Capitolo 10 - Insonnia

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Dopo quella notte terribile, Charlie mantenne le sue promesse. Ogni sera una pattuglia girava per le strade di Forks, passando sotto casa mia. Quando era Charlie a guidare mi salutata con i fari, io gli facevo cenno dalla finestra per rispondergli e subito mi sentivo più serena. Mi aveva aiutato a montare, o meglio lui montava ed io aiutavo, un nuovo lucchetto alla porta e due sottili inferiate alle finestre. Esteticamente non era il massimo, mi davano l'idea di essere in una prigione, ma avrebbero sicuramente impedito ad un uomo adulto di entrare.

Le giornate trascorsero normali, senza grandi emozioni o avvenimenti, mi concentravo sul lavoro e ogni tanto mi capitava di cenare con Charlie e Bella al Diner. Avevo persino iniziato a stringere amicizia con Sarah, la cameriera del locale, avevo scoperto che era una scrittrice, una ghostwriter. "Per il momento, ma un giorno pubblicherò qualcosa di interamente mio" mi disse con tono determinato. Avevo scoperto che "Joe" del Joe Diner era suo nonno e che lei lavorava lì per aiutarlo.

Mi accorsi che tutto il paese, in un modo o in un altro, era venuta a sapere dell'intrusione nel mio appartamento. Persino i genitori dei miei studenti mi fermavano per chiedermi come stessi, altri più pettegoli, mi chiedevano che cosa avessero rubato.

Dovevo aspettarmelo infondo, in una piccola città le voci viaggiano velocemente. Ringraziavo però il cielo che le voci non potessero in alcun modo raggiungere mia madre. Non ero riuscita a dirle la verità, avevo preferito modificare leggermente la narrazione. Avevo optato per un tentativo di scassinare la porta di casa mentre ero fuori, una cosa più emotivamente gestibile per il cuore ansioso di mia madre.

L'avevo inoltre rassicurata che il ladro era un ragazzino del posto che era stato beccato, solo così si era tranquillizzata. Andrew aveva insistito per mandarmi tre bombolette di spray al peperoncino. Anche Teresa voleva comprarmene un po', ma ero riuscita a convincerla che avevo già le mie scorte personali a quel punto.

A lei avevo detto la verità e di risposta si era offerta per prendere il primo volo disponibile e raggiungermi a Forks, l'avevo ringraziata, commossa dal suo affetto per me, ma non potevo lasciare che spendesse un sacco di soldi e perdesse giorni di lavoro. "Quando prenderò le ferie, ti verrò a trovare" mi aveva risposto, con il tono di chi aveva già deciso e non ammetteva alcuna replica.

Cercavo di mostrarmi serena con tutti, come se fosse tutto passato, ma dentro la notte faticavo ancora ad addormentarmi e gli incubi e i sogni strani erano diventati una costante. Non c'era una via di mezzo o erano incubi terrificanti, o torridi sogni che avevano come protagonista Carlisle Cullen. Forse stavo sviluppando un ossessione. O forse il suo rifiuto così educato, mi bruciava ancora forte sotto la pelle.

Ero così abituata che avevo smesso di pormi domande, o imbarazzarmi. Ero abbastanza disperata da accoglierli con piacere, affamata di affetto e contatto fisico.

Una notte, dopo aver sognato per l'ennesima volta di essermi persa nei boschi, aprii gli occhi e trovai davanti al mio letto Carlisle Cullen. Non mi spaventai, sapevo che si trattava di un'altro sogno. Anche se ero quasi convinta di essermi effettivamente svegliata, potevo sentire i miei occhi ancora impastati dal sonno, le palpebre pesanti.

Carlisle era seduto su una sedia, davanti al mio letto, piegato in avanti con le mani sul viso. Mi misi a sedere confusa. Non era di certo il classico inizio di un mio sogno torbido, di solito era molto meno vestito.

Lui alzò la testa e mi guardò con un espressione colpevole dipinta sul viso.

-Sono mortificato...Non ho parole per...-

Mi sentivo così stordita e stanca, non capivo a cosa si stesse riferendo.

-Il mio comportamento è ingiustificabile, non è da me fare una cosa del genere-

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