CAPITOLO 32 - Il volto dello Sconosciuto

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(Saera)

La prima volta che Saera aveva visto il volto dello Sconosciuto era troppo piccola per riuscire a ricordarlo.
Aveva solo tre anni e viveva ancora tra le alte mura del castello di Runestone, protetta dal freddo della Valle e dalla brezza gelida che proveniva dal Mare Stretto: quel giorno il cielo era grigio ed il sole filtrava appena attraverso le fitte nuvole, era uno dei pomeriggi più caldi della stagione e la sua balia aveva deciso di portarla a giocare nel cortile interno della fortezza, in mezzo ai cespugli di erbe aromatiche le cui esalazioni, aveva suggerito il Maestro, avrebbero giovato alla salute della piccola principessa. Saera era seduta a terra e stringeva tra le dita un carboncino scuro con il quale scarabocchiava su un foglio di carta, cercando di riprodurre a modo suo le aquile che vedeva spesso volteggiare tra le torri del castello di Runestone.
Sua madre, Rhea Royce, e suo zio, Ser Gerold, erano partiti quella mattina all'alba per una battuta di caccia e non sarebbero certamente tornati prima del tramonto, lasciando così la bambina alle cure esclusive delle domestiche e della sua fidata balia. Non era la prima volta che succedeva, la giovane Lady di Runestone non passava molto tempo in compagnia della figlia e mai una sola volta nel corso di quei tre anni le aveva rivolto più che una manciata di sguardi afflitti e fredde carezze: nemmeno nel giorno della sua nascita, mormorava chi aveva assistito al parto, la donna aveva stretto la neonata tra le sue braccia, era bastata un'occhiata al ciuffo di capelli argentati sulla sua testa per generare in lei un profondo senso di distacco che non si era mai risanato e da allora nessuno l'aveva mai vista lasciarsi andare in uno slancio d'affetto nei confronti della bambina.
Assomiglia a suo padre. Era ciò che diceva chiunque avesse modo di incrociare lo sguardo di Saera che, al tempo, era ancora considerata dalla Corona come una bastarda della Valle.
Una Stone, non una Targaryen.
Nessuno credeva a quelle calunnie e più Saera cresceva e più diventava evidente la somiglianza dei suoi tratti con quelli del Principe Canaglia: un crudele scherzo del destino per la povera Rhea Royce che, sebbene fosse in qualche modo riuscita a liberarsi dalla presenza dell'odiato marito, ora era condannata a vederlo ogni giorno nel volto della figlia.
Ma, se la sua stessa madre preferiva tenerla a distanza, la bellezza di quella bambina, la sua vivace intelligenza e la tenerezza che suscitava la sua salute cagionevole l'avevano resa in poco tempo il piccolo gioiello di Runestone, facendo orbitare attorno a lei le attenzioni di tutte le dame della corte e anche quelle di Ser Gerold Royce. L'uomo, infatti, non riusciva a nascondere la predilezione che aveva per la più piccola delle sue nipoti e si comportava nei suoi confronti più come un padre che come uno zio, per quanto goffo ed inesperto fosse: intagliava per lei dei piccoli giocattoli di legno, la portava nelle stalle per dare da mangiare ai cavalli e la faceva giocare con i cuccioli dei suoi cani da caccia, le aveva insegnato tutti i nomi dei grandi rapaci della Valle e se la portava sulle spalle in giro per il castello di Runestone, mostrandole tutti i trofei di caccia per imparare a riconoscerli.
"Questa sera mangeremo la lepre?" Chiese Saera alla sua balia, continuando a disegnare senza mai alzare lo sguardo dal foglio.
"Se gli Dei saranno generosi mangeremo del cervo." Replicò la donna, interrompendo per qualche istante il suo lavoro di ricamo per allungare una mano nella direzione della bambina e scostarle una ciocca di capelli lontano dal viso "E' per prendere un cervo che tua madre e Ser Gerold sono partiti con quel grosso carro, questa mattina."
"Un cervo è più grande di una lepre?"
"Molto più grande." Affermò la balia, sorridendole con dolcezza "Grande quasi quanto un cavallo e con delle grandi corna, intricate come dei rami, uguali a quelle che sono appese nella Sala da Pranzo."
Ma non fu con un cervo che, quel pomeriggio, Ser Gerold tornò dalla caccia e su quel grosso carro di legno non venne trasportata alcuna delle loro solite prede: era Lady Rhea Royce a giacere supina sulle sue assi, il corpo inerme e in balia di ogni movimento del calesse su cui l'avevano adagiato; c'era sangue ovunque, il viso della donna ne era ricoperto e a stento Saera riuscì a riconoscere la madre in mezzo a quel marasma di capelli, sangue ed ossa rotte.
Solo i suoi occhi azzurri erano rimasti tali e quali a come la bambina li ricordava, spalancati e rivolti verso il cielo mentre la donna boccheggiava, respirando il suo stesso sangue nel tentativo di rimanere in vita nonostante il collo torto e la testa aperta come un guscio d'uovo.
Saera si sentì strattonare dalla propria balia che, urlando, la obbligò a distogliere lo sguardo da quell'orrida visione e la trascinò dentro le mura del castello, al sicuro, mentre il caos si impadroniva di Runestone.
Saera non aveva idea di come comportarsi, era troppo piccola per comprendere quale fosse la realtà della morte e nessuno sapeva come spiegarglielo. Dopotutto, come si racconta ad una bambina di tre anni che sua madre è stata assassinata?
Allora la bambina era rimasta in attesa nelle proprie stanze, aveva consumato la sua cena senza fare alcun capriccio e non aveva insistito con la propria balia per avere una spiegazione; Saera percepiva il fermento intorno a sé, sentiva le persone piangere e aveva riconosciuto la tristezza nei volti di chi la circondava, aveva capito che sua madre stava molto male ma nella sua ingenuità credeva che non fosse più grave di quando capitava a lei di essere malata: anche in quei momenti tutti erano tristi e agitati, ma quando la principessa si sentiva meglio tutto ritornava alla normalità.
Non aveva motivo di pensare che questa volta sarebbe stato diverso.
Lady Rhea era morta poche ore dopo il suo ritorno nel castello di Runestone e la responsabilità della sua Casata ricadde sulle spalle di suo cugino Gerold, così come il peso di comunicare la notizia alla piccola Saera. L'uomo raggiunse le stanze della bambina quella sera stessa e la trovò ancora impegnata con i suoi disegni, distratta da una melodia che continuava a canticchiare tra sé e sè.
"Come stai, piccola?" Le aveva chiesto il cavaliere, gli occhi stanchi e la voce ancora rotta dal pianto "Hai già cenato?"
Saera aveva annuito "Alla fine abbiamo mangiato la lepre."
"Vorrei... vorrei parlare con te di quello che è successo oggi." Ser Gerold aveva dovuto schiarirsi la gola per trovare la forza di continuare e poi, incerto, si era seduto accanto a lei sotto lo sguardo vigile della balia "Riguarda la tua mamma."
Le immagini di quel pomeriggio, il volto sfigurato dal sangue di Rhea Royce, erano tornate immediatamente alla mente della bambina, obbligandola a stringere le labbra e a scuotere piano la testa per allontanarle dai suoi pensieri "Avrà dovuto farsi un bel bagno, era tutta sporca quando è arrivata."
"Oh, tesoro..." Mugolò la donna che era con loro, portandosi una mano al viso e alzando gli occhi verso il soffitto nella speranza di ricacciare indietro le lacrime. Ser Gerold, al suo fianco, espirò profondamente e le mise una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione e convincendola a rialzare lo sguardo dal foglio di carta "Saera, la tua ma... la mamma non tornerà più."
La principessa guardò l'uomo negli occhi per qualche istante senza capire davvero la ragione delle sue lacrime ma sentendo crescere dentro di sé la stessa tristezza, un dolore che non riusciva a comprendere e che non esplose mai in un pianto; allora Saera arricciò le labbra, sollevò appena le spalle e tornò ad abbassare gli occhi sui suoi disegni mentre mormorava un sottile: "Lo sapevo."
"Perché lo dici, piccola?"
"Perché non mi voleva bene." Continuò la bambina, seria, prima di stringere le sue piccole dita attorno al carboncino "E' per questo che anche lei è andata via."
Ser Gerold, spiazzato dalla franchezza di quelle parole, non riuscì a replicare in alcun modo e non poté fare a meno di far cadere il proprio sguardo sui fogli di carta su cui Saera continuava a lavorare, realizzando solo in quel momento quale fosse il soggetto che la bambina aveva scelto di riprodurre: un cavallo, un calesse e l'inquietante scarabocchio del corpo di Rhea Royce riverso su di esso.

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