Capitolo 3 - Sole

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Finalmente un giorno di sole, quando mi ero alzata baciata dai primi raggi del sole mattutino, quasi non riuscivo a crederci. Feci colazione poggiata sul davanzale della finestra, cercando di godermi il più possibile quel piacevole torpore. Nonostante non avessi quasi chiuso occhio la sera prima - non avevo smesso di pensare a quello che era successo in macchina del dottor Cullen- mi sentivo energica.

Mi ricordai della promessa di Carlisle, di passare ad aggiustare la mia porta, così impiegai una certa attenzione nella scelta dei miei vestiti e del mio trucco. Visto il sole e la piacevole temperatura primaverile, optai per un abito a lungo fiorato, con le maniche a tre quarti - facevo pur sempre parte del corpo docenti- e un trucco leggero, ma estremamente curato nell'applicazione. Ci tenevo ad essere carina, mi sentivo come una delle ragazzine che ascoltavo durante i miei incontri. Sentivo che nonostante tutto, mi meritassi di indugiare in un innocente... flirt? Posso definirlo un flirt? Sì, Dalia ti puoi concedere un po' di fantasia. Da quando avevo rotto con Mark, o lui aveva rotto con me -la dinamica non era mai stata chiara- non mi ero concessa spazio ad appuntamenti, flirt o altro. Come diceva la mia amica Teresa "Se non dai tu gioia e te stessa, nessuno lo farà". Presi la mia borsa a tracolla e mi diressi a scuola, piena di belle speranze.

Le mie belle speranze vennero lentamente frantumate con l'incedere impassibile della mattinata, il bel dottor Cullen non si fece vedere e la mia porta era ancora lì, appoggiata contro il muro. Mi sentii un po' stupida per aver preso sul serio le sue parole. E' il primario di un ospedale, è un uomo decisamente occupato. Mi ripetevo mentre compilavo distrattamente dei moduli. Mi sentivo delusa, ma dopo pranzo decisi di riprendermi e concentrarmi sul mio lavoro. Alle 14.00 avevo un appuntamento con il giovane Edward Cullen, mi sarei concentrata su di lui.

Peccato che alle 14.30 non c'era traccia del ragazzo, provai a cercarlo nei corridoi, ma non sembrava essere da nessuna parte. Fermai un paio di suoi compagni del suo stesso anno, che se non mi sbagliavo erano amici di Isabella Swan. Questi mi risposero che Edward non era venuto a scuola, che tutta la sua famiglia non era venuta a scuola quel giorno. Mi spiegarono che i Cullen nelle giornate di sole venivano portati dal padre in gita, a fare escursioni e che ogni tanto si univa anche Bella. Andai in segreteria per chiedere alla signora Cole se per caso qualcuno avesse chiamato dalla famiglia Cullen per avvisarmi, ma la sua risposta fu negativa.

Se ero rimasta delusa dalla mancata promessa del dottor Cullen, ora ero molto seccata. Edward sapeva benissimo dell'impegno preso con me, un impegno scolastico e non si era nemmeno degnato di avvisare. Poi tutta la questione "Porto i ragazzi a fare le scampagnate nei boschi quando c'è il sole" mi sembrava assurda. C'erano i giorni di vacanza, il weekend per fare queste cose, di certo non i giorni di scuola. Inoltre Rosalie ed Emmet erano vicini al diploma, non era proprio il caso che perdessero giorni di scuola. Camminavo innervosita per i corridoi della scuola, pensando su come fosse meglio agire. Sicuramente avrei fatto presente la cosa al signor Cullen, ma non avevo il suo numero, tutte le comunicazioni erano state fatte tramite Edward e la segreteria. E per qualche insana legge sulla privacy la segreteria non poteva darmi il suo numero.

Mi massaggiai le tempie con le dita, non conoscevo molte persone a Forks, praticamente nessuno fuori dall'ambiente scolastico. L'unica cosa che potevo fare era aspettare il ritorno di Edward e fargli una bella lavata di capo. Ecco, sì, domani gli farò capire che deve rispettare gli impegni presi e mi farò dare il recapito telefonico del signor Cullen. Pensai soddisfatta, sensazione che svanì in pochi secondi, rendendomi conto che il giorno seguente sarebbe stato un sabato.

Sbuffai rumorosamente, ma non potevo farci molto, avrei tenuto la mia indignazione in carica per lunedì.

Il resto della mia giornata lavorativa passò senza grandi emozioni, se non giusto l'imbarazzo davanti ad ogni genitore o studente che veniva nel mio ufficio per poi scoprire l'assenza della porta. Stavo tornando a casa, affamata e stanca quando l'insegna luminosa del diner di Joe a qualche metro da me, mi diede un'idea. Nella mia testa risuonarono le parole di Charlie Swan, avevo bisogno di inserirmi nella vita sociale di Forks e una cena al diner mi avrebbe risparmiato l'odioso compito di lavare i piatti.

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