Capitolo 35

621 68 333
                                    

«Era ora. Ci hai messo una vita, là dentro» esordì il vampiro, lanciandomi l'occhiata ostile che era la sua specialità.

«Volevo farmi bella per Max» ribattei, fornendogli lo spunto per la replica che mi aspettavo, qualcosa del tipo: Ecco perché ci hai messo tanto, allora!

Anziché reggere il gioco, Kurt mi tese una busta color crema e con dei monogrammi impressi sulla superficie, che presi e aprii per reazione automatica. Solo dopo un istante mi fermai e studiai Kurt, accorgendomi che aveva qualcosa che non andava. L'espressione era corrucciata come al solito, ma c'era qualcosa in più.

Sembrava... addolorato, anche se non avrei saputo spiegare per quale motivo avessi avuto quell'impressione.

La sua aura, di solito brillante come un piccolo sole, era offuscata. Triste.

«Che cosa sta succedendo?» sbottai, in tono fin troppo isterico per i miei gusti.

Kurt strinse le labbra in una smorfia tesa. «Leggi la lettera» disse soltanto.

A quel punto, non avevo più solo un sospetto, ma la certezza che stesse accadendo qualcosa di grave. Spalancai la busta con tanta forza da rischiare di romperla e aprii la lettera che c'era all'interno.

Poche parole, che mi strapparono il cuore a metà.

Vattene via. Va' dai tuoi genitori. Non tornare qui. Non cercare più di metterti in contatto con me.

Non ero mai stata una tipa svenevole, né una di quelle fanciulle dall'animo ottocentesco che piangono, strepitano e si disperano in preda a delle emozioni fuori controllo. Ma cavoli, dopo quella botta perfino io sentii l'impulso di accasciarmi sulla sediolina di fianco al tavolo e scoppiare a piangere.

«È uno scherzo?» reagii. Sembrava la battuta di un film, ma mi resi conto appena l'ebbi pronunciata, osservando lo sguardo tetro di Kurt, che non c'era proprio niente da ridere.

«Devo assicurarmi che tu prenda il primo treno» dichiarò il vampiro.

Solo allora notai con orrore che Kurt teneva a tracolla il mio borsone, che doveva contenere tutti i miei averi che avevo trasferito in quella stanza: qualche vestito, parecchi libri, i pochi trucchi che possedevo.

Sapevo di non avere alcuna speranza, ma se non altro ci provai. Gettai via la lettera e feci lo scatto più veloce di tutta la mia vita, tentando di superare Kurt di lato, fiondarmi alla porta e raggiungere Max, ovunque si fosse rintanato in quel palazzo da centomila stanze.

Ma avevo a che fare con un vampiro e, per quanto mi fossi esercitata nella corsa, lui avrebbe sempre avuto dei tempi di reazione più rapidi dei miei. Kurt mi afferrò per la vita con una delicatezza che non credevo possibile, dopo che nelle settimane di allenamento a cui mi aveva sottoposta mi aveva gettata sul pavimento della palestra senza alcuna pietà.

«Ti prego, non rendere le cose più difficili» mormorò.

Avrei dovuto provare pietà per quel povero vampiro che, era evidente, stava soffrendo per quanto era costretto a fare, ma non ne ebbi alcuna. «Col cavolo!» sbraitai, riuscendo chissà come a liberarmi dalla sua presa e raggiungere la porta. «Max! Dove sei? Fatti vedere! Abbi almeno il coraggio di farti vedere!» strepitai, con tanta energia da far echeggiare la mia voce nei corridoi deserti e, di sicuro, in ogni stanza del palazzo.

Kurt mi catturò di nuovo. Indossò una specie di maschera da implacabile guerriero delle Highlands e mi trascinò giù per le scale, lungo il salone principale e fuori dalla porta d'ingresso, senza curarsi del fatto che continuai a dibattermi per tutto il tempo e arrivai perfino a graffiargli una mano nel tentativo di liberarmi.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora