Capitolo 6

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"Lascia fare a me, la prendo io!", dissi afferrando il mio giubbotto dal letto prima di mia madre.

Era la sera dopo l'intervento, avevo appena realizzato cosa si provasse ad avere una gamba immobilizzata da troppe bende per i miei gusti e stavo per spezzarmi anche il collo a prendere quel maledetto giubbotto troppo lontano per la carrozzina su cui ero costretta a stare. Non volevo avere tuttavia schiere di servi al mio cospetto che mi avrebbero aiutato anche ad imboccarmi, come se essere su una carrozzina fosse tanto invalidante. Non potevo camminare su questo non c'erano dubbi, perchè se così non fosse stato non avrei messo il mio bel sederino su quell'aggeggio tanto odioso. Era altrettanto evidente tuttavia che l'uso degli arti superiori mi era ancora concesso. Non capivo quindi perchè i miei genitori si comportassero come se ciò non fosse evidente.

Come se non bastasse mio padre provò a fare presa sulla carrozzina per accompagnarmi fuori come se non fossi capace di muovermi da sola. Andavo a sbattere contro qualche parete a volte, ma ero capace di uscire da lì senza un'ulteriore rottura.

"Grazie, faccio da sola.", dissi alquanto seccata a mio padre, il quale capì al volo e mollò subito la presa.

Andai subito a sbattere contro la porta della stanza.

Mio padre tentò di avvicinarsi, ma lo fermai celere con una mano, cercando di uscire dalla porta e possibilmente dall'ospedale.

Quando varcai la porta girevole dell'entrata dell'ospedale i raggi flebili primaverili del sole per poco non mi accecarono. Sentire però il mio viso essere leggermente pizzicato da essi mi fece sentire solo felice: di quella felicità che non si riesce a spiegare per quanto semplice e sciocca sia, ma che nella sua semplicità è spesso l'unica cosa di cui si ha veramente bisogno.

Il sole aveva da sempre quest'effetto su di me: mi trasmetteva positività con il suo familiare calore che andava in estate a colorare la mia pelle olivastra di un bel marrone accesso. Rallegrava anche le giornate più buie semplicemente apparendo da dietro le nuvole, come a significare che oltre alle giornate nuvolose ci fosse sempre un qualcosa per cui combattere e in cui credere fermamente.

Ironicamente era anche il simbolo di Apollo: dio della musica, del canto e tra le sue altre caratteristiche anche il dio del sole, che con il suo carro alato portava intorno al mondo ogni giorno.

Artemide e Apollo, gli dei gemelli, i due opposti. La prima, secondo la mitologia greca, era la dea della caccia, sempre ligia alle regole, seria in ogni situazione che lo richiedesse e attenta ad ogni suo comportamento.

Il secondo invece era lo specchio rotto della sorella: era il pasticcione del duo, il festaiolo, quello su cui nemmeno sua madre Leto avrebbe fatto affidamento per preparare un piatto di insalata, consapevole che sarebbe finito in frantumi sul pavimento l'istante dopo la richiesta. Io come il secondo, mio fratello Apollo come la prima.

Per me era un mistero come un mito e la passione sfrenata dei miei genitori per la storia fossero andate a creare due personalità così diverse dalle loro nemesi mitologiche, come se fosse già programmata alla nascita la nostra personalità, senza che un nome avesse dovuto per forza ettichettarci come predestinati ad essere qualcuno di completamente diverso da noi. E noi eravamo la dimostrazione di tutto ciò, di quello che solo qualcuno che mi ero imposta di dimenticare mi aveva fatto realizzare solo poche ore prima.

"Artemide!", esclamò una voce dal parcheggio davanti all'ospedale.

Mi risvegliai da quella beatitudine che solo il sole sulla mia pelle sapeva darmi, sorridendo al solo suono della sua voce.

Emma corse verso di me, saltando due gradini alla volta e buttandomi immediatamente le braccia al collo in un abbraccio sincero e fin troppo entusiasto. Aveva ancora indosso il suo vestito rosso che aveva comprato con me apposta per la mia festa di compleanno, mentre i suoi capelli biondi erano raccolti in un chignon disordinato. I suoi occhi azzurro cielo solitamente sempre accesi di una felicità che avevo ancora da capire da dove prendesse, apparivano stanchi e sotto di loro si potevano scorgere delle chiare occhiaie scure.

Quella notte dal sapore di fragoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora