Imprevedibilità

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Una delle domande che più frequentemente mi sono sentita porgere durante la mia vita, è sempre stata: "che cos'è che ti affascina così tanto nelle corse? Alla fin fine si tratta di guardare una ventina di uomini che girano in tondo? Cosa c'è di tanto eccitante?" e per lunghi anni non sono stata in grado di dare una risposta, forse troppo giovane per trovare le parole adatte. Poi però ce l'ho fatta, ho trovato un'unica parola che potesse riassumere un concetto fin troppo complicato da spiegare: imprevedibilità. Con un solo termine si può riassumere tutto ciò che lascia un appassionato incollato ad uno schermo, impotente ad osservare qualcuno che si spinge anche contro i limiti della fisica e del corpo umano, muovendosi su di un filo, come un funambolo, verso la caduta oppure la vittoria.

La parola imprevedibilità, che tanto era mancata come termine che spiegasse degnamente la mia passione ed il mio lavoro, presto avrebbe fatto parte anche della mia vita personale.

Erano trascorsi otto anni dalla nascita di Victoria, otto meravigliosi anni di vita di coppia con l'uomo che amavo, con nostra figlia, ma anche otto intensi anni di guerre in pista, dove Juan combatteva in prima linea ed io in retroguardia. Insieme però, eravamo una squadra efficace ed affiatata, almeno lo era stato fino a due anni prima, quando l'imprevedibilità aveva deciso di metterci il suo zampino e cambiare le carte in tavola.

Erano state disputate alle prime due gare dell'ottava stagione che mi vedeva ingegnere meccanico nel team di Ernandez, e quelle prime di campionato si trascinavano dietro li strascichi di un brutto incidente avvenuto nella stagione precedente. Juan era caduto, si era rotto una clavicola e la sua spalla destra, lussata non so più quante volte, aveva deciso di mollare e creargli quanto più fastidio potesse durante la guida. Ernandez aveva abbandonato quel campionato, facendo rientro, ancora molto acciaccato per le ultime due gare di calendario e quest'anno che stava svolgendosi, rifletteva tutti i problemi di una spalla malata, operata in più occasioni, ma che chiedeva solo pietà e meritato riposo.

Avevamo collezionato altri tre titoli del mondo in quegli otto anni, dimostrando a tutti quanto talentuoso e fuori dal comune fosse Juan, ma, come lui amava sottolineare, il tempo passa e non si è per sempre giovani, almeno sportivamente parlando, quindi bisogna decidere se proseguire a fare ciò che ami al meglio che puoi, o andartene via a testa alta, prima che la gente si ricordi solo il peggio di te.

Per questo Juan Ernandez, a soli due gran premi dall'inizio di quella stagione, aveva cominciato a considerare concretamente l'idea del ritiro. Se a ciò aggiungessimo il fatto che non riusciva a perdonarsi la costante assenza durante i piccoli e grandi traguardi di sua figlia, beh era più che chiaro che smettere era ciò che desiderava.

Me la ricordo esattamente la sera in cui mi parlò per la prima volta di quella sua considerazione. Eravamo in America, per le gare oltre oceano, la sera del dopo la gara che aveva visto Ernandez ritirarsi da una caduta dopo solo due giri dallo start. Aveva preso un altro bel colpo alla spalla e, dolorante e acciaccato, si stava preparando per tuffarsi nel letto della nostra camera d'albergo.

-Tutto ok Shaggy? – domandai raggiungendolo appena si fu seduto sul letto.

Juan di sistemò meglio il sacchetto del ghiaccio sulla spalla e dopo un gemito, ripose:

-Potrebbe andare meglio... -

Lo osservai. Era più maturo e meditativo di un tempo, capace di considerare i vari aspetti del suo impiego con lucidità e per la prima volta da quando lo conoscevo non aveva più quella strana scintilla negli occhi scuri e furbi, anzi, sembrava stanco e demotivato.

-Vuoi che ti porti un anti dolorifico? – proposi, avvicinandomi piano e posando delicatamente le labbra sulla nuda spalla dolorante, segnata dalla lunga cicatrice dell'intervento che partiva dal collo e arrivava a metà del braccio. lo feci un po' come facevo con Victoria per calmarla quando si faceva la bua.

Si voltò a guardarmi, piegando le labbra in un sorriso tenero. -No, basta il ghiaccio per ora. –

Posò la sua testa sulla mia e prese ad osservare un punto indefinito di fronte a se.

-Dafne, pensi che sia ora di ritirarmi? –

Quella domanda mi colse alla sprovvista, ma non sapevo ancora quanto avrebbe sancito l'ingresso dell'imprevedibilità nella mia vita privata. Lo guardai, osservando quegli occhi di pece cercare di comprendere la mia reazione a quel quesito.

-Non hai niente ancora da dimostrare Juan Ernandez. – esordì dolcemente – Tutto il mondo sa chi sei e cosa sei in grado di fare e se pensi che sia giunto il momento di dire basta e fare altro, scegliere nuove sfide per la tua vita, beh sta a te deciderlo. Io posso solo dirti che o adesso o tre altri vent'anni, tu resti sempre il mio campione Shaggy, scorretto, ma il mio campione! – lo canzonai, trattenendo non toppo efficacemente un ghigno.

Sorrise e mi baciò la fronte per poi stringermi al petto nudo.

-Sto diventando troppo vecchio per questo sport. Il mio contratto scade quest'anno e probabilmente si prenderanno Miles. Non voglio accontentarmi di una squadra satellite pur di guidare, non sono nato per accontentarmi. –

Ah già... dimenticavo. Alex Miles, il primo pilota in assoluto, e l'unico oltre Juan con il quale avessi lavorato nella mia carriera in pista, era approdato in MotoGP tre anni prima e dopo un anno di debutto traballante, ma che comunque gli era valso il titolo di "rookie of the year", era diventato campione del mondo...strappando il titolo ad Ernandez...per due anni consecutivi. Era dunque il campione in carica, quello su cui la stampa aveva concentrato tutte le attenzioni e soprattutto il pilota che costantemente era paragonato a Juan. Erano il giovane e il veterano, una storia mai in tramonto nel mondo delle corse. La cosa inizialmente era stata simpatica, l'esperienza con Alex e il fatto che continuassi a mantenere i contatti con lui non infastidiva Juan, almeno il primo anno... ma dopo il primo campionato perso in pista e il secondo a causa dell'infortunio alla spalla, Ernandez non era più tanto entusiasta di ciò. Era cosciente che Miles si fosse guadagnato entrambi i titoli, ma tra pressioni della stampa e una moglie/ingegnere che si complimentava con il suo avversario, sinceramente felice per lui, il veterano risultava un tantino risentito.

Anche questo mi era sfuggito, io e Juan ci eravamo sposati tre anni prima, nella pausa successiva al suo ultimo mondiale vinto. Lui me lo aveva chiesto poco prima dell'inizio del campionato e, come al solito, ero stata una insopportabile stronza: "Ti sposo, se vinci il campionato" e lui lo aveva fatto... mai sfidare Juan Ernandez!

-Come fai a sapere che Miles accetterà? Ha la moto migliore, ci ha vinto due mondiali. Il nostro team da due anni cerca soluzioni per la stabilità, senza trovare nulla di affidabile. – azzardai.

-La nostra è la squadra più vincente nella storia della MotoGp, è come la Ferrari in Formula1. Tutti la sognano, anche se è per pochi. Se hai la possibilità di arrivarci, afferri al volo l'occasione, pur sapendo che non sarà la moto migliore in pista. Non lo era più neanche quando sono arrivato io, ma ero convinto che avrei fatto la differenza. È la mentalità di tutti i piloti. –

-Ma tu hai fatto la differenza Juan Ernandez! – sorrisi, cercando di strappargli il muso lungo che quella sera sembrava non volerlo abbandonare.

-Lo so. – rispose pieno d'orgoglio. -E sono anche il più modesto! – aggiunse scherzoso.

Juan si distese sul letto tirandomi a se e posando il mio capo sul suo petto, cingendomi con il braccio non dolorante, dopo aver abbandonato la borsa del ghiaccio.

-Pensaci Dafne: noi due e Victoria, una vita normale, i weekend in vacanza, i saggi di danza della nostra bambina che non coincidono con i nostri viaggi e tanto tempo da spendere come vogliamo. Sarebbe bello... - sussurrò sognante.

Juan non poteva guardarmi in faccia in quel momento, perciò non si accorse della mia espressione pensierosa. IO ero pronta a lasciare tutto?

The Race to Love 2 La gara continua...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora