Capitolo 20

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Confesso che era la prima volta, nella mia vita, che provavo una certa tensione all'idea di aprire la porta di casa. Temevo di trovare il divano a brandelli, le pareti rigate e la mia collezione di tazze in frantumi.

Non accadde, grazie al cielo. Aprii la porta di uno spiraglio, buttai un'occhiata trepidante in giro e tirai un enorme sospiro di sollievo: la casa era intatta, e il licantropo ancora accasciato inerte sul mio divano. Gemeva, un misero indizio del fatto che fosse ancora vivo.

D'un tratto allargò le narici, più o meno come facevo io quando fiutavo odore di pancakes, e spalancò gli occhi. Ruotò su se stesso tanto all'improvviso da rischiare di rotolare giù e puntò lo sguardo su di me.

Anzi, non su di me: su Elena, che mi stava accanto con un'espressione abbastanza sconcertata. Non per il terrore, ne fui quasi certa; sembrava che stesse fissando il licantropo come se avesse appena scoperto l'amore della propria vita.

Stavo per dire qualcosa del tipo: «Muoviti, o rischiamo di perderlo», ma il licantropo tentò di raddrizzarsi, finendo davvero con il culo sul tappeto, ed Elena schizzò in avanti per sostenerlo.

Si macchiò la felpa con il suo sangue ma, anziché svenire sul colpo come avrei fatto io, mi strillò: «Datti una mossa, Livia!»

Ehm... cosa dovevo fare?

Per fortuna, Elena aggiunse alcune istruzioni prima che facessi una figura da ebete. «Servono ago e filo. Disinfettante. E delle bende!»

Giusto. Avrei dovuto pensarci fin dall'inizio.

Mi precipitai all'armadietto del bagno e tirai fuori tutto quello che avevo: disinfettante scaduto e bende piene di polvere. Mi augurai che il licantropo sarebbe sopravvissuto lo stesso, visto che era una creatura soprannaturale.

Il resto lo trovai nell'armadietto dove tenevo il kit del cucito, una delle mie passioni che non avevo mai confessato a nessuno. Tirai fuori una manciata di aghi e del filo rosso, sperando che fosse adatto a curare il licantropo poiché era dello stesso colore della sua aura.

Tornai indietro tenendo il mio tesoro tra le mani. Non potei fare a meno di arrestarmi sulla soglia e guardare imbambolata Elena e il licantropo. Quei due sembravano in perfetta sintonia; la mia amica teneva la belva tra le braccia, sussurrandogli parole di conforto che dovevano essere più dolci dello sciroppo d'acero, mentre lui la guardava a occhi socchiusi e con un'espressione estatica.

«Allora! Ti muovi?» gridò Elena quando mi vide.

Repressi un sorriso e mi affrettai a raggiungerla. Venne fuori che, senza che io ne sapessi nulla, Elena aveva fatto un corso di pronto soccorso, nel caso fosse stato necessario salvare un bel ragazzo in difficoltà, e sapeva come suturare e disinfettare qualsiasi ferita.

Così incrociai le braccia sul petto, mi appoggiai con la schiena a una parete e osservai allibita la scena che avevo davanti: Elena intenta a ricucire una belva soprannaturale, con i capelli turchini che le erano scivolati sulla fronte fino a penzolarle sugli occhi, e il licantropo che la fissava incantato.

D'un tratto, lui sollevò una mano. Doveva avere un male cane (anzi lupo, pensai con un inopportuno senso dell'umorismo), ma non sembrava accorgersene. Scostò con una dolcezza infinita la ciocca di capelli dalla fronte di Elena; il mio cuore fece un sobbalzo, al vedere una scena così tenera, e di sicuro anche quello della mi amica, poiché le sue guance assunsero una tonalità scarlatta che non le avevo mai visto in viso.

Sospirai di piacere. Allora esisteva davvero, il colpo di fulmine.

Ero così concentrata nell'osservarli che, quando qualcuno bussò alla porta con tale vigore da dare l'impressione di volerla sfondare, trasalii e sbattei la testa contro la parete alle mie spalle.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora