CAPITOLO 3

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Xilya

«Signorina...signorina siamo arrivati».
Sento una mano scuotermi, apro con fatica gli occhi sentendo le palpebre incollate e mi ritrovo davanti David, il mio autista. Mi guardo intorno e mi rendo conto che lo scenario è cambiato da quando ho chiuso le palpebre.

L'autostrada e i palazzi altissimi sono stati sostituiti da un sentiero costeggiato da colline verdeggianti. Mi porto una mano davanti agli occhi proteggendoli dal sole. Tastando il sedile cerco la mia borsetta di Chanel e tiro fuori i miei occhiali da sole firmati Dior.

Esco dalla macchina e mi stiracchio un attimo sentendomi intorpidita.
«Forze non ho scelto le scarpe più appropriate per questo posto», dico quando noto il terreno dissestato e fangoso.
Abbasso lo sguardo sulle mie dècolletè preferite.

«Perdonatemi», sussurro loro.
Quando David ha tirato fuori tutte le mie valigie iniziamo a dirigerci...non so dove in effetti.
«Dove stiamo andando?»
«La clinica trovata dalla signorina Kate non è raggiungibile con la macchina, perciò dovremo andare a piedi», mi risponde David mentre cerca di evitare una pozzanghera.

Per tutto il tragitto rimaniamo in silenzio, io osservo l'ambiente circostante e devo dire che questo posto mi trasmette serenità. Sembra un film della Disney, in sottofondo c'è il cinguettio degli uccelli, se respiro a pieni polmoni avverto un profumo buonissimo di erba bagnata e la dolcezza di qualche fiore.

Siamo in una pianura, ovunque mi giri riesco a vedere solo colline e alberi.
«Arrivarci sarà più difficile del previsto», constato.
Riporto lo sguardo davanti a me e capisco cosa intenda David.
Stiamo scherzando?
«Non c'è un'altra strada?» domando speranzosa fissando la salita ripida che si staglia di fronte.
David scuote la testa e un senso di sconforto e ansia si impossessa di me. Faccio un respiro profondo, stringo nelle mani le varie valigie che sto portando e mi incammino. Prima ci muoviamo prima arriviamo.

Venti minuti dopo, sudati e con le gambe a pezzi arriviamo davanti alla clinica.
Non so per quale grazia divina ma ho ancora tutte e due le scarpe con i tacchi integri.
Appena ci fermiamo per riprendere fiato una figura esce dall'edificio e ci viene incontro di corsa.
«Buongiorno, le deve essere Xilya Kelly. Piacere, io mi chiamo Joy, e sono l'assistente del dottore che la seguirà», sfoggia un sorriso che le va da un orecchio all'altro.
«Salve», anche io cerco di ricambiare il sorriso.

«Ha bisogno di aiuto con le valigie?»
«No grazie mille. Dovrei farcela», guardo David che annuisce poco convinto mentre fissa le sette valigie che ho portato.
Magari potrei aver esagerato ma non sapendo quanto sarei dovuta rimanere, ho preferito portare più cose del necessario.
«Allora mi segua, la porto nella sua stanza».
Riprendo le due valigie e lo zainetto mentre David penserà a quelle rimanenti, e la seguo.
La clinica sarà anche dispersa nel nulla ma è molto moderna. Però non è fredda, ha qualcosa di accogliente. Sarà il fatto che ogni persona che incontri ti sorride calorosamente. Mi piace che la struttura sia lontana da occhi indiscreti, cinque mesi avevo già provato ad andare in una struttura ma, dopo mezza giornata mi ero ritrovata i paparazzi ad aspettarmi nella hall.
Qui non dovrò preoccuparmi di foto a tradimento o di essere assalita da una mandria di giornalisti che non aspettano altro di uno bello scoop succoso sulle celebrità.

«Ecco qui, stanza 302», Joy apre la porta e un odore di lenzuola pulite e disinfettante mi investe.
La stanza non è molto grande ma, è luminosa. Appena si entra si può ammirare il paesaggio dalle finestre poste sul lato opposto della porta. A sinistra c'è un letto da un piazza e mezza con delle lenzuola a fantasia floreale. Mi ricordano quelle di mia nonna. A sinistra c'è un armadio non abbastanza capiente per contenere tutti i vestiti che ho portato, in qualche modo farò. Accanto ad esso c'è una porta che presumo sia il bagno.

«Ora la lascio sola, così può sistemare le sue cose. Poi più tardi verrà il dottor Wylatt per conoscerla», detto ciò esce e si chiude la porta alle spalle. Io mi siedo sul letto, tasto il letto con le mani e mi riprometto di chiedere dove lo hanno comprato. Di sicuro è più comodo questo di quello che ho comprato io per mille dollari.
Soldi sprecati.

Se ci ripenso, all'inizio della mia carriera da modelli ne ho spesi veramente tanti e in cose inutili. Quando avevo iniziato a guadagnare da sola ero presa dall'entusiasmo e ho sperperato il mio denaro. Fortuna che poi mi sono data una regolata. Se così si può dire quando spendi solo per droga e alcol.

Dato che la dormita in macchina mi ha solo rimbambita ancor di più, decido di riposare un pò prima di sistemarmi.
Qualcuno bussa alla porta e la figura di David appare dietro la porta.
«Posso lasciare qui le valigie?», dice indicando un punto qualsiasi della stanza.
«Si tranquillo, posa tutto e vai, a New York avranno bisogno di te», avverto una sensazione appena pronuncio queste parole.

«In realtà la signorina Kate mi ha detto che sarei dovuto rimanere con lei per aiutarla se avesse avuto bisogno di aiuto».
Sorrido leggermente e ringrazio mentalmente Kate. Lei e David sono gli unici che mi sono rimasti accanto, nonostante tutte le cazzate che ho combinato. Nonostante delle volte li trattassi come non meritavano. Però so che mi vogliono bene e...anche io a loro. Sapere di non dover affrontare questa cosa da sola, mi è di conforto.
«Starò in un appartamento giù in paese. Ora vado così si riposa».

E sono di nuovo sola.
Prendo la valigia dove ho messo le cose per la notte e prendo il mio pigiama in seta. Me lo infilo velocemente e mi infilo sotto le coperte.

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