Dodici

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"Non sono sicuro che sia una buona idea".

Al volante della sua macchina, Manuel mi rivolse la seconda frase dall'inizio della giornata: "Non l'attaccherai a nessuno. Non sei più contagioso".

Se lo diceva lui...

Avevo passato la maggior parte della giornata a sonnecchiare nella stanza degli ospiti in cui Manuel aveva sistemato le mie cose.

Al nostro arrivo, ero stato così preso dai suoi amici pelosi da non accorgermi che era uscito e aveva recuperato la borsa che avevo lasciato davanti alla porta.

Dopo cena avevamo fatto una lunga passeggiata con i cani. A quanto pareva, il giardino intorno alla villetta che avevo visto appena ero arrivato, era più grande di quanto avevo previsto.

Due volte al giorno, la madre di Manuel veniva a dare da mangiare agli animali ed a somministrare le medicine, e li faceva uscire se Manuel era impegnato negli allenamenti.

Con me.

Chi se lo sarebbe mai immaginato?

Avrei voluto chiedergli perché aveva preso così tanti animali, ma in realtà non sapevo come rivolgermi a lui dopo la sera precedente. Nessuno mi aveva mai parlato così. Esclusa mia madre, ovviamente.

Mi aveva detto che voleva vedermi sereno e felice. E che questo non aveva niente a che fare con il nostro legame professionale.

Perché lo desiderava, allora? Volevo saperlo. Avevo paura di fargli quella domanda, perché temevo che la sua risposta mi facesse male.

La verità faceva sempre male.

Così, dopo una passeggiata di almeno un chilometro, l'avevo seguito in silenzio in salotto e mi ero seduto sul divano, sul lato opposto rispetto a lui, sprofondato fra Ragù e Zeus che continuava a porgermi la zampa in cerca di coccole.

Dopo dieci minuti sul divano con il gatto sulle gambe e il cane accoccolato al mio fianco, ero svenuto e mi ero risvegliato qualche ora dopo, quando Manuel mi aveva dato un colpetto sulla fronte e mi aveva scortato fino alla mia stanza tenendomi per la nuca, mentre camminavo come un sonnambulo.

Con la poca lucidità che mi restava, avevo notato che, una volta a letto, mi aveva rimboccato le coperte, poi mi aveva posato un bacio sulla fronte e, dopo aver spento la luce, se n'era andato.

L'indomani mattina avevo dormito fino a tardi e mi ero alzato quasi a mezzogiorno. Ero ancora uno straccio.

Manuel non c'era, ma mi aveva lasciato un biglietto sul frigo per dirmi che era andato al circolo e sarebbe tornato verso l'una, e di non preoccuparmi per sua madre che sarebbe venuta a dare da mangiare agli animali mentre lui non c'era.

Era venuta mentre dormivo, ovviamente.

Ne avevo subito approfittato e avevo passato l'ora seguente a ficcare il naso ovunque, scoprendo altri aspetti sorprendenti di Manuel.

Avevo sbirciato in qualche cassetto di un mobile, trovandone uno pieno zeppo di fascette per capelli.

Ne aveva di tutti i tipi e di tutti i colori, mi appuntai mentalmente di farci una battuta appena sarebbe tornato a casa.

Nella sua stanza, che era gigantesca, c'erano tre cucce, due piccole, una rosa - probabilmente di Margot - e una rossa, dedussi di Ragù.

Quella blu era posta proprio accanto al suo letto, mi aveva accennato che Zeus preferiva dormire il più vicino possibile a lui, specificando che spesso dormiva direttamente sul letto, ai suoi piedi, che di tanto in tanto leccava svegliandolo.

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