Capitolo 29

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Sveglia.

Scuola.

Compiti.

Studio.

Letto.

Quella era ormai diventata la mia routine in quell'ultimo periodo. Essendo in quinta, i nostri professori avevano già cominciato a caricarci di compiti e una mole di verifiche era dietro l'angolo, pronta ad attenderci prima del primo colloquio che ci sarebbe stato con i genitori. Avendo il tempo contato non ero riuscita ad uscire più di molto con Alessandro, il quale però mi rassicurava sempre dicendomi che anche lui era sommerso dallo studio. Così, anche a causa del divieto dei miei genitori di andare in giro da sola di notte con il freddo sempre più pungente, la nostra piccola ricerca del ragazzo fiordaliso si era drasticamente interrotta, per riprendere a data ancora da destinarsi.

Quella settimana, per via della verifica di latino a cui avevo dovuto dare maggiori attenzioni, non avevamo potuto vederci. Tuttavia quando entravo in classe ogni mattina, trovavo sul mio banco un cioccolatino sempre diverso e un bigliettino viola con una frase e la sua immancabile firma: A. Non riuscivo a capacitarmi di come facesse ad avere il tempo di passare ogni mattina per la mia scuola prima che arrivassi, e soprattutto come faceva a sapere dove fosse il mio banco. Tutte quelle domande però, non avevano senso davanti a gesti così semplici, ma semplicemente dolci.

Quella mattina arrivai in classe nel momento stesso in cui la campanella suonò, dando inizio alle lezioni e trovai sul mio banco un ovetto kinder e un biglietto viola.

Sorrisi, ormai quella era diventata l'unica ragione per cui mi svegliavo presto e per cui andavo in classe. Prendemmo tutti posto e la sedia accanto alla mia rimase vuota, come ormai stava accadendo da diverso tempo.

"Emma è ancora assente?", chiese la professoressa durante l'appello.

A fine lezione mi chiese di parlare. Mi disse di avvertire la mia migliore amica che stava perdendo troppi giorni di scuola e che così facendo avrebbe potuto rischiare l'anno.

"Sta molto male.- mentii io- I medici devono ancora capire cosa le procura tutta quella febbre."

La professoressa disse che le dispiaceva e che l'avrebbe fatto notare al preside per un'eventuale discussione sulla sua situazione.

Se la bevve.

Nuovamente.

La verità era che nemmeno io sapevo che fine avesse fatto la mia migliore amica. Era da due settimane che non si faceva sentire da nessuna parte, su nessun social in nessun messaggio. L'unica cosa che mi faceva capire che non fosse in chissà quale situazione pericolosa era che i messaggi sul nostro gruppo Thementi venivano sempre letti.

Emma ti paro il culo con i prof ancora per qualche giorno. Dove cavolo sei?

Scrissi l'ennesimo messaggio, che dopo pochi minuti venne visualizzato per non essere calcolato come tutti gli altri che avevo inviato in precedenza. Ormai la nostra chat era diventata un muro con solo i miei messaggi, i quali non ricevevano nessuna risposta.

A ricreazione mi incontrai davanti alle macchinette con Raul, il quale pallido in viso si lamentava della lezione di fisica sulle equazioni di Maxwell, definendole troppo difficili per dei ragazzini di diciotto anni.

"Sono preoccupata per Emma. A te ha più risposto?", chiesi io mentre il mio tè al limone scendeva nel bicchiere di plastica.

Strinse le labbra e dissentì con la testa.

"Io non so più cosa inventarmi con i professori. E non capisco perché sua madre non dica nulla!"

"Non lo so Art, non capisco davvero cosa possa esserle successo. Io pensavo di aspettare la fine di questa settimana e semmai nel weekend di andare a vedere a casa sua, inventandoci una scusa. Conoscendo Emma probabilmente dirà a sua madre di andare a scuola, non l'avrebbe mai fatto saltare così tante lezioni."

Quella notte dal sapore di fragoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora