Sapore di sale

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La spiaggia di Roma, quella mattina di novembre, si stendeva davanti a me come una distesa di sabbia grigia e umida, ancora segnata dalle orme delle mareggiate. Il vento era pungente, carico di quella salsedine che si attaccava alla pelle, penetrando attraverso i vestiti, quasi a voler lasciare un’impronta indelebile del mare.

Il cielo era un soffitto di nuvole che si muovevano lente, gonfie, come se trattenessero una pioggia imminente. Qua e là, qualche raggio di sole provava a farsi strada tra gli squarci di luce, illuminando il bagnasciuga e disegnando riflessi dorati sull’acqua fredda. Le onde si infrangevano contro gli scogli con una certa irrequietezza, come se il mare non avesse ancora trovato pace. Ogni tanto, una schiuma bianca si alzava e si dissolveva nel nulla, inghiottita dal vento.

Camminavo a piedi nudi, sentendo la sabbia umida sotto i miei piedi, quel miscuglio tra freddo e morbido che mi faceva rabbrividire e sorridere allo stesso tempo. I gabbiani strillavano sopra di me, sorvolando l’orizzonte come guardiani del cielo. Alcuni di loro si posavano vicino alla riva, in cerca di cibo, lasciando le loro impronte leggere sul terreno fangoso.

L’intera spiaggia sembrava quasi abbandonata, se non per qualche pescatore solitario, con le mani infreddolite strette attorno a una lenza, e per i detriti del mare che decoravano la riva: alghe scure, conchiglie spezzate, pezzi di legno trasportati dalla marea. C’era una malinconia dolce in quel silenzio interrotto solo dal fragore delle onde. Una calma fragile, come l’attesa della tempesta.

In lontananza, la città si intravedeva appena, sfumata come un dipinto offuscato, con le sue strade ormai affollate dal ritmo della vita quotidiana. Ma qui, su questa spiaggia deserta, sembrava che il tempo si fosse fermato, come se il mondo avesse dimenticato questo angolo di mare in una giornata di novembre. E io mi sentivo parte di quel respiro lento, di quella poesia non scritta che sussurrava nel vento, portando via i pensieri come granelli di sabbia.

Mi sedetti sulla sabbia, tirando su le gambe e stringendomi nella mia felpa nel tentativo di scacciare il freddo che mi attraversava come una corrente invisibile. Il tessuto spesso non bastava a proteggermi dalle raffiche salate, ma c’era qualcosa di confortante nel nascondere il viso nel cappuccio, ascoltando il suono delle onde che si srotolavano instancabili sulla riva.

I miei occhi vagarono lungo la spiaggia finché lo vidi. Daniele camminava verso di me, la sua figura si stagliava contro il mare turbolento, con i capelli chiari che il vento si divertiva a scompigliare. Indossava un vecchio giubbotto che sembrava aver combattuto contro le stagioni, e le sue mani -grandi, forti- stringevano qualcosa con cura, come se custodisse un segreto fragile.

Il suo passo era lento, ma c’era una determinazione nel modo in cui avanzava, e per un istante, tutto ciò che mi circondava sembrò sfumare. L’aria si fece più leggera, quasi in attesa. Mi sforzai di non abbassare lo sguardo, mentre lui si avvicinava, lottando contro la mia voglia di restare chiusa nella mia sicurezza. Daniele aveva questa capacità di sconvolgermi, di portare con sé un’energia che mi rendeva vulnerabile, ma viva.

Quando fu abbastanza vicino, notai che le sue guance erano arrossate dal freddo, e un sorriso appena accennato danzava sulle sue labbra. Mi fissò con quegli occhi che sembravano sapere troppo, che avevano visto più dolore di quanto volesse mai ammettere. Mi sentii catturata in quell’istante, senza via di fuga.

Tra le dita teneva un piccolo granchietto, le chele in miniatura che si agitavano debolmente, come a protestare per la sua cattura improvvisa. «Guarda cosa ho trovato» disse Daniele, gli occhi che si illuminavano come un bambino.
«Pensavo ti avrebbe fatto piacere incontrare un nuovo amico.»

Scoppiai a ridere, un suono improvviso che si mischiò al rumore delle onde.
«Un granchio?» alzai un sopracciglio, fingendo di essere indignata. «E io che speravo in qualcos'altro. Tipo... non so, una conchiglia perlata o almeno un pezzo di vetro levigato dal mare.»

L'ultimo giorno d'inverno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora