"Qualunque cosa ci dica, faremo finta di non sapere. Come abbiamo stabilito fin dall'inizio.", dissi, ma la mia voce tradì una certa ansia che avevo fin da quando avevo ricevuto l'email di un incontro con il preside. Potrei benissimo dire che quella fu una delle giornate peggiori della mia vita: non solo mi dissero che alla gamba, a causa dell'incidente, servivano ancora due mesi; in aggiunta dovettero anche gessare l'altro piede. Tre dita rotte, così disse il mio medico, il quale ormai ero stufo di vedermi in quell'ospedale. Se solo avesse saputo quanto io desiderassi non vedere più la sua faccia.
I miei genitori erano affranti dalla risposta, e non riuscivano a spiegarsi come mai fossi sempre in qualche casino. Non avevano tuttavia ancora ricevuto quella dannata email. Arrivò proprio quando stavamo uscendo dall'ospedale.
Non diceva molto, parlava solo di una convocazione urgente dal preside. I miei genitori andarono su tutte le furie, pur non sapendo che cosa avessi combinato, chiedendo spiegazioni. Feci ovviamente la vaga e questo non fece che peggiorare la situazione. Mio padre maneggiò in modo così brusco la carrozzina che per poco non caddi. Decisi che non dovevano sapere, sarebbe stato troppo per loro. Mi chiusi nel silenzio, che li fece solo preoccupare ancora di più, fino al giorno della convocazione. Fu strano tornare di nuovo tra le mura della scuola quando ormai era finita da una settimana. L'entrata era deserta, eccetto per una segreteria che ci accolse calorosamente. Mi accompagnarono e insistettero per essere presenti, ma la segreteria fu categorica: potevano entrare solo gli studenti coinvolti nella faccenda.
"Quale faccenda?! Siamo i suoi genitori e non sappiamo nulla!", andò su tutte le furie mio padre. La segreteria rimase ferma nelle sue convinzioni e disse che a tempo debito, così le aveva detto il preside, avrebbero saputo tutto.
"Sono giorni che chiamo questa scuola per sapere qualcosa e ora è tutto quello che ha da dirmi?" La rabbia era salita, mentre mia madre gli prese la mano nell'intento di tranquillizarlo. Lui la spostò e uscì dalla scuola dicendo di aver bisogno di aria. Guardai mia madre, la quale tra me e l'ira di mio padre di quei giorni, non sapeva più che pesci prendere. Mi dispiacque vederla in quella situazione per colpa mia. Ne avevo combinate così tante nel corso della mia vita che le avevo visto quell'espressione di tristezza mista a delusione così tante volte, che ormai pensavo di essermi abituata. Non era vero. Inoltre il pensiero che Apollo l'aveva fatta stare così solo una sola volta nella sua vita non aiutò ad attenuare i sensi di colpa. Quella volta fu alla sua morte. Mi dissi che sentirsi in colpa non sarebbe servito a nulla: il danno era fatto e l'unico modo per risolverlo era affrontarlo.
E fu così che mi ritrovai davanti alla porta del preside con i miei due migliori amici. Loro annuirono. Era la prima volta che li vedevo dalla volta dell'incidente. Avevano entrambi una brutta cera e un viso tirato dall'ansia. Emma era stata costretta a dire tutta la storia ai suoi genitori, i quali la obbligarono ad andare a chiedere scusa a Giada. Inoltre non aveva il permesso di uscire di casa per ancora una settimana. Raul non mi disse della sua situazione. Non lo sentivo nemmeno per messaggio da quella sera, il che mi fece capire che non aveva più a disposizione il cellulare. Non lo disse, in realtà non disse una parola fino all'entrata, ma sapevo che era così. I suoi genitori erano molto severi e se erano veramente venuti a scoprire tutta la storia dell'alcool, allora non doveva aver passato una bella settimana.
Dopo interminabili minuti di silenzio nella sala d'attesa vuota il preside fece la sua presenza sulla porta d'ingresso del suo ufficio. Sembrava uscito da una strana sfilata di moda, quelle in cui non si sa se lo stilista non avesse immaginazione o ne avesse fin troppa. Aveva una camicia nera, con degli strappi all'altezza dei gomiti, che faceva intravedere gran parte del braccio. Vestiva dei pantaloni a zampa d'elefante rossi ciliegia, con dei motivi di strane righe sparse qua e là che dovevano formare una qualche figura. Rimasi qualche secondo di troppo ad osservare quei pantaloni, per capire cosa avrebbero dovuto esattamente raffigurare. Dopo averli osservati attentamente conclusi che o ero scarsamente intelligente o non formavano assolutamente nulla. Il preside si accorse del mio interesse per i suoi pantaloni e come se avesse capito cosa stavo facendo, divertito mi rispose che doveva essere un leone. Dopo la sua affermazione provai di nuovo a trovare il leone, ma l'unica cosa che riuscì a scorgere erano linee su linee. Il silenzio mi fece capire che stavano tutti aspettando me per entrare, quindi mi finsi sorpresa di aver finalmente visto il leone.
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Quella notte dal sapore di fragole
ChickLitArtemide. Una nome bizzarro per una ragazza. Se si pensa poi che abbia un gemello di nome Apollo, si potrebbe tranquillamente supporre di essere finiti in una storia di mitologia greca. Niente affatto. Da sempre Artemide ha fatto del suo nome un van...