Dieci

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Buon weekend, Lorena

"Che ti prende?", mi chiese Manuel dopo aver concluso la trottola seduto, la stessa figura che avevo provato poco prima atterrando sul sedere.

La stessa figura su cui avevo perso l'equilibrio per sei volte di fila.

Di solito non mi creava problemi, potevo eseguirla a più riprese, una variazione dopo l'altra: trottola volante, death drop, con torsione... Di solito era facile.

Lo era un po' di meno se il tuo corpo, ossia tutti i muscoli compresi fra le ginocchia e il mento, bruciava come l'inferno e la tua testa sembrava sul punto di esplodere.

Per di più mi pareva di aver masticato carta vetrata, da tanto che la mia gola era irritata, e anche solo rimanere in piedi mi costava un grande sforzo.

Stavo proprio male.

Malissimo.

Fin da quando mi ero alzato. Ero certo di essermi svegliato nel cuore della notte, una cosa che non mi accadeva mai, per via del dolore alla testa e della gola che bruciava come se avessi bevuto un bicchiere di lava.

Ovviamente non ne avevo parlato con la coach o con Manuel.

Era l'ultima giornata di allenamenti, poi avremmo iniziato a lavorare sulla coreografia; non avevo tempo di ammalarmi.

Dalla mattina del giorno in cui io e Manuel avevamo guardato Carlotta, me ne erano successe di tutti i colori: prima il pizzicore alla gola, sempre più forte; un altro giorno, la testa leggera; poi, una grande stanchezza e dolori in tutto il corpo; infine, era arrivata la febbre.

Mi girai sulla schiena ed emisi un lamento perché la mia testa pulsava a più non posso. Non riuscivo a ricordare l'ultima volta che avevo fatto così schifo.

"Hai i postumi di una sbronza?", mi chiese Manuel da un punto imprecisato della pista.

Scossi la testa, pentendomene all'istante perché mi venne voglia di vomitare.

"No".

"Sei andato a letto tardi ieri sera, vero?", mi accusò.

Il fruscio dei suoi pattini sul ghiaccio mi disse che si stava avvicinando. "Non puoi venire ad allenarti così, Simò".

Rotolai su un fianco e mi misi in ginocchio. "Non ho fatto tardi".

Lo sentii sbuffare, e i suoi stivaletti neri si materializzarono davanti ai miei occhi.

"Dici un sacco di..."

Non feci in tempo a vedere le mani che si avvicinavano alle mie braccia. E anche se le avessi viste, ci avrei messo un po' a muovermi. Fatto sta che le sue mani mi afferrarono sopra al gomito e, con la stessa rapidità, mi lasciarono andare.

Avevo caldissimo e un'ora prima avevo tolto la felpa, restando in canottiera. Se avessi potuto togliere anche quella, l'avrei fatto.

Le mani di Manuel afferrarono i miei avambracci, e anche quella volta li lasciarono subito andare.

"Simò, cazzo!", sibilò prendendomi il viso fra le mani, mentre io, ancora nella stessa posizione inginocchiato, non riuscivo a muovermi.

Se mi fossi potuto stendere sul ghiaccio in posizione fetale l'avrei fatto.

Lui spostò una mano sulla mia fronte, snocciolando imprecazioni creative che non riuscii a distinguere, un'abilità che a condizioni normali mi avrebbe impressionato.

"Scotti".

Le sue dita calde mi strapparono un gemito, e sussurrai: "Davvero?"

Lui ignorò il mio commento ironico e mi passò la mano dietro al collo, suscitando un altro gemito di piacere.

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