𝟏𝟑. 𝐆𝐫𝐞𝐞𝐧 𝐑𝐢𝐯𝐞𝐫

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I can hear the bullfrog callin' me
Wonder if my rope's still hangin' to the tree
Love to kick my feet way down the shallow water
Shoo fly, dragon fly, get back to your mother
Pick up a flat rock, skip it across Green River


1

Diletta fece il giro della stanza una, due volte. Osservò tutto da vicino, senza parlare, come se si trovasse in quel monolocale per un'ispezione e non perché Andrea l'aveva invitata a entrare. La stava ancora guardando, Diletta lo sapeva anche se le stava dando le spalle. Quello sguardo la rendeva troppo consapevole di sé. Aveva creduto che passato il primo imbarazzo sarebbe stato tutto in discesa, invece aveva i nervi a fior di pelle. Chissà Andrea, a cosa stava pensando? Come la trovava? Stanca, pallida, sciupata? Forse puzzava? Tentò di accertarsene con discrezione mentre stringeva la coda di cavallo.

"Ti piacciono?", le chiese Andrea, seduta sul bracciolo del divano lì vicino.

Lei impiegò un secondo per capire a cosa si stesse riferendo. Su una scaffalatura di metallo che male si accordava con il resto dell'arredamento - se così si poteva definire un tavolo, qualche sedia sgangherata, quel divano polveroso -, era allineata una serie di fumetti della vecchia Italia: Tex, Lupo Alberto, Diabolik, alcune edizioni speciali di Topolino, altri titoli che non aveva mai sentito nominare.

Li passò in rassegna con la punta dell'indice, ne estrasse un paio e li rimise al loro posto, si accovacciò sui talloni per leggere la costa di un volume di Andrea Pazienza che ricordava di aver visto in biblioteca.

"Ne conosco solo alcuni. Da bambina leggevo Topolino."

"Li puoi prendere, erano del vecchio proprietario. Ora sono nostri."

Diletta volse l'attenzione su di lei e notò che la porta di vetro smerigliato e l'unica finestra presente lasciavano entrare molta più luce di quanto Andrea le avesse annunciato. La stanza era immersa in una penombra aranciata, polverosa e immobile, che le ricordava i pomeriggi da nonna. Si riscosse.

"In che senso nostri?"

"Miei e dei miei soci in affari", disse Andrea, seria.

Diletta non rispose subito. Prese una sedia appoggiata al tavolo, la ruotò di centottanta gradi e si sedette di fronte a lei. "Raccontami tutto. A partire da questo posto. Quando...?"

"No, no, aspetta. Non avrebbe senso. Devo iniziare da molto prima."

"Quante cose sono successe in questi mesi?"

"Quanto tempo hai?"

Ci pensò. Se considerava la visita alla Bianco Editore che aveva promesso a suo padre, la bottiglia di vino che avrebbe dovuto scegliere e comprare prima di tornare a casa, il fatto che in via Paolo Fabbri 22 si cominciava a cucinare alle sette e mezza, un minuto al massimo. Altrimenti, tutto il tempo del mondo.

Optò per la seconda opzione.

"Bene", disse Andrea. "Rimani a cena. Chiama la tua coinquilina, dille di suonare al negozio dell'usato di via Torleone."

"Sei sicura?"

"Sicurissima. Tu ti fidi di Grace, no?"

"Certo."

"Allora io mi fido di lei. E comunque tra poco questo posto si trasformerà in un bordello."

"È una metafora, immagino."

Andrea fece spallucce e si sistemò con noncuranza una ciocca di capelli che le era finita sugli occhi. "Vedi tu. Rimane il fatto che mi casa es tu casa. Se vuoi", aggiunse, vedendo la sua espressione. "Ma prima fammi spiegare."

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