𝟏. 𝐅𝐚𝐢𝐭𝐡

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Catch me if I fall, I'm losing hold
I just can't carry on this way
And every time I turn away
I lose another blind game
The idea of perfection holds me
Suddenly, I see you change
Everything at once the same
But the mountain never moves

1

"–nei secoli dei secoli."

"Amen."

Diletta sentì la parola rotolarle sopra la lingua e di colpo tornò presente a se stessa. Si guardò intorno spaesata, per paura di essersi persa qualcosa. Non era così: si trovava ancora nella Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, ad Ancona, in piedi accanto ai suoi genitori. Suo padre, gli occhiali in bilico sulla punta del naso, mormorava il Padre Nostro con lo sguardo fisso sul sacerdote; sua madre era una statua di sale, immobile ma precaria. Diletta notò il tremolio delle sue labbra e gli occhi umidi, così come le mani strette tra di loro in una morsa serrata per non farle sussultare.

Tornò a guardare davanti a sé, concentrandosi sul copione da recitare. Una vita di domeniche passate a messa non era di certo una garanzia di santità, ma sicuramente aiutava a rispondere in perfetta sincronia con gli altri alle invocazioni del sacerdote, anche quando quelle invocazioni riguardavano la propria nonna, anche quando quella giaceva in una bara a pochi metri da lei. Nel ricordarlo, Diletta sentì salire improvvisamente la nausea, seguita da quell'asfissia che conosceva bene, e dovette costringersi a respirare, prima dentro e poi fuori, così come le aveva ripetuto il medico e poi la nonna stessa, tanti anni prima...

(respira, Etta, dentro e fuori)

Dentro e fuori, fuori e dentro. Nessuno sembrava essersi accorto di niente, se ne assicurò mentre aveva inizio il rito della Comunione. Ma quando venne l'ora di mettersi in fila e poi di passare accanto alla bara, non poté non abbassare gli occhi sul volto di nonna Erminia, la Minia della Frutta, la chiamavano, perché teneva un banchetto ortofrutticolo al mercato.

Perché l'hai fatto? Stupida!, le gridò una vocina, ma lo stomaco fece solo un saltello prima di ritornare al suo posto.

Questa non è lei, pensò, e l'idea le fu di conforto. Quella non era la Minia della Frutta, la signora robusta con gli abiti senza maniche e i sandali sporchi di terra, non era Erminia, la donna che aveva sposato Giuseppe Aureliani detto Peppino e che aveva dato i natali a Miriana Aureliani nonché sua madre, ma soprattutto quella non era sua nonna, la persona che la portava al mare quando sua madre lavorava e suo padre aveva il turno allo studio medico, quella che le aveva insegnato a fare i cruciverba e mostrato i colori delle bocche di leone nell'orto.

Le restò comunque in bocca quel retrogusto che aveva percepito dal suo ritorno ad Ancona, un sentore di fine che si mescolava all'odore del mare e a quello delle raffinerie. Non riuscì a scacciarlo nemmeno quando uscirono dal cimitero, e aveva l'impressione che non se ne sarebbe andato in fretta.

Tornarono a casa in silenzio, accompagnati solo dal rumore delle ruote sull'asfalto e dal gracchiare incostante della radio, all'improvviso disturbata da interferenze. Non passò molto prima che suo padre la spegnesse con un gesto infastidito. L'unica parte di lui che Diletta vedeva dal sedile posteriore erano le mani strette sul volante. Di sua madre, invece, riusciva a distinguere il profilo: non stava piangendo, non più, ma teneva il naso quasi schiacciato contro il finestrino, come se non volesse farsi vedere da nessuno all'interno dell'auto. Diletta stette a osservarla fino a quando il rombo ovattato del motore e le prime gocce di pioggia non si fusero insieme nelle sue orecchie. Chiuse gli occhi per un minuto o due e sognò di essere all'orto dei nonni, la testa che scottava sotto il Sole di luglio.

2

Se avesse dovuto indicare il momento in cui la sua vita si era capovolta definitivamente, avrebbe puntato il dito contro il pomeriggio di quel martedì di dicembre.

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