PARTE 3 - Faccia a faccia

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Dieci anni prima

Adesso mamma arriva.

Sposto lo sguardo da una parte all'altra, osservando con attenzione tra la folla.

Incrocio qualsiasi tipo di volto: indaffarato, contento, affettuoso, sorridente. Ma non il suo.

Forse ha fatto tardi.

Forse è bloccata con la macchina e non può avvisare che sta arrivando.

Forse Ciro ha fatto tardi a lezione di ginnastica.

Continuo ad osservare la marea di persone fuori al di là del cancello della scuola.

"Ciao Rosa"

"A domani Rosa".

Le mie amiche mi salutano tutte con la mano quando mi passano a fianco, l'altra ben stretta in quella della loro mamma o del loro papà.

Cerco di ricambiare e di sorridere ma comincio ad essere preoccupata.

Perché non è ancora arrivata, la mamma?

Possibile che si sia dimenticata di me?

Mi aveva salutato stamattina dicendomi che sarebbe venuta a prendermi lei...

Forse è successo qualcosa a nonna?

Mi mordo il labbro, mentre il cuore mi batte forte. Devo sforzarmi per trattenere le lacrime che minacciano di uscirmi dagli occhi.

Guardo l'orologio rosa che porto al polso: la lancetta corta è sul quattro e quella lunga quasi sull'undici.

È molto tardi. Non ha mai fatto così tardi.

La mia mente ricorda la scena di ieri sera: la mamma chinata sul water, la faccia bianca come un lenzuolo e gli occhi pieni di male.

Forse è stata male ancora.

Forse sta talmente male che non riesce a camminare.

I minuti passano e ormai fuori dalla scuola non è rimasto quasi più nessuno. Dentro di me si fa sempre più forte la consapevolezza che forse non verrà più nessuno a prendermi.

Mario, il bidello, con la solita scopa in mano sta quasi per chiudere i cancelli.

"Piccerè, che ci fai ancora ca'?" mi chiede, guardandomi.

Alzo le spalle e non rispondo, cercando di non piangere.

Lui scuote la testa e borbotta qualcosa.

"...qui non ci potete più stare, che devo chiudere".

La mia attenzione viene catturata da un bambino, in piedi a poca distanza da me, anche lui con la cartella in spalla e l'aria rassegnata di chi aspetta qualcuno invano.

Ormai sul marciapiede siamo rimasti solo io, lui e il bidello.

Il bambino mi lancia uno sguardo, ma non mi sembra affatto preoccupato.

Forse hanno dimenticato di venire a prendere anche lui?

Il bambino si avvicina e sorride a Mario.

"Mamma ha detto che posso tornare anche a casa da solo, sai Mariuzzo? Doveva venirmi a prendere Ezio, si sarà dimenticato come al solito. Posso andare?"

Mario lo guarda pensieroso, come se stesse soppesando la sua risposta.

"Di sicuro non posso passare tutto il tempo ad aspettare che dei genitori incoscienti vengano a prendere i propri figli a scuola", dice, con la voce che sa di sigaretta "aggia fatica' io!"

I mostri che ci portiamo dentro - Carmine e Rosa - Mare FuoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora