6. Bring back the senators

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Dopo aver passato cinque giorni a setacciare ogni acro della Hudson Bay il risultato era ancora lo stesso, nulla, neanche un dannata traccia del furgone Chevrolet.
Sarei tornata anche oggi a cercare in quel maledetto posto ma i criminali non si fermano ed io, infatti, sto andando a fare il sopralluogo di un'altro presunto omicidio.

Non smetterò d'indagare sul S.I. della luna piena, come lo hanno soprannominato i giornali. Odio quando i media danno i nomi ai serial killer, perché danno più importanza a loro che alle vittime dei loro efferati omicidi, è una cosa altamente ingiusta.
Sono dell'opinione che ogni S.I. abbia un passato che lo ha portato a questo, certo, alcuni sono "cattivi" senza un motivo scatenante ma sono rari. La maggior parte ha un passato di abusi sia fisici che mentali, altri un passato di abbandoni ed altri ancora patrologie mentali che li rendono pericolosi non solo per gli altri ma anche se stessi e poi ci sono gli S.I. che prima di un evento traumatico sono delle persone fantastiche ma, dopo aver subito questa esperienza sconvolgente, diventano l'opposto.

Il mio mantra è quasi sempre stato
"se l'abito fa il monaco, la casa fa l'assassino"
E lo credevo fino a quando non ho iniziato a lavorare a stretto contatto con l'Interpol, affianco agli agenti Trambley e Wilson. Entrando a contatto con loro, aiutandoli, anche se prima solo dal laboratorio, ho potuto apprendere molte più cose, in particolare che a volte l'essere umano è solo cattivo ed è nato così ma di questo non ne sono del tutto convinta.

Arrivo sul luogo del delitto con la mia cara moto. Ero in palestra quando mi hanno chiamato, quindi indosso ancora dei leggings aderenti e una canottiera striminzita sotto la giacca di pelle, mi sono precipitata subito qui senza perdere tempo a cambiarmi, per fortuna potrò farlo sul furgone.

Mentre mi avvicino al furgone del laboratorio, scorgo l'agente Trambley che parla con uno dei miei assistenti.

Dopo l'episodio dell'altro giorno, dove mi sono trovata tra le sue braccia che mi avevano impedito di cadere, ogni volta che mi avvicino più del normale a lui, il mio corpo reagisce in modo strano, ho più caldo e il mio battito accelera ma penso sia solo dovuto al fatto che, una parte di me, ha sempre trovato Trambley attraente e il suo modo di stuzzicarmi con le parole mi intriga ma, non lo so, mi sento più febbricitante ed emozionata rispetto ad una semplice attrazione fisica.

Siccome questa cosa non va bene per il nostro rapporto lavorativo dato che poi lui non discerne i rapporti carnali dai sentimenti, non posso farmi guidare da questo impulso, da questo desiderio, devo tenere tutto sotto chiave o rovinerò ogni cosa e devo ammetterlo, ormai lavorare al suo fianco non mi dispiace

-dottoressa, ben arrivata-

Mi dice uno degli assistenti notandomi, ricambio il saluto mentre mi levo la giacca e noto lo sguardo di Trambley che scivola sul mio corpo accendersi di quel calore che rende i suoi occhi d'ambra ancora più caldi

-Agente Trambley-

Lo saluto entrando nel furgone e lo sento rispondermi

-Wondy ben arrivata, eri occupata?-

Parla rimanendo all'estero mentre io mi cambio

-ero in palestra-

-abbiamo salvato un povero sacco da boxe allora-

Rido piano scuotendo la testa mentre mi finisco di vestire ed esco fuori, lui allunga la mano verso di me per aiutarmi a scendere.

Non avrei bisogno del suo aiuto ma prendo la sua mano e la stringo forte, lui ricambia tenendomela fino a che non sono con entrambi i piedi per terra. Il contatto tra le nostre dita mi ustiona e fa vibrare

-grazie Trambley-

-di nulla Wondy, non vorrei che inciampassi di nuovo-

Lo vedo il suo sorrisetto da spaccone mentre mi parla e lo fulmino con gli occhi anche se mi diverte il suo punzecchiarmi un po'

KILLING IS ALWAYS KILLING ONESELFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora