𝟏𝟐. 𝐖𝐢𝐭𝐡 𝐀 𝐋𝐢𝐭𝐭𝐥𝐞 𝐇𝐞𝐥𝐩 𝐅𝐫𝐨𝐦 𝐌𝐲 𝐅𝐫𝐢𝐞𝐧𝐝𝐬

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What do I do when my love is away?
Does it worry you to be alone?
How do I feel by the end of the day?
Are you sad because you're on your own?
No, I get by with a little help from my friends

1

Con le spalle premute contro la parete di un palazzo storico, Andrea stava provando a concentrarsi sulle labbra di quel ragazzo sopra le sue piuttosto che sulla certezza che la maglietta le si stesse riempiendo di polvere e di chissà quali altre schifezze.

Arrivato alla base del suo collo, la leccò. Lei si accigliò e subito le scappò una risata, un po' per la leccata, un po' per la sua stessa reazione. La divertiva fingere di guardarsi dall'esterno in momenti come quello, le trasmetteva un senso di potere che adorava. Ma si stava annoiando. Il ragazzo, amico di amici di università, era simpatico ma non ci sapeva fare. A dire la verità aveva cominciato lei, ma solo perché Giacomo (un nome altrettanto banale, quasi borghese) si era lanciato in una dissertazione sulla realtà come sequenza di stringhe informatiche e Andrea aveva sperato che appartarsi con lui le sarebbe valso qualcosa di più di un discorso sui massimi sistemi. Quindi gli si era avvicinata, fingendo di trovare interessante il taglio del suo zigomo. Giacomo, che era filosofo ma non completamente stupido, aveva colto l'antifona e si era chinato su di lei - odiava quando lo facevano, ma era un'accortezza quantomeno utile per baciarla.

Eppure si stava annoiando. Un tempo non avrebbe esitato a prendere in mano la situazione, facendo in modo che con le spalle al muro ci stesse lui: ai maschi piaceva questo genere di mosse, e Andrea era eccitata dalla loro eccitazione. Ora però non ne aveva voglia. Era stanca, dormiva poco. Non era più il dolore fisico a tormentarla, ma gli incubi, e quando si svegliava alle prime ore del mattino non riusciva più a prendere sonno. Aveva sperato che il lavoro in negozio segnasse il punto di partenza di una nuova, sfavillante era, e che l'Andrea finalmente libera dai lividi e dalle abrasioni sarebbe stata in grado di dimenticare e di andare avanti con la sua vita. Invece si era trovata a fluttuare in un costante stato di allerta. Perfino dentro casa non si sentiva al sicuro: sbirciava dietro a ogni angolo per essere sicura che nessuno le stesse per tendere un agguato. Non era mai abbastanza.

"Allora?", ansimò Giacomo. Aveva gli occhi di uno che stesse aspettando di essere premiato.

"Sì, bravo", lo liquidò Andrea e distrattamente gli afferrò il cavallo dei pantaloni. Lui sussultò e si appoggiò a lei, premendo il gonfiore contro quella che voleva essere il suo inguine e che invece era la sua coscia. Andrea fece un sorrisetto, ma con gli occhi stava guardando oltre la sua spalla. Qualcosa di simile all'istinto li aveva entrambi spinti a imboccare una viuzza del Quadrilatero e a fermarsi in un cantuccio tra un portone e la vetrina del pescivendolo, ma ciò non gli aveva evitato il flusso di persone. Era una delle ultime sere di giugno, uno dei periodi più difficili in cui rispettare il coprifuoco: la dolcezza primaverile della città era esplosa in estate e ora si mostrava al mondo, nuda e grondante di calore.

Nessuno dei passanti li guardò mai direttamente, ma Andrea si sentiva inquieta. Non temeva la Polizia: era raro che passassero prima di mezzanotte, o che intervenissero per altro che non fosse bisticci degenerati in risse o senzatetto accucciati sotto le tettoie dei negozi. È che odiava sentirsi esposta in quel modo. Erano passati due mesi dalla terribile serata e le ragioni dietro l'accaduto si stavano facendo sempre più confuse, fino a lasciare spazio solo alla paura. Non poteva essere sicura di chi fosse in giro per le strade, di chi la conoscesse, di chi sapesse. Si scostò da Giacomo, invasa da un tremore improvviso che lui scambiò per freddo.

"Vuoi venire da me?", chiese, senza fronzoli.

"Mmh."

Giacomo apparve immediatamente deluso. Forse aveva scambiato il silenzio di prima per un'estasi dei sensi. Andrea si intenerì un po' mentre lui provava a recuperare.

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