Capitolo 14

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Lo stalker mi guardò terrorizzato. Se avevo ben compreso le reazioni istintive delle creature soprannaturali, rumori così alti, che per me erano solo molesti, per loro erano una tortura; il ragazzo infatti piroettò su se stesso, si slanciò verso una finestra e vi si gettò contro sfondandola con un sol colpo.

Avrei dovuto concentrarmi su quel danno colossale, che aveva mandato in frantumi un bene di pubblica proprietà e rischiava di far precipitare sulla nostra testa circa un milione di guai, ma non riuscivo a far altro che fissare Kurt.

Il quale si lasciò sfuggire una specie di guaito, si portò una mano al collo cercando con gesto fiacco di rallentare il flusso di sangue, che sgorgava dallo squarcio che gli aveva procurato lo stalker, e si accasciò su un banco con lo sguardo vitreo.

Per un istante restai congelata sul posto, sentendo che il cuore mi batteva nel petto con tale violenza da rischiare di fracassarlo come la finestra. Poi mi girai verso Max e mi sentii anche peggio, intercettando sul suo volto un'espressione di panico.

Stavo cercando una maniera qualsiasi per riprendermi dal torpore, pronta anche a darmi un paio di schiaffi per tornare in me, tuttavia Max reagì con riflessi mille volte più affinati dei miei. Compì un balzo tanto veloce che faticai a seguirlo con lo sguardo e si precipitò al fianco di Kurt. Si prese la sua testa nel grembo, macchiandosi di scarlatto al punto da sembrare che fosse finito dentro una vasca piena di sangue.

Perché Kurt stava perdendo molto più sangue di quanto fosse possibile per restare in vita, poco ma sicuro.

Feci del mio meglio per dare una mossa ai muscoli, che non ne volevano sapere di attivarsi, e mi fiondai accanto a Max. «Non dovrebbe g-guarire da solo, o qualcosa del genere?» farfugliai, terrorizzata dal viso cereo di Kurt e dalla pozza di sangue che si stava allargando sul pavimento.

Max recuperò la lucidità in un nanosecondo. «Le ferite procurate dai licantropi sono velenose, per i vampiri» mi spiegò, mentre si strappava con gesti efficienti un lembo della maglietta nera e l'avvolgeva intorno al collo di Kurt per arrestare la fuoriuscita di sangue, anche se continuava a colare fuori come un lavandino senza tappo.

«Un l... l...» accidenti a me. Ero così agitata che non riuscivo più a pronunciare una sola parola. O a formulare un pensiero coerente.

«Un licantropo, sì» rispose Max. «Dobbiamo andarcene. Tra un attimo, qui si scatenerà il putiferio.»

Aveva ragione. Eccome, se ne aveva, visto che la campanella continuava a sbraitare come una forsennata e nel corridoio sentivo già il rimbombo di passi affrettati.

Riuscii ad alzarmi solo tenendomi al bordo del bancone, dal momento che le ginocchia mi tremavano e non ero sicura di reggermi in piedi.

Max non badò granché ai miei movimenti goffi. Tirò su il cappuccio della felpa di Kurt, gli infilò gli occhiali da sole e gli mormorò in un orecchio un fatti forza in tono così angosciato da strapparmi il cuore in due, dopodiché se lo caricò in spalla e si avvicinò alla finestra.

«Vieni, Livia. Sbrigati» mi ordinò mentre saltava all'esterno, reggendo Kurt come se fosse un drappo di seta.

Lui era un quasi-vampiro, per cui scavalcare una finestra rotta era una passeggiata. Per me fu molto più difficile; dovetti montare sul davanzale facendo attenzione a non inciampare sui vetri rotti e squarciarmi un polpaccio, con il risultato di obbligare Max a portare due feriti sulle spalle.

Mi ritrovai fuori e tirai un sospiro di sollievo: ormai era buio ed eravamo sul lato esterno dell'università, che dava sui giardinetti e il piccolo parco. L'occasione perfetta per nasconderci nell'oscurità e filarcela alla chetichella.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora