L'inizio del declino

31 5 0
                                    

Rientrammo a casa dopo la tappa spagnola, pronti a goderci qualche giorno di riposo, prima di riprendere i nostri impegni, ma soprattutto per usare quel tempo per Victoria. Nostra figlia stava crescendo così in fretta e spesso mi mancava da morire quando eravamo lontani e le accadeva qualcosa di bello che mi raccontava con entusiasmo per telefono. Come madre non mi sentivo eccezionale, anzi, facevo costantemente i conti con le prolungate assenze e l'incapacità, alle volte, di conoscere tutto di mia figlia. La madre di Juan, Camila, che si prendeva cura di Victoria quando noi eravamo lontani da casa, era probabilmente la persona che conosceva meglio la nostra bambina ed io le ero grata del modo in cui si occupava di lei. Non le faceva pesare la nostra lontananza, anzi le trasmetteva solo l'amore che provavamo per lei, ricordandole ogni giorno che per me e Juan era la ragione di tanto impegno.

Camila era una donna piccolina, esile e gracile, con la carnagione scura come quella di Juan e gli occhi color del caramello. Aveva un sorriso cordiale la maggior parte del tempo, ma se perdeva le staffe, seppure la sua statura non lo suggerisse, sembrava schiacciarti con una forza spirituale inimmaginabile. Avevo un bel rapporto con lei, anzi spesso appoggiava più me di suo figlio quando c'era da parlare di nostra figlia, seppur mantenendo il suo ruolo di nonna, senza invadere mai i nostri spazi. Victoria la adorava, amava stare con lei, anche perché obiettivamente era la persona che faceva parte costantemente delle sue giornate, io e suo padre un po' meno.

La mattina successiva al nostro rientro a casa ci stavamo preparando per andare a fare un bel pic-nic in assoluta tranquillità e mentre Victoria se ne stava di sotto con la nonna che era passata a salutarla, io e Juan eravamo in camera da letto a preparare le ultime cose da portarci dietro. La nostra stanza non era cambiata affatto in tutti quegli anni, eccezion fatta per le mie cose sistemate qua e là. Persino il sidecar che avevo regalato a Juan tanti anni prima era ancora lì, a ricordarci quanto eravamo stati stupidi ed incredibilmente innamorati.

Lo amavo ancora, più di allora certo, ma ora ero sicuramente meno presa dalle mie insicurezze e più libera.

-Hai finito? – domandò alle mie spalle, in tono quasi impaziente.

Lo osservai attraverso lo specchio, mentre cercavo di sistemarmi gli orecchini.

-Sì, la borsa di Victoria è di sotto. – risposi distante.

C'eravamo parlati poco nelle ore trascorse dalla sua sfuriata nella casetta mobile ed il rientro a casa e, seppur non avesse ben chiaro il motivo per cui gli rivolgessi appena la parola, Juan aveva cercato in ogni modo di essere gentile ed addolcirmi.

Si avvicinò e restando alle mie spalle, mi cinse la vita posando il capo sulla mia spalla.

-Ora basta con questo muso lungo, ok? – domandò baciandomi il collo.

Era innegabile che il suo contatto mi prendesse tanto quanto accadeva in passato, ma quella volta ero ancora troppo impensierita da quello che era accaduto.

-Non ti rendi conto vero? Non riesci a capire il problema! –

Mi osservò sorridendo. Nonostante qualche ruga si fosse affacciata timidamente su quel viso ambrato, il fascino di Juan restava lo stesso. La fila di denti perfetti si mostrò nel suo splendore, avvicinò le labbra al mio orecchio e bisbigliò:

-Non so esattamente perché tu ce l'abbia con me in questo modo, ma ti chiedo scusa. –

Mi voltai ad osservarlo, addolcendomi un momento.

-Sembra che tu stia tornando alla fase di Rookie insicuro e sottopressione. Sembri una donna in pre-mestruo a volte, lo sai? Io ho meno sbalzi di umore che te! –

-Sono solo stanco Velma. Ho trascorso quasi tutta la vita a girare il mondo come un acrobata da circo, ho solo voglia di godermi te e Victoria come non ho potuto fino ad ora, perché vi amo e siete la cosa più importante che abbia, più di questa carriera. –

The Race to Love 2 La gara continua...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora