sguardo per un secondo. «Ho quasi finito» la voce divenne più calma, sapeva che Aaron fosse arrabbiato, ma non poteva permettergli di fare qualche sciocchezza. «Avvicinati, hai un minuto. Dopodiché ti faccio sbattere fuori.»
«Grazie, grazie» stava tremando, tutto il corpo era in preda agli spasmi. Gli fece male il cuore quando la guardò in viso, era tornato ad avere nove anni. «Ciao» le carezzò una guancia. «Ciao, Rira» la mascherina gli bloccò le lacrime che scendevano prepotenti impregnandola. «Non ti andava proprio di tornare qui» Jackson strinse le labbra, non avrebbe mai voluto vedere Aaron in quello stato. «Devi resistere un altro po', Jackson ha quasi finito» le labbra gli tremarono. «Devi resistere perché ti amo. E non mi hai dato la possibilità di dirtelo. Non mi hai dato la possibilità di risponderti. Però te lo sto dicendo ora, ti amo. Safira, ti amo. Sei la mia ragione di vita. Tu sei tutto quel che ho. Non farmi scherzi, ti prego.»
«Aaron, vai fuori» Jackson lo guardò velocemente. «Aspira.»
«Ti aspetto qui, d'accordo? Non me ne vado, aspetto che esci. C'è anche tua madre che ti aspetta.»
«Aaron, fuori dalla mia sala operatoria.»
Il cuore di tutti si bloccò, quello di Safira fu il primo.
«Dottor Morris, è in arresto.»
«Portate Aaron fuori dalla sala!» Jackson si alzò in piedi, allontanandosi da Safira. «Carica! Aaron, esci fuori!»
«Dottor They, la prego.» Non seppe chi lo stava spintonando fuori la sala, comunque Aaron stava urlando il nome di Safira, come se fosse bastato a farla risvegliare.
«Libera!» Fu l'ultima parola che udì prima di essere sbattuto fuori. Attese qualche secondo, poi dovette piegarsi su un secchio per vomitare.
Non era ciò per cui si era preparato. Avere un corpo di un uomo di trentadue anni, e la paura di un bambino di nove . Non essere in grado di salvare la ragione della sua vita. L'aveva già fatto una volta, la seconda non avrebbe resistito. Un cerotto, stavolta, non sarebbe bastato.
Si infilò nell'ascensore, e scese fino al pronto soccorso, si buttò su una sedia a rotelle e cercò di riprendersi prima di tornare da mamma Ife. «Oh, eccoti. Si è saputo qualcosa?» Si mise a sedere, anche se era ovvio il fatto che fosse ancora leggermente stordita dagli ansiolitici.
«Jackson... lui ha quasi finito.» O almeno era quella la frase a cui continuava ad aggrapparsi per non precipitare nella disperazione.
«È una buona notizia, no?» Aaron le afferrò le mani, e la guardò con gli occhi più sinceri.
Ife per un istante pensò al peggio a cui una madre poteva pensare per la propria figlia, ma Aaron poco dopo la guidò su un altro scenario, salvandole la vita.
«Amo tua figlia. La amo con ogni atomo del mio corpo» una lacrima le scese lungo la guancia. «Non ero stato io a spingerla dalle scale, da piccola. Mi ero preso la colpa solamente perché era più facile che odiasse me che il suo migliore amico.»
Aggrottò le sopracciglia, e cacciò le lacrime in dentro, prima di scoppiare a piangere definitivamente. «Sì, lo so» una scossa attraversò il corpo di Aaron. «Qualche giorno dopo l'incidente, Gerald era venuto a trovare Safira. Tremava, non spiccicava parola. Fino a quando non ha sbottato, piangendo. Ammise che era stato lui, che non sapeva perché tu ti fossi preso la colpa ma era grato l'avessi fatto. Teneva a Safira, non voleva essere odiato da lei quando si sarebbe svegliata» la voce le si piegò di colpo. «Un giorno avevo provato a rintracciarti, ma i tuoi si erano trasferiti e tu eri in collegio» si vergognava profondamente di ciò che gli stava dicendo. «Mi dispiace averglielo fatto credere. Le avrei dovuto dire fin da subito che tu non centravi nulla.» Aaron batté le palpebre senza parole.
Sua madre l'aveva saputo da sempre, e Safira era comunque cresciuta con la convinzione che la colpa fosse la sua.
Se lei gliel'avesse detto immediatamente, le cose per loro sarebbero state più facili. Ma che importanza aveva, ormai?
«Non fa nulla.»
«No, fa eccome. Glielo dirò, non appena si sveglierà, io le dirò la verità.»
«L'importante è che si svegli presto. E che stia bene» abbassò la testa, privo di forze. «Ife, tua figlia è l'amore della mia vita. Non lascerò che le accada nulla.» Mamma Ife gli mise una mano sui capelli, gli carezzò il viso. Aaron apprezzò quel gesto con tutto il cuore, ma aveva bisogno di sua madre. Prima di crollare definitivamente.
«Grazie di essere rientrato nella sua vita. Grazie per tutto quello che hai sempre fatto per lei.»
«Aaron» entrambi saltarono in piedi non appena la voce di Jackson li raggiunse. Si tolse la cuffia, giungendo le mani tra loro. «Signora Smith.»
«No...» Aaron si tappò la bocca.
«No! No, Safira sta bene» entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Tutto precipitò di netto nella calma. «O meglio, è stabile, ma debole. Ha avuto bisogno di molte trasfusioni di sangue. Ora è in coma farmacologico, la terrò così fin quando i parametri vitali non si saranno stabilizzati.»
«È in terapia intensiva?» Jackson annuì. «Ok, dove...» Aaron si guardò intorno. «Noah, accompagna la signora in terapia intensiva.»
«Tu non vieni?» Mamma Ife si staccò dalla flebo, troppo frettolosa di andare dalla figlia.
«Sì, certo che sì. Ti raggiungo subito» attesero che si allontanasse, dopodiché Aaron guardò subito Jackson. «Quindi?»
«I parametri vitali sono molto bassi, io ho fatto del mio meglio, bloccando l'emorragia. Ci vorrà un po' di tempo prima che io provi a risvegliarla» incrociò le braccia al petto, evidentemente stanco. «Aaron, se l'è vista malissimo» Aaron annuì, si passò una mano sul viso per asciugarsi le lacrime fredde. «Sapevi che fosse sterile?»
«Sì, sì lo sapevo» Jackson si stropicciò gli occhi, era stremato. «Avete controllato bene che non ci fossero altre emorragie? I parametri...»
«Aaron, è tutto okay. Dovresti andare da lei, adesso.»
«Sì...» prima di andare via, abbracciò Jackson con le ultime forze rimaste. «Grazie. Grazie, io ti devo tutto.»
«Sì, un caffè andrà bene. Sto andando a collassare in qualche brandina, se hai bisogno.» Aaron corse in terapia intensiva, si bloccò poco prima di vedere in che condizioni fosse Safira.
«Va tutto bene, Rira. Va tutto bene» continuava a sussurrare mamma Ife. «Lui è stato tutto il tempo con me. Lo è sempre stato, anche da piccolo. Credeva che non lo vedessi quando si nascondeva tra le sedie, ma era troppo alto» ad Aaron scese una lacrima lungo la guancia. «È lui, è il tuo Aaron. Devi tornare per lui, per me.» Si schiarì la voce prima di entrare, affinché mamma Ife avesse tempo a sufficienza per riprendersi quel poco.
«Eccomi.» La vita doveva essere una barzelletta, altrimenti non si poteva spiegare. Trovò Safira intubata, i fili la avvolgevano come una coperta. Anche lei sembrava essere tornata ad avere nove anni.
Mamma Ife strinse le labbra non appena vide il viso rosso di Aaron. Stava facendo un tremendo sforzo nel non piangere. Si alzò dalla sedia, e annuì leggermente. «Io vado a prendere del caffè, torno tra poco.»
