Tempi supplementari

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 I sensi di ragno mi permisero di svegliarmi di soprassalto al suono leggero e distante del cancello automatico che si apriva nel cuore della notte. Avevo messo a letto Victoria ad un'ora adeguata e avevo trascorso il restante tempo di solitudine di sotto, sul divano a guardare una serie su Netflix, senza in realtà ricordarne neanche il nome dei protagonisti, troppo impegnata nell'attività di spionaggio social, attraverso il quale potevo controllare Juan senza che lo sapesse... in realtà credo che ne fosse cosciente, ma nonostante ciò si era comportato con la solita naturalezza, sfoggiando il sorriso incantevole e i modi di chi la sa lunga di questioni commerciali. Quella cena infatti era legata ad uno dei tanti eventi a cui era ancora costretto a presenziare come volto affine al brand.

Durante le lunghe ore di introspezione e autoanalisi che avevo trascorso circondata da quelle mura che parlavano, anzi urlavano, quanto di magnifico ci fosse stato tra me e Juan fino a qualche mese prima, avevo dovuto fare i conti con una dura realtà: quella di essere ancora, indubbiamente, l'insicura, stupida Dafne che aveva bisogno di sentirsi amata anche quando era una spocchiosa donna troppo piena di se. La cosa peggiore però era stata comprendere quanto ancora amassi quello che sembrava essere l'uomo che madre natura aveva plasmato esclusivamente per me, ma restare troppo legata, ammaliata direi, dai suoni, dai rumori e dalle dinamiche lavorative da cui non avevo la forza di staccarmi. Perché dovevo possedere un'essenza tanto complicata? Perché per gli altri sembrava tutto così semplice, mentre per me le difficoltà prendevano la forma e l'imponenza di una montagna enorme ed impossibile da scalare?! Che fossi io il vero limite di me stessa?

Mi alzai dal divano, muovendo lesta alle vetrate alle mie spalle, nella speranza che dall'esterno Juan non riuscisse ad intercettare rumori o movimenti. Osservai il suo suv nero sparire dietro la porta del garage e percorsi al suo fianco, separata da quelle lastre di vetro oscurate, il tragitto verso la cucina, per osservare dalla porta di servizio, il ritorno di mio marito fino al loft. Procedette con la sua solita andatura sicura e orgogliosa, rigirandosi le chiavi dell'auto intorno all'indice e osservando il cielo scuro trapuntato di stelle in quella notte stranamente splendida e silenziosa.

Ovviamente l'ultimo dei miei desideri era che scoprisse che ero lì a spiarlo, che avevo sonnecchiato sul divano per essere sicura che fosse rientrato, ma ci pensò Micio a fare in modo che mi stanasse. Fottuto di un gatto, se ne era stato tutto il tempo sulla mensola accanto alla porta di servizio e si era lanciato all'aguato appena io, credendomi una Catwoman silenziosa e super atletica, gli ero passata sotto il muso.

Mi sfuggì un urlo quando me lo trovai tra testa e collo, persi l'equilibrio e mi tirai dietro le tendine della porta sul retro, proprio mentre Juan stava per infilare le chiavi nella serratura del loft. In meno di due secondi aveva fatto irruzione nella casa immersa nel buio, con il bastone del retino per pulire la piscina dritto davanti a se, un cavaliere con la ridicola spada sguainata, che mi trovò rannicchiata sul pavimento ad imprecare contro quel dannato felino!

-Maledetto gatto! – stavo strillando cercando di togliermi i suoi artigli dai capelli e contemporaneamente coprendomi il viso con le mani perché non mi accecasse.

Juan accese le luci e quando fui libera da quell'aguato, ancora carponi sul pavimento, alzai lo sguardo, scoprendolo profondamente divertito dalla scena.

-Vuoi ridere ancora?- brontolai, afferrando la mano che mi aveva porto per aiutarmi a rimettermi in posizione eretta.

-No. – bisbigliò al mio orecchio, trascinandomi con uno strattone verso il suo corpo e cingendomi la vita con un braccio.

Scoppiai a ridere di gusto osservandolo con quello sguardo da latin lover ed ancora in mano il bastone con il retino.

-Adesso sei tu quella che ride di me.-

-Rideresti anche tu se ti fossi visto in quell'ingresso trionfale, armato di retino. –

Anche Juan rise di se stesso, appoggiando il retino in bilico sull'isola della cucina e cingendomi con entrambe le braccia. Era indescrivibile la sensazione di impotenza che provavo quando eravamo tanto vicini, ma di questo credo di aver già parlato...

-E tu invece? Attentata da un gatto mentre tentavi di spiarmi? –

-Non ti spiavo, ero scesa in cucina a prendere da bere. – mormorai imbarazzata.

Juan allungò il collo osservando il salotto, la tv ancora accesa e il mio smartphone in bella vista sul bracciolo.

-Bere? –

-Eh va bene Ernandez, hai vinto! – mormorai cercando di divincolarmi, ma senza che lui me lo permettesse. -Aspettavo che tornassi.-

-E come mai? – bisbigliò accostando le labbra al mio orecchio. Avevo il suo fiato collo, ne percepivo il calore ed un brivido mi percorse la schiena.

-Per attivare l'allarme! – esclamai, riuscendo finalmente a divincolarmi.

-Dafne? – pronunciò lentamente, nello stesso modo che aveva fatto per anni quando aveva cercato di calmarmi arrivando ad un compromesso per una nostra decisione -Non ti manca questo? Io che ti prendo in giro, tu che lo fai con me? Dormire insieme, svegliarsi insieme, essere solo noi, io tu e Victoria. –

-Certo che mi manca! Questa è la mia famiglia, tu e la bambina, ma ci sono anch'io e se solo tu potessi accettare il fatto che non mi sentirei più me stessa se non continuassi nel mio lavoro, tutto si risolverebbe. Io ti amo Juan, lo dico poco, lo so, ma è così e credimi mi uccide sapere che se voglio continuare ad averti accanto, devo rinunciare ad una parte di me con cui convivo da sempre! –

Juan mi aveva osservata tutto il tempo, distolse lo sguardo per quelli che parvero interminabili secondi, sembrò considerare la soluzione ed infine parlò.

-Va bene. Io so chi sei e sei perfetta proprio per quella che sei. Cambiarti sarebbe come non avere più Dafne, l'ho capito. Troveremo una soluzione, ma lo faremo insieme, d'accordo? – propose con un sorrisetto timoroso.

-Vuoi dire che accetti la mia scelta? – pronunciai quasi incredula

-Se al momento è questo che ti rende felice... sì, ma le cose possono cambiare, no? Cioè non si sa mai quali piani riservi il futuro. –

Lo osservai un momento, prima di sciogliere ogni riserva e saltargli al collo, smaniosa di gustare quel sapore che da troppo tempo (per i miei standard) mi era stato precluso.

E così, avvinghiati come due lottatori, ma certamente mossi da altri scopi l'uno verso l'altra, percorremmo il tragitto dalla cucina alla nostra camera da letto, senza occuparci troppo di cosa ci trascinavamo dietro mentre procedevamo, senza neanche badare a Micio che travolgemmo mentre ci arrampicavamo per le scale.

Io e Juan; Velma e Shaggy; il pilota e il meccanico... due anime complementari.

The Race to Love 2 La gara continua...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora