12.

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Micheal preoccupato si guardò intorno per cercare suo padre, mentre Elvira in preda allo shock continuava a invocarne il nome. Bérard uscì dalla villa proprio in quell'istante e, risoluto, riempì un bicchiere d'acqua e lo porse alla donna: lo bevve tutto d'un fiato.

«Per l'amor del cielo» disse ancora molto agitata «chiamate il signor Hofer. Dov'è?»

Micheal si avvicinò alla cameriera e soltanto in quel momento si accorse di suo padre avvicinarsi a quella povera donna così impallidita che sembrava aver visto un fantasma.

«Che succede Elvira?» domandò Gustav preoccupato.

La donna non fece in tempo a rispondere che un altro urlo riecheggiò nella villa. Il signor Hofer entrò seguendo le grida che provenivano dall'interno, salì al secondo piano e giunto in cima si fermò pietrificato sugli ultimi scalini: tracce di sangue presagivano la macabra visione di un corpo trascinato fin dentro la stanza matrimoniale degli Hofer.

«Esmeralda, Esmeralda» urlò allora Gustav, ma nessuno rispose.

«Esmeralda, dov'è mia moglie?» urlò molto confuso e spaventato.

Era terrorizzato per via di quello che stava vedendo e, d'istinto, raggiungendo la porta, facendo bene attenzione a non calpestare il sangue ancora fresco, tirò fuori dalla tasca un fazzoletto con il quale tentò, con la mano tremante, di aprirla: risultò chiusa. Prese allora la chiave che aveva nella tasca dei pantaloni e la infilò nella serratura. La chiave non entrò. Dall'altra parte qualcosa la ostruiva. Sembrava che la porta fosse stata chiusa dall'interno.

Tutti gli ospiti entrarono in subbuglio. I cancelli furono immediatamente fatti chiudere. La servitù, con il signor Gustav, si concentrò vicino alla stanza degli Hofer. Soltanto la povera Elvira, la prima a chiamare soccorso, restò in giardino dove fu invitata a sedere per riprendersi dallo shock.

A distanza di una trentina di minuti irruppe a sirene spiegate la polizia. L'ispettore capo, un certo Julian Reiter, seguito dai suoi uomini, entrò in casa e fece ordinare a tutti i presenti di riunirsi nell'atrio, che lui chiamò in tedesco "leerer raum". Con passo appesantito intraprese le scale seguendo la voce di una cameriera che gli indicava di salire. Aveva il fiato corto l'ispettore, così mandò avanti due dei suoi uomini ai quali chiese di far scendere tutti. Agli altri ordinò di impedire a chiunque di lasciare l'abitazione. Aveva tenuto una pattuglia al cancello principale e un'altra era stata mandata a perlustrare il giardino, il bosco e tutte le altre possibili vie di fuga.

Giunto ansimante al secondo piano, l'ispettore Reiter trovò soltanto Gustav Hofer al quale fu chiesto di farsi da parte per permettere l'intervento della polizia.

«È chiusa dall'interno. Ho provato con la mia chiave ma non si apre: sembra bloccata» disse con voce tremolante.

«Ha toccato qualcosa? La maniglia o altro?» domandò Reiter.

«Sì, ho tentato di aprire, ma ho usato questo fazzoletto» rispose Gustav molto scosso.

«Si faccia da parte. Ora la forziamo ed entriamo dentro. Stia lì lei. Voi due», ordinò ai poliziotti che erano con lui, «aprite questa porta.»

I due ci misero un po', ma alla fine venne scassinata ed entrarono nella stanza seguiti dall'ispettore capo. Gustav Hofer rimase fuori.

Julian Reiter fu il primo a uscire e rivolgendosi al signor Hofer domandò: «se la sente di entrare? Purtroppo, non vedrà nulla di piacevole, mi dispiace.»

«Sì, voglio vedere», rispose il padrone di casa.

Il signor Hofer entrò nella stanza a passi lenti, con l'ispettore capo che lo sorreggeva.

La famiglia HoferDove le storie prendono vita. Scoprilo ora