«Sì» non appena si allontanò, Aaron scoppiò a piangere. Si avvicinò fino a stringerle la mano. «Oddio» le si inginocchiò accanto, poggiando il viso sul suo ventre. «Mi dispiace, mi dispiace tanto» i singhiozzi lo stavano soffocando tanto quanto i pensieri. «Non avrei dovuto dirti di venire. È colpa mia, mi dispiace così tanto Rira» la guardò, il cuore gli si strinse in una morsa. «Devi perdonarmi. Devi aprire gli occhi, Rira. Ti prego» le baciò il dorso della mano, e poi ogni singolo dito. «Apri gli occhi, ti supplico.»
Ma non era possibile. Non sarebbe potuto esserlo. Nella stanza continuava a regnare il silenzio, interrotto dal rumore del respiratore e del battito cardiaco.
«Aaron, tieni» mamma Ife tornò con gli occhi rossi e gonfi. Tese un bicchiere di carta ad Aaron, e l'aiutò ad alzarsi e sedersi sul divano all'angolo della stanza. Quando l'assaggiò, credette realmente di trovare del caffè, all'interno, ma invece mandò giù un sorso di camomilla. «Be', che ti aspettavi?» Sorrise, sorrise per davvero.
C'era qualcosa di incredibilmente sbagliato nell'universo. «Ife, tra tre giorni dovrò partire. Ho un'operazione molto importante a Los Angeles, ho provato a tirarmi fuori ma non me l'hanno permesso» mamma Ife strinse le labbra. «Non so quando sceglieranno di risvegliare Safira, ci vorrà un po' di tempo. Ma farò in modo di essere qui quando accadrà.»
«Ti proporrei quasi di andare a casa e riposare, ma non penso ti smuoverai da qui tanto facilmente.»
«Nemmeno la fine del mondo mi farà uscire da quella porta» mamma Ife sorrise, gli strinse il ginocchio. «Ho sempre amato Safira. Era la bambina più strana che avessi mai conosciuto. Lei a ricreazione se ne andava a chiacchierare con un anziano signore delle peonie. Cadeva sempre, ogni giorno aveva sempre un livido diverso» guardò mamma Ife, e il petto gli sembrava quasi pesare di meno. «Sai che la prima volta che l'ho rivista ha dato una testata al bancone? Era tornata a servirmi con in fronte un cerotto coi gattini.» Le strappò una risata, sommersa in un po' di lacrime.
«Sì, è proprio tipico di Rira» tirò su col naso, e guardò la figlia. Sembrava che stesse dormendo. «Inizialmente voleva aprirsi un negozio di fiori, il bar fu la sua ultima spiaggia. Il negozio di fiori non aveva avuto grande successo, probabilmente ce ne sono fin troppi a Parigi» Aaron tornò a guardare Safira. «Per affrontare la tristezza del fiasco, si mise a cucinare dolci. Sfornava, sfornava e sfornava. Poi un giorno è venuta da me, mi ha guardata dritta negli occhi e ha detto: "Apro un bar. Ma un bar, intendo. Dove le persone possono sedersi per quanto tempo gli pare, dove possono studiare, o leggere un libro, o parlare tantissimo. E nel mentre mangiano. E bevono anche. Apro un bar per i turisti, per gli studenti fuori sede e gli stranieri. Il mio bar sarà per loro una casa"» tirò un sorriso. «"Apro un bar, maman. Lo apro e lo chiamo: "Fleurs de pivoine"."»
«Ma non si chiama "Fleurs de pivoine".» Notò Aaron.
«No, infatti. L'ha chiamato: "Le coin de lumière".»
«E perché? Che cosa centrava con i fiori?»
«Tu sai cosa significa il tuo nome?» Aaron guardò mamma Ife con le sopracciglia aggrottate.
«No?»
«Significa: "Illuminato"» lo guardò. «Ha chiamato il suo bar "L'angolo della luce"» Aaron strinse le labbra più a lungo possibile, ma lo stress era troppo, e il cuore gli faceva ancora male, quindi scoppiò a piangere. «Neppure Safira ti ha mai dimenticato.» Gli strinse la spalla, dopodiché lo abbracciò in silenzio.
«Oddio... Rira...» Abby comparì improvvisamente sulla porta, alle sue spalle c'era Oliver. «Mamma Ife!» Mamma Ife ed Aaron li raggiunsero entrambi, sfiniti e quasi a corto di lacrime ormai. «Ma come... cosa...»
«Aaron, come sta?» Oliver lo strinse in un abbraccio.
«È stata investita questa mattina. È stabile, ma molto debole. Ha bisogno di riposare.»
«Oddio, la mia Rira» Abby entrò dentro, lasciò sul divano il cappotto e la borsa, e si precipitò a stringere la mano dell'amica. «Rira, ma che...»
«Cristo, appena l'abbiamo saputo siamo corsi qui.» Tutti si girarono a guardare Abby che singhiozzava.
«Rira, ti prego. Apri gli occhi, avanti» le lisciò i capelli con la mano. «Okay, mi dispiace aver distrutto metà delle tue tazzine, e sopratutto Mr. Spuck, ma tu svegliati e io te le ricomprerò tutte. Te lo prometto.» Aaron strinse i denti.
«Torno subito.» Annuirono in silenzio.
Quando fu nel corridoio, afferrò il cellulare.
«Pronto?» Più era convinto di aver terminato le lacrime, e più continuava a stupirsi di sentirsele scendere sul viso.
«Mamma... Mamma...»
«Aaron, che succede? Dove sei? Perché piangi?»
«Si tratta di Safira... puoi... potete... in ospedale. Ti prego.»
«Oddio, arriviamo subito.»
Subito per davvero, perché poco dopo entrò un'onda di They alla ricerca di Aaron. «Aaron! Aaron!» Con qualche passo crollò tra le braccia della madre. «Oh, Gesù. Che cosa è successo?» Vincenzo si guardava intorno e Louise anche.
«Oh, Cristo» si strattonò i capelli non appena vide Safira in terapia intensiva. «Porca troia.»
«Dio, cosa... che cos'è successo?»
«È stata investita, questa mattina. È andata in arresto quattro volte, ha i parametri vitali quasi a terra. Io...»
«D'accordo, d'accordo. Va bene. Quella... è sua madre, giusto?» Aaron annuì. «Okay, d'accordo. Voi... voi andate a prendere qualcosa da mangiare, avanti.»
«Ma mamma...» provare a controbattere era inutile, Margherita era già andata da mamma Ife. Sembravano tutti tornati indietro nel tempo. «Senti, vai a riposarti. Chi l'ha operata?»
«Jackson.» Louise si passò una mano sul viso.
«Vado a prendere qualcosa... non... qualcosa...» restarono Aaron e Vincenzo.
«Vai con lui, porta anche mamma ed Ife» guardò in stanza. «E anche Abby ed Oliver.»
«E... e tu che farai?»
«Io sto con Safira. Sto con Safira» annuì, molto restio a lasciarlo da solo.
Vincenzo li portò tutti in caffetteria, ed Aaron rientrò in terapia intensiva. «Sono tutti qui» le carezzò i capelli. «C'è Abby con Oliver. C'è la mia famiglia, tranne nonno Albert. Penso che se venisse a conoscenza che sei qui, gli prenderebbe un infarto» sorrise. «Siamo tutti qui, e aspettiamo che ti svegli. Da piccola ti avevo incolpato di essere pigra, ma non sei pigra. Sei la miglior donna che conosco, e sono fiero di essere innamorato di te. Lo giuro, Safira. Sono l'uomo più orgoglioso ad amarti» si inginocchiò. «Svegliati, ti prego. Svegliati e sposami, sposami per davvero. Svegliati e dimmi che mi ami, dimmelo di nuovo. Ma svegliati. Ti prego, Rira.»
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Se Non Piaci A Mamma Tu Non Piaci A Me!
Chick-LitBisogna scommettere solamente quando si è certi di vincere. E specialmente quando la penitenza non comprende un matrimonio a Las Vegas con uno sconosciuto. Ma per Safira andava bene, alla fine si trattava tutto di finzione. Fin quando non incontrò p...