12, Il tavolo degli sfigati

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Venerdì 24 dicembre 2027, ore 13:53, Lewes, East Sussex, St. Mary Jane, mensa scolastica al piano -1.

«Vuoi vedere la mia cicatrice?»

Harry si disincantò al richiamo di quella vocina flautata e importuna. Staccò a fatica gli occhi dalla vetrinetta illuminata, nido di prelibatezze caserecce e invitanti, e si affrettò a rimettere Jaime in riga: «Kay, non disturbare i ragazzi».

Uno studente, un tipetto dai lineamenti affusolati e gli occhi furbi, si abbassò a pizzicare una guancia del bambino e, sorridendo, se la svignò a cercare un tavolo.

Jaime si lagnò: «Non lo stavo disturbando. Aveva una cicatrice sulla fronte, volevo mostrargli la mia».

«Avere una cicatrice non fa di te il membro di una società esclusiva o roba del genere. E per mostrargli la tua avresti dovuto toglierti la giacca e la maglia».

«E allora?»

«E allora avresti preso freddo».

«E allora?»

«Ti saresti ammalato, e tuo padre avrebbe sgridato me per questo». Sospirò, saldando la presa sui manici del vassoio. «Per l'amor del cielo, scegli: pasta o riso?»

«Voglio la torta di mele» dichiarò il piccolo.

«D'accordo. Prenderemo la torta di mele, ma potrai mangiarla solo quando avrai finito il resto».

Jaime arricciò la bocca su un lato della faccia e si mise a braccia conserte, osservando con attenzione le pietanze protette dallo scudo di vetro. Dietro di lui si era formata una lunga, tortuosa coda umana di adolescenti spazientiti che attendevano il proprio turno, studenti che insieme alle bestemmie vomitavano i versi degli Inni al Signore che erano stati costretti a recitare controvoglia.

E ora gli toccava assistere pure a quello. Al mostriciattolo alto poco più di un metro che se ne stava impalato a non prendere una decisione, se preferire il riso o la pasta, e che fermava chiunque gli capitasse a tiro per sapere se volesse dare una sbirciata alla sua cicatrice.

Per Jaime, la cicatrice tramandatagli dall'intervento all'appendice era una sorta di trofeo, una medaglia di guerra da sfoggiare con orgoglio. Quella linea obliqua, rossastra, ancora fresca di bisturi, testimoniava che fosse un soldato, un valoroso; era lo stigma del suo coraggio. E pretendeva che tutti ne prendessero atto.

«Pasta» annunciò dopo minuti che parvero durare un'eternità e mezzo. Un sollievo intriso di impazienza e volgarità si sprigionò dal serpente di scolareschi in coda.

Harry ordinò due porzioni di pasta al pomodoro e una di polpettone, le fette di frolla alle mele, e finalmente i due poterono risalire le scale che conducevano al piano terra.

La tessera sospesa al collo da un laccio di nylon gli ciondolò sul petto mentre s'innalzava cauto lungo la gradinata. Il cartellino recava stampata una sua foto e il nominativo; un lasciapassare temporaneo che avrebbe dovuto restituire al termine della gita, ma che gli era indispensabile per vagare liberamente all'interno dell'istituto.

Spinse la porta di vetro con la spalla e inalò la folata di vento che si tuffò a pettinargli i capelli. Nell'imbattersi in quell'immagine suggestiva, soleggiata, ingrigita dal malinconico filtro dell'inverno, si sentì pieno di euforia, così tanto da temere potesse traboccargli dal naso come uno starnuto.

Il tempo lì dentro si era cristallizzato. Il St. Mary Jane era un fiocco di neve incastrato in una placca di resina, determinato a non sfiorire mai, impassibile al perentorio stagionare del cosmo.

Erano trascorsi cinque anni dall'ultima volta. Cinque anni che non poggiava un piede su quello stesso terreno, che non respirava l'anidride carbonica dispensata dalle foglie dei cespugli nella notte. Calpestò l'erba con la suola. Ma non era il medesimo prato di cinque anni prima. E anche l'aria, pure quell'aria che rubava all'atmosfera era diversa. Si era rinnovata, reinventata, come lui. Come Louis, come Gemma, e tutti gli amici seduti alla panchina ad aspettarlo.

Zephyrus Against Raising Autumn [STMJ4 - Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora