Capitolo 44

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Max dormiva accanto a me.

Lo ripeto: Max, il mezzo vampiro più affascinante della Terra, dormiva accanto a me, una gamba infilata tra le mie e un braccio ad avvolgermi, come se anche nel sonno dovesse assicurarsi che non mi accadesse nulla di male. Tenevo la sua mano sul petto, stretta nella mia; percepire il suo palmo con le dita leggermente aperte, molli nel sonno, a contatto con il torace e, quasi, con il mio cuore, era la sensazione più bella che avessi mai sperimentato.

Non riuscivo a togliermi dalla faccia un sorriso da ebete. Né a dormire, ovvio: come potevo addormentarmi, dopo aver sperimentato un turbinio di emozioni? Avrei voluto mettermi a gridare il suo intero nome, Maximilian, facendolo risuonare tra i corridoi deserti di quel palazzo sconfinato e magari anche per i vicoli della città, seguito da un ti amo e un sei la mia vita, ma non volevo far credere a tutti che fossi una pazza.

Soprattutto quando dovevo essere seria, efficiente e razionale.

Del resto, sembrava proprio che un pericolo schiacciante premesse sulle nostre teste. Dopo che ci eravamo liberati di una setta segreta che avrebbe voluto farci la pelle pur di conquistare la formula dell'immortalità, ci ritrovavamo perseguitati per lo stesso motivo da un manipolo di vampiri folli. Senza contare che, per evitare che qualcuno di noi finisse male, l'unica idea che Max era stato in grado di elaborare era quella di distruggere il diario di suo padre, il solo ricordo che aveva di lui.

Dovevo sviluppare una strategia per salvare me, Max, Kurt e chiunque fosse coinvolto in questa lotta epocale di cui nessuno era a conoscenza. Per fortuna, un piccolo piano stava prendendo forma nella mia mente.

Ero propensa ad analizzarlo da ogni punto di vista, sviscerandone i pro e i contro con la mia infallibile mente analitica, che mi aveva sostenuto nel primo anno di iscrizione all'università e portato ad avere voti eccellenti in ogni materia, ma appena Max gemette nel sonno sobbalzai per la sorpresa e lasciai perdere qualsiasi pensiero avessi nella testa.

Mentre lui dormiva, avevo aperto gli scuri alla finestra e lasciato che la luce della luna piena rischiarasse un poco la stanza; visto che era estate e non riuscivo a dormire, mi faceva piacere cogliere i rumori lontani del traffico e il profumo dei fiori, e ancora di più contemplare lo splendido viso del mio ragazzo mentre era addormentato.

Sollevai la testa e lo osservai meglio. Non era rilassato come mi sarei aspettata, o come di certo mi sentivo io dopo una serata più che piacevole; era teso, invece, con le sopracciglia aggrottate e una carica di sofferenza evidente nelle piccole increspature d'angoscia che gli solcavano la fronte.

Rafforzai la stretta sulla sua mano, quando lo vidi espirare con foga dalle narici e scuotere la testa. Era chiaro che stava avendo un incubo, e altrettanto palese che il mio cuore non riusciva a sopportarlo in alcun modo.

«Max» sussurrai, in tono gentile per aiutarlo a rilassarsi.

Non sortì l'effetto sperato, purtroppo. Sentendomi parlare, anche se a livello inconscio, Max si agitò ancora di più. «Anneke!» gli sfuggì dalle labbra in un grido strozzato.

Quella sola parola ebbe il potere di congelarmi sul posto. Capire che il proprio ragazzo stava sognando la sua ex non avrebbe fatto piacere a nessuna, ma in questo caso fui ancora più addolorata, sapendo che lui soffriva ancora oggi per colpa di una fanciulla morta circa cento anni prima.

«Max» ripetei con più determinazione, sollevandomi su un gomito e fissandolo preoccupata. Era ricoperto di sudore, e lacrime argentee gli colavano lungo le guance. «Cerca di calmarti. Anneke sta bene» dissi. Nel Paradiso. O nel mondo dei sogni. O dovunque andassero le anime irrequiete che erano state separate dal corpo con troppa violenza.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora