CAPITOLO 7

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Aaron

Un suono netto e acuto mi fa svegliare di soprassalto. Appena apro gli occhi l'unico fascio di luce che filtra dalle tende mi acceca.
«Cazzo».
Menomale che il buongiorno si vede dal mattino.

Cerco di prendere coscienza di chi sono e dove sono quando quel suono assordante riprende a sfracassarmi il cervello.
Faccio un lamento a mezza bocca e mi metto seduto, mentre con i piedi cerco le ciabatte.
Chiunque stia suonando così imperterrito quel citofono di domenica mattina se ne pentirà.

Sia mia madre che mio padre lavorano almeno un giorno al weekend, e oggi entrambi hanno il turno.
Quindi sono solo in casa e costretto ad alzarmi per cacciare la persona molesta alla porta.
Con gli occhi ancora incollati per il sonno, cerco a tentoni di uscire dalla mia stanza. Arrivato in salotto tastando la parete per cercare l'interruttore della luce. Intanto il citofono non ha mai smesso di suonare. Quando finalmente riesco ad accendere la luce, lentamente ma allo stesso tempo furente vado ad aprire alla porta, già pronto a inveire contro chi mi abbia rovinato il risveglio. Ma appena apro mi ritrovo davanti Jessy, la nostra vicina impicciona.

Non posso urlare contro una nonnina di ottant'anni che in fondo so che mi vuole bene.
Faccio dei respiri profondi facendo passare il nervosismo.
«Buongiorno Aaron, ti ho svegliato?»
Sono le 7:00 di domenica mattina, secondo te?
«No Jessy, non preoccuparti. Che succede? L'anca ti dà ancora problemi?»
Quasi due mesi fa è caduta dalle scale e per fortuna ha riscontrato solo una micro frattura all'anca ma che, data l'età giustamente le dava molto fastidio. Almeno una volta al giorno si presentava a casa nostra lamentandosi del dolore e chiedendo di essere portata all'ospedale.
Alla fine siamo andati dal medico del paese che le ha prescritto degli antinfiammatori, e sembrava che avessero funzionato.

«Il dottor Jackson è stato il mio salvatore, le medicine che mi ha dato sono fenomenali. Non sento più niente, mi sembra di essere tornata ai miei vent'anni», dice allegramente entrando in casa senza che io l'abbia invitata.
Quando si dice "fa come se fossi a casa tua".
«Ne sono contento, allora cosa succede?»
Chiudo la porta e quando riporto lo sguardo su di lei, la vedo posare un pacchetto abbastanza grande sul tavolo della cucina.
«Lo sai che Natale è ancora lontano, vero?»

«Lo so caro, questo regalo non è da parte mia. Un'oretta fa una ragazza ha suonato alla mia porta. Cercava te e le ho detto che aveva sbagliato casa, ma dato che ho notato fosse di fretta da come guardava costantemente l'orologio, le ho detto che poteva lasciarmi il pacchetto e che ci avrei pensato io a consegnartelo».
Aggrotto le sopracciglia e mi avvicino al tavolo.
Una ragazza?

«Ha detto come si chiamava?» chiedo mentre esamino l'anonimo pacchetto.
«No, però devo dire che era molto bella. Mi ha ricordato una mia vecchia amica, andavamo a scuola insieme nel 58'».
Molto interessante.

Jessy come la maggior parte degli anziani rimasti soli, ha il vizio di riuscire a trovare qualsiasi pretesto per raccontare un aneddoto dei suoi bei tempi.
E per carità, io l'scoltavo pure con piacere e interesse, non deve essere bello passare la maggior parte del tempo in solitudine. Ora però, ero troppo voglioso di capire la provenienza di quel pacchetto.
«Come era fatta fisicamente?»
«Riccia, capelli corti, occhi azzurri e mulatta».

Oh cazzo.
Strabuzzo gli occhi e sconcertato mi appresto a scartare il pacchetto.
Strappo la carta ruvida marrone e dentro ci trovo...non ci posso credere.
«Tutto bene caro? Sembra che tu abbia visto un fantasma».
Non sento neanche le parole di Jessy, sono troppo emozionato dal gesto che ha fatto...la ragazza senza nome.
La prossima volta che la vedo glielo chiederò.

I due libri che Derek e i suoi amici mi hanno rovinato sono qui nelle mie mani, nuovi.
Inizio a sfogliare "I cavalieri di Rockcoast", secondo libro della miglior saga fantasy del mondo, un foglio di carta cade sul tavolo.
Lo apro.

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