are u sure?

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uscii dal bagno lasciando il ragazzo da solo nella stanza.
ero stata davvero una stronza, ma dopotutto tra me e tom non poteva succedere nulla.
me lo sarei imposta io stessa se il destino non avesse fatto il suo dovere.
ritornai nella mia camera e mi sedetti di fianco a bill, che mi guardava con espressione confusa, come se mi stesse chiedendo cosa fosse successo nella stanza da cui ero appena uscita.
decisi di ignorarlo e di fare finta di niente,
non volevo che bill stesse male a causa mia, era così dolce e gentile.
non volevo nemmeno che tom cadesse tra le mie grinfie, perché solo dio conosce la mia incapacità nello stare in una relazione.
ma sopratutto non volevo cadere nelle grinfie di tom, che così bello com'era, poteva essere definito una calamita umana di donne.
odiavo la situazione in cui mi ero cacciata, anche se in fin dei conti non era ancora successo nulla di sconvolgente.
cercai di scacciare dalla mia mente quei pensieri persuasivi e passammo il resto del pomeriggio a scartare e commentare i bizzarri regali delle fan ai tokio hotel.
non tardarono ad esserci le solite battutine tra me e tom da parte dei ragazzi, che dopo varie occhiatacce da parte di entrambi, decisero definitivamente di smetterla.
fui costretta a cacciarli via dalla finestra quando sentii la porta di ingresso al piano di sotto aprirsi, segno che i nonni erano purtroppo arrivati.
<<ellen, dobbiamo parlare>> sospirò mio nonno quasi disperato.
<<non puoi scappare di casa senza dirci nulla.
sei nostra nipote! dovremmo sapere ciò che fai quando non ci siamo!>> esclamò la nonna.
non risposi.
<<se non sei disposta a stare sotto la nostra custodia vorrà dire che dovremmo rimandarti in brasile>> continuò fermamente la donna.
avevano ragione, forse io ero fatta per stare da sola.
ero sempre stata abituata ad essere sola e in libertà da quando mio padre decise di fottersene di sua figlia e da quando mia madre fece lo stesso creandosi una nuova famiglia.
mi sentivo sotto pressione a vivere con i nonni nonostante non fosse colpa loro.
stavano solamente facendo il loro dovere, proteggermi, e anche con amore.
non era però neanche colpa mia se ero nata in una famiglia del genere e certe cose non mi erano state insegnate.
quando sentii la parola "brasile" i miei occhi si spensero ed illuminarono allo stesso tempo.
io in brasile ci volevo tornare davvero, ma non volevo lasciare juliet, bill, gustav, georg e tom.
berlino era triste in confronto alla mia amata san paolo.
dopotutto era una grande città metropolitana e disponeva dei più grandi luoghi di incontro e di lavoro.
salii nella mia stanza cercando di trattenere le lacrime.
non piangevo mai, solamente quando ero da sola.
ma non piansi nemmeno questa volta, ero troppo immersa nei miei pensieri.
dovevo prendere una decisione importante.
sentii improvvisamente qualcosa battere alla finestra, e solo dopo essermi alzata a controllare non rischiai per poco di rimanere ceca a causa di una pietra stata lanciata da sotto.
<<che cazzo ci fai qui?>> chiesi sorpresa e nervosa allo stesso tempo.
<<fammi salire>>
<<no tom, non puoi presentarti sotto la mia finestra alle 22 di sera e pretendere di entrare come se nulla fosse>> contrabattei alla presunzione del ragazzo.
feci per chiudere la finestra ma il continuo e fastidioso rumore delle pietre sbattere sul vetro  mi fece alzare più nervosa di prima, e così lo feci entrare.
<<dimmi>> incrociai le braccia al petto.
<<sono venuto per parlarti>> affermò.
feci cenno di continuare con la testa, sperando che non fosse venuto qui per parlarmi di quello che stava succedendo tra noi.
<<voglio capire se quello che è successo ti è piaciuto o no>> disse.
non rimasi per niente sorpresa da quella domanda, se non per la sua insicurezza nel pronunciarla.
<<ovvio che mi è piaciuto...>> dissi sinceramente.
<<allora perché ti allontani da me?>> chiese avvicinandosi.
<<non voglio ferire bill, e non voglio nemmeno essere una delle tue puttane>>
<<ah quindi è così che mi giudichi? come un puttaniere?>> alzò il tono di voce.
<<come altro dovrei giudicarti?! la prima volta che ci siamo visti avevi ancora la cintura slacciata!>> lo sovrastai con la mia voce.
<<voglio stare da sola tom>> confessai sedendomi sul letto.
<<allora perché finisci sempre da me?>> chiese facendomi arrossire.
era davvero quello che volevo? stare da sola?
perché arrossivo ad ogni cosa che diceva?
perché se ripensavo alle sue mani sul mio corpo mi venivano le farfalle nello stomaco?
rimasi come una cogliona a fissare il vuoto, non accorgendomi della stretta vicinanza tra me e il ragazzo.
<<non ci sto capendo più niente di questa storia>> dissi fissandolo negli occhi.
<<allora non capiamone più niente insieme>> disse mantenendo il contatto visivo.
come facevo a resistere a quello sguardo?
lo sentii sospirare e avvicinarsi sempre di più alle mie labbra.
per un momento chiusi gli occhi e lasciai andare via la mia parte razionale del cervello.
sarebbe stata la prima e l'ultima volta che una cosa del genere sarebbe successa.
mi avvicinai a lui poggiandogli una mano sulla guancia e la accarezzai delicatamente.
notai come la sua pelle fosse sensibile, dato che a quel contatto si arrossò in pochi secondi.
il suo sguardo era ormai diventato irresistibile, con le sue pupille ormai dilatate.
dovevano esserlo anche le mie, perché sentivo una specie di connessione tra entrambi.
azzerammo lentamente le distanze, fino a far sfiorare le nostre labbra.
ci risvegliammo da quel momento di estasi quando sentimmo improvvisamente bussare alla porta.
il ragazzo alzò gli occhi al cielo e io gli feci cenno di andarsene subito.
non appena sparii del tutto dalla visuale della finestra aprii la porta a colui che si rivelò essere mio nonno.
<<che c'è>> sospirai sdraiandomi nel mio letto.
<<ascolta, ci dispiace per aver detto quelle cose...capisco che possa essere difficile per te vivere qui>>
annuii lentamente.
<<se ritornare in brasile è quello che vuoi, allora->>
<<non è quello che voglio nonno>> lo interruppi.
<<io sto bene qui, e apprezzo il fatto che voi vi preoccupiate per me, ma desidero un po' di libertà>> continuai abbassando il tono di voce.
<<d'accordo...hai quasi 17 anni, sai badare a te stessa. potrai uscire quando vuoi, a patto che tu non faccia troppo tardi e che ce lo comunichi>> disse cercando di farsi perdonare.
<<grazie>> ammiccai un sorriso.
l'uomo mi accarezzo la testa e posò un bacio su di essa, per poi alzarsi e uscire dalla porta con calma.
ero felice che qualcuno potesse comprendermi.
passare dal vivere in una casa di campagna in un piccolo quartiere di san paolo ad una grande villa nel centro di berlino con persone del tutto differenti non era per niente facile.
spensi la lampadina poggiata sul comodino e chiusi gli occhi.
era stata una giornata intensa, erano successe troppe cose in una sola volta.
mi ero imposta di non avere più nulla con tom e all'improvviso neanche 15 minuti fa stavamo per baciarci.
non sapevo cosa fare.
forse una dormita mi avrebbe schiarito le idee.

something going on||tom kaulitz Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora