La descrizione di un attimo

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Era un pomeriggio di fine estate, il cielo limpido e l'aria fresca, quando Marco mi sorprese con un gesto che avrei custodito nella memoria per sempre. Eravamo seduti su una panchina nel parco, lui con quel sorriso che sempre mi faceva sentire al sicuro, come se niente potesse scalfirci. Il rumore dei bambini che giocavano, le risate che riempivano l'aria, tutto sembrava perfetto in quel momento.

«Chiudi gli occhi.» mi disse, con una luce negli occhi che non avevo mai visto prima. Non potei fare a meno di sorridere, un po’ incerta ma affascinata dalla sua spontaneità. Feci come mi chiese, sentendo il fruscio delle sue mani che si muovevano vicino a me. Poi, all’improvviso, sentii qualcosa di freddo e delicato sulle mie orecchie. Li aprii e mi trovai di fronte a lui, con un piccolo astuccio in mano.

«Per te.» disse, con un sorriso che sembrava voler dire tanto, ma che non sapevo decifrare completamente in quel momento.

Aprii il cofanetto e dentro c’erano due orecchini, finemente lavorati, con un piccolo diamante al centro che brillava alla luce del sole. Li guardai, incredula. Non erano solo un regalo, erano qualcosa di più. Un segno di quello che pensava di noi, della nostra connessione.

«Li ho scelti per te», continuò, «perché tu sei come loro: rari, preziosi, e mai banali.»

Mi abbassai, cercando di fermare l’emozione che mi stava salendo in gola, mentre lui li infilava delicatamente nelle mie orecchie. Ogni gesto, ogni parola sembrava essere carica di significato, e in quel momento sentivo di non poter desiderare niente di più.

Eppure, ora, mentre la sua immagine si faceva sempre più lontana nella mia mente, quel regalo mi sembrava un ricordo che cercava di sfuggirmi, un qualcosa che avevo paura di perdere, ma che sapevo di dover tenere strettamente legato al mio cuore.

***

La sera calava lentamente su Roma, e l'aria si faceva più fresca, portando con sé il profumo di asfalto bagnato. La città, che di giorno sembrava vibrante e viva, si trasformava ora in un luogo silenzioso e inquietante, con strade deserte e luci tremolanti. Avevo appena finito il mio turno in ospedale, e ancora portavo con me il peso di quella giornata.

I soldi di Daniele, che avevo deciso di prendere, erano come un fardello che mi gravava sul petto. Dovevo restituirli, ma non avevo idea di come farlo.

Quello che sapevo era che dovevo trovarlo.

Il quartiere in cui mi stavo avventurando non era un posto che avrei mai scelto di attraversare volontariamente. Non apparteneva alla parte di Roma che conoscevo.

Era un angolo oscuro, dimenticato da tutti, dove la luce sembrava non riuscire mai a entrare, soffocata dalle ombre che si allungavano tra i vicoli stretti e le case decadenti. Le facciate dei palazzi erano grigie, sporcate dal tempo e dall'incuria.

Le finestre, perlopiù rotte o sbarrate, trasmettevano un senso di desolazione.
Ogni angolo nascondeva un pericolo, ogni passo che facevo mi sembrava più incerto.

I rumori erano diversi da quelli che ero abituata a sentire in altre zone della città.

Qui, il silenzio era interrotto solo dal ronzio lontano delle luci al neon e dal chiacchiericcio sommesso di qualche figura che si intravedeva tra le ombre.
Era come se il quartiere avesse una vita propria, oscura e sotterranea, che si muoveva in segreto.

L'asfalto sotto i miei piedi era consumato, con crepe che sembravano inghiottire ogni passo. I marciapiedi erano sporchi, ricoperti di cartacce e rifiuti, come se chi ci abitava non avesse nemmeno più la forza di prendersi cura del proprio angolo di mondo.

L'ultimo giorno d'inverno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora