Per la prima volta dopo tanto tempo, tornare a casa non fu per niente liberatorio. Negli ultimi anni il rientro era quasi diventato la meta finale, il momento di appagamento spirituale dopo un weekend di lavoro. Sì, perché era questo che stava diventando lo sport: un normale impiego. Impiego che mi portavo anche a casa, vivendo con quello che per otto lunghi anni era stato anche uno dei miei ingegneri...
La notizia della fuga di mia sorella era arrivata come un cataclisma inatteso. Tutto avrei potuto aspettarmi, ma non una situazione del genere. Ero furioso con i miei genitori, ma soprattutto con Dafne. Per lunghi giorni mi aveva telefonato, ignorando completamente la possibilità di mettermi al corrente della situazione che si era creata a casa, non si era mai domandata come avrei potuto reagire se la cosa fosse divenuta pubblica e avessi potuto scoprirlo da un articolo in rete o da un giornalista che avrebbe sparato una domanda, trovandomi impreparato e soprattutto distruggendomi emotivamente. Come era possibile che non avesse considerato questa possibilità, lasciandomi in pasto ai media solo per permettermi di disputare "Una gara tranquilla e più sicura"? Non esistono gare sicure, lo sapeva benissimo, non esiste salire in sella pensando che non ti accadrà mai nulla. Il rischio è la prima cosa della quale preoccuparti, il fatto che puoi morire senza neanche avere il tempo di reagire è una possibilità costante. Potevo essere al sicuro in sella tanto sapendo di mia sorella, quanto lo ero stato ignorando la cosa.
Fino a poche ore da quel rientro, per me era tutto chiaro: avevo deciso di mollare, di diventare "Uno normale", uno che dopo anni di sacrifici, innumerevoli ossa rotte e cicatrici di ogni genere sul corpo, voleva solo godersi il resto della sua vita grazie a ciò che era riuscito a crearsi. Questo non voleva dire che avrei abbandonato completamente quel mondo, che era stato la mia seconda casa per un'intera esistenza, ma avrei mollato un po' il tiro, sarei diventato qualcun'altro.
Invece non avevo fatto i conti con il resto del mondo, con gli imprevisti, con i problemi e con quanto le mie decisioni future sarebbero state messe in discussione, non solo in ambito lavorativo.
La fuga di Erika era arrivata come un cataclisma, una questione che pareva non volersi risolvere a breve, qualcosa che mi era stato taciuto quando probabilmente avrei ancora potuto fare qualcosa, o almeno così la pensai per lungo tempo.
Ero arrabbiato, più con Dafne che con qualsiasi altra persona sulla faccia della Terra, perché era lei quella che mi conosceva meglio e aveva creduto che raccontarmi ciò che stava accadendo a mia sorella fosse un fatto secondario, che poteva essere posticipato. Commisi il primo grande errore che nessuno in un rapporto di coppia dovrebbe compiere: non dirle quanto fossi in collera con lei, quanto mi avesse deluso... tenni tutto per me, fingendo che le cose andassero bene, ma da quel momento ogni volta che la guardavo, distinguevo esattamente il sentimento di rancore che provavo nei suoi confronti. Non mi aveva mentito, questo lo sapevo, e probabilmente aveva tutte le ragioni di questo mondo per non essere stata tempestiva su Erika, eppure, nonostante fossi perfettamente cosciente della sua buonafede, mi sentivo tradito. Per tutte le ragioni che si ostinava ad elencare per giustificare il suo silenzio, ce ne erano altrettante che lo rendevano una sua grave colpa.
Non avemmo notizie di mia sorella durante i giorni che trascorsi a casa prima di ripartire per le ultime due gare che mi separavano dalla pausa estiva e, stavolta, andare via senza Dafne sembrò quasi un premio. Aveva scelto di concedersi sei mesi di congedo dal lavoro per occuparsi di Victoria, visto che mia madre non era presente neanche per sé stessa ed io mi ero mostrato d'accordissimo con lei per quella decisione, ma non le avevo rivelato che per me non averla tra i piedi era... liberatorio.
Ripartì per disputare quei due finesettimana consecutivi di gara con addosso solo la voglia di far finta che a casa ad aspettarmi non ci fosse nessuno, mantenendo la mia immagine integra e lo spirito leggero che avevo sempre avuto di fronte alle telecamere... almeno fino a quando, non seppi mai come, la notizia di Erika dilagò nel paddock, spargendosi a macchia d'olio e travolgendo il secondo fine settimana di gara, a poche ore dalla sprint del sabato. Praticamente al termine della gara veloce, che avevo concluso in quarta posizione, le domande dei media furono tutte rivolte alla sfera personale, oppure aprivano ogni intervista sottolineando "quanto comprendessero fossi provato per le mie questioni personali". Odiavo tutto questo e per la prima volta dopo quindici giorni ebbi il bisogno improrogabile di avere Dafne accanto per poterle parlare.
In quei giorni avevo spesso ignorato le sue chiamate, avevo fatto una sola chiamata a termine giornata, che non era durata più di cinque minuti, tre dei quali trascorsi a chiacchierare con Victoria, ma quella sera volevo sentire mia moglie.
Ancora una volta però tutto ciò che diceva, il modo in cui mi parlava, non faceva altro che infastidirmi.
"Stiamo facendo il possibile" "Tieni duro" "tutto si risolverà"
Sì, chiunque poteva dire quelle stesse frasi fatte, lei non avrebbe dovuto e ad adirarmi maggiormente fu il suo glissare su Erika e parlarmi di quanto desiderasse essere al mio fianco. Io però ero sicuro che le interessasse solo la sfera professionale di quel posto, non io. La detestavo, non riuscivo a tollerarla, avrebbe dovuto solo lasciare che parlassi, ascoltare ed annuire, lo pretendevo, senza riuscire a comprendere che il suo atteggiamento era volto solo a difendermi, a preservare la mia stabilità emotiva.
Erano poco più delle 9.00 quando riagganciai la chiamata e decisi di uscire dal mio Motorhome per cercare qualcuno che mi facesse compagnia, senza farmi sentire quello stupido e penoso uomo che aveva nascosto al mondo la tossicodipendenza della sorella, che aveva pagato una struttura di lusso per rinchiuderla ed alienarla, dalla quale alla fine lei era fuggita senza lasciare traccia alcuna. Volevo essere solo me, quello di prima, quello che tutti giudicavano spavaldo, fenomenale, cazzuto...
Era calata la sera e la maggior parte della gente che gremiva il paddock era personale di sicurezza. Dalla zona campeggio giungeva il vociare allegro di quei tifosi che avevano scelto di dormire in autodromo e gremire con i loro canti la parte notturna del weekend di gara dei piloti per cui tifavano. Mi sfuggì un sorriso. Anche questo era bello: sapere che qualcuno si emozionava guardandoci in pista ed io di emozioni ne avevo regalate tante lungo il mio percorso agonistico.
Mi fermai ad ascoltare, cercando di capire che genere di canto stessero intonando, visto che a causa del vento il suono giungeva distorto e quasi non mi accorsi di Ramona che arrivava dalla parte opposta al punto in cui mi dirigevo.
-Juan, ciao. Resti a dormire qui stasera? - domandò portandosi i capelli dalla parte destra del viso e mostrando il collo, inclinando leggermente il viso.
-Già, preferisco stare dove pochi possono raggiungermi. - risposi, osservandola.
-Ho saputo di tua moglie. Non terminerà la stagione ai box. Mi spiace, sembravate così affiatati. -
Ramona sapeva benissimo che Dafne non seguiva più la mia parte di box, ma la sua allusione aveva lo scopo ben preciso di sondare il campo.
-Abbiamo una bambina, è più importante la presenza di uno di noi due al suo fianco adesso. - risposi risoluto e quasi annoiato.
Mi osservò per poi annuire con espressione comprensiva.
-Se hai bisogno di compagnia, non ti fare scrupoli... - insinuò guardandomi dritto in faccia.
Non risposi, feci solo cenno con il capo di aver capito e alla fine si congedò.
Non sapevo quanto quella conversazione, a qualche tempo di distanza, mi avrebbe trascinato in un turbinoso avvicendarsi di situazioni disastrose, non avevo capito quanto labile stesse diventando la mia integrità, quanto i miei sentimenti fossero confusi... quanto mi stessi giocando.
La domenica, al termine del gran premio, provai una strana sensazione, un peso che mi opprimeva il petto, che mi tagliava il fiato, che mi stringeva lo stomaco in una morsa terribile e fastidiosa. Davanti a me si aprivano tre lunghe settimane di pausa estiva, tre settimane ad ascoltare Dafne che comunque continuava a parlare di motori, di mappe, di circuiti, tre settimane durante le quali avrebbe sempre cambiato discorso su mia sorella e, nonostante mi premesse rientrare e prodigarmi per trovarla... non volevo andare a casa.
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The Race to Love 2 La gara continua...
ChickLitSono trascorsi otto anni da quando Dafne e Juan sono finalmente diventati una coppia, grazie anche alla nascita della piccola Victoria, ma tutta la stabilità personale e professionale di cui hanno goduto in quegli anni sta per abbandonarli. Juan vuo...