Parte 9 - Io c'ero

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La mattina dopo quando mi sveglio ci metto un po' a capire come mai mi senta così male.

Poi il ricordo della sera prima mi crolla addosso e mi spezza il fiato.

Cerco di tirarmi su e districarmi dal groviglio di lenzuola, ma ogni movimento che faccio è una sofferenza; mi sento come se oltre ad aver cercato di strangolarmi qualcuno mi avesse percosso di bastonate ogni singolo centimetro del mio corpo.

Mi sento accaldata e con una sete terrificante.

"Ehi Ro, hai una faccia orribile...stai male?", mi chiede Kubra, in piedi vicino all'armadio e intenta a vestirsi.

"No, tutto a posto", borbotto, mentre scendo dal letto. Mi trascino lentamente in bagno e mi attacco alla fontana del rubinetto. Per fortuna non abbiamo gli specchi in cella, non ho il coraggio di vedere che faccia ho stamattina.

Non voglio che nessuno sospetti niente, devo fare finta di nulla. Forse mangiare qualcosa mi farà sentire meglio...

Mi vesto sotto gli sguardi preoccupati di Kubra.

"Sei sicura di stare bene?".

"Sto bbuon, nun te preoccupà", sbotto, punta sul vivo. Kubra non dice più nulla ma continua a lanciarmi occhiate preoccupate.

Cerco di coprire con i capelli il collo, perché non so ancora in che condizione è. Forse è il caso di indossare un dolcevita se voglio evitare domande indiscrete...

Finiamo di prepararci in silenzio, anche perché sono così tesa che se apro bocca rischio di vomitare, e ci uniamo a Maddalena e al resto del gruppo per andare a mensa.

Mentre scendiamo le scale cerco di comportarmi normalmente ma tutte le mie buone intenzioni si volatilizzano immediatamente non appena sbuchiamo nel cortile e vedo Mimmo venire verso di me, preceduto da Lino.

In un secondo tutta la consapevolezza di quanto ho rischiato ieri sera mi fa ribollire il sangue nelle vene.

Perché so che è stato lui a cercare di uccidermi.

Tremando di rabbia, gli vado ad un centimetro dal viso. Lui ricambia il mio sguardo e percepisco un fremito di paura nei suoi occhi.

La prendo come una confessione.

Anche lui sa che io so.

Vorrei dire qualcosa, minacciarlo o mettergli le mani addosso ma Lino è più veloce di me. Lo tira per il braccio, spingendolo verso il cancello d'uscita.

Rimango a guardarlo allontanarsi, respirando affannosamente.

E poi sento un altro sguardo su di me. Non mi ero nemmeno accorta della presenza di Di Salvo, appoggiato contro la parete accanto al cancello, il suo solito posto preferito per fumare una sigaretta.

Ci fissiamo per qualche secondo e nella mia mente si insinua prepotentemente il ricordo delle nostre mani intrecciate e della mia testa appoggiata sul suo petto.

Come se non bastasse tutto il resto, adesso gli devo pure la mia vita.

Questo non era previsto nei miei piani...

Distolgo velocemente lo sguardo e gli do le spalle.

Vedo Edoardo seduto su una delle panche vicino al campo da calcio e improvvisamente sento il bisogno disperato di andare da lui, come quando da bambina correvo da Ciro per farmi dare un bacio sulle ginocchia sbucciate.

Spicco una corsa, senza badare ai richiami di Maddalena.

"Sacce ca chiste nun è nu buon momento pe dirtelo ma e sapè", sussurro velocemente, stringendo le sue ginocchia nelle mie mani. Anche il suo volto sembra stremato, come se non avesse chiuso occhio per tutta la notte.

I mostri che ci portiamo dentro - Carmine e Rosa - Mare FuoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora