Capitolo 37

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Mi decisi a darmi una calmata e sciogliere l'intreccio delle braccia, anche perché qualcuno, dall'interno, si era accorto che io e mia madre stavamo litigando e aveva allungato il collo per assistere meglio alla discussione.

«Ero convinta che voi avreste capito» piagnucolai. «Voglio dire, vista la professione che conducete. Cioè, quello che fate. Cioè, il vostro modo di aiutare le persone.»

Vabbè, mi ero decisamente impappinata; non ero più in grado di formulare una frase di senso compiuto.

Mi obbligai a restare impassibile, con una sorta di paresi facciale impostata su un sorriso di circostanza, mentre mia madre si affannava a spiegare che l'avevano fatto per il mio bene, per loro che non avevano un'istruzione adeguata la via più semplice per fare un po' di soldi era stata quella di aprire un negozio di prodotti spirituali, e in fondo non avevano fatto nulla di male, non si erano approfittati delle brave persone, avevano detto alla gente quello che voleva sentirsi dire, e...

Che imbarazzo.

Di più: che tristezza.

Mi sarei potuta liberare di quel peso emotivo solo se avessi meditato per un mese di fila, ma io non sapevo meditare neanche per trenta secondi.

A un certo punto decisi che era ora di filarmela, o mi sarebbe mancata l'aria e sarei stramazzata lì, ai loro piedi, incapace di respirare.

Borbottai un me ne vado, infilai la porta finestra senza nemmeno guardarli in faccia, feci le scale, entrai nella loro stanza, afferrai il mio borsone e tornai giù.

«Dove stai andando?» m'interrogò la mamma, che ora mi attendeva da sola nel salone d'ingresso.

«Torno all'università» dissi, esasperata per come erano andate le cose. La vita, negli ultimi tempi, mi prendeva a randellate a ogni respiro. Non mi piaceva granché, come situazione. «Non ti preoccupare, è tutto a posto» aggiunsi, non per rassicurare lei ma me stessa.

Mia madre si torse le mani con nervosismo. «E quelle cose che dici di vedere...?»

Non avevo le forze per condurre un'altra discussione. «È tutto a posto» ripetei, dandole un bacio leggero su una guancia, inspirando l'aroma etereo del profumo con cui si cospargeva i capelli e aprendo la porta di casa.

Avevo intenzione di chiuderla con delicatezza, invece me la sbattei alle spalle con fin troppa energia.

Mi misi a correre, per quanto me lo consentiva il borsone, imboccando la via dei campi e sperando che mia madre e mio padre non cercassero di seguirmi per convincermi della loro buona fede.

Non lo fecero, forse perché si sentivano davvero in colpa.

Non so perché me la presi tanto. In fondo, avevo sempre sospettato che i miei genitori fossero dei ciarlatani.

Eppure, per una volta nella vita, avevo davvero bisogno di confrontarmi con qualcuno che avesse non dico dei poteri soprannaturali, ma almeno uno straccio di conoscenza del mondo esoterico.

Invece, ero circondata da persone perfettamente normali.

A quel punto, non avevo molte scelte a disposizione.

Dai miei genitori non potevo stare: avevano tradito la mia fiducia, e in più erano propensi a ritenermi pazza. Dal momento che tendevo a dargli ragione, anche se il vedere le aure mi pareva un'esperienza perfettamente reale, andare a vivere con loro mi avrebbe fatto imboccare la via dell'insicurezza.

Trovare una nuova abitazione era impossibile. Non avevo soldi, ero molto affezionata alla casa in cui avevo abitato con discreta soddisfazione nell'ultimo anno e per la quale avevo già pagato sei mesi di affitto, e non potevo iscrivermi a un'altra università, a parte quella in cui avevo frequentato, in questo caso sì con molta soddisfazione, fin da quando mi ero iscritta.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora