CAPITOLO 8

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Xilya

Voglio morire.
In questo esatto momento vorrei che ogni mio respiro fosse l'ultimo.
Sento dolori in posti del corpo che non sapevo di avere, ho freddo ma la mia temperatura corporea è altissima.

Voglio drogarmi.

Voglio iniettarmi tutte le dosi di cui mi sono privata nelle ultime settimane. Mi manca la mia routine, mettermi seduta sul mio divano pagato più di quanto valess, nel mio lussuoso appartamento, avere sul tavolino di vetro la mia amata polverina magica e sniffare.
Bramo quella sensazione di leggerezza che avevo dopo. Quella sensazione di poter fare tutto, di essere invincibile.
La cocaina è stata la mia più grande illusione, la mia luce alla fine del tunnel e anche la mia fossa.
Una dipendenza viscerale, una cara amica che ti ferisce ogni volta che la incontri.
Sento la sua mancanza e non me ne vergogno, sono malata. Una drogata.

Ma se faccio così schifo perché il destino non ha cessato la mia inutile esistenza? Dico davvero, non per autocommiserarmi, ma cosa vivo a fare? Non ho persone al mio fianco che tengano a me, non ho persone da amare, nessuno a proteggermi. Non ho braccia in cui correre quando la vita mi schiaffeggia duramente.

Una volta ho letto una frase in un libro che ero stata costretta a leggere per scuola: senza amore non c'è vita.
Una grande cazzata.
Io non amo ma la vita è nel mio corpo.
Così come la gente non si riproduce solo per amore. Prendiamo per esempio quante coppie sposate non riescono ad avere figli e quante coppie di adolescenti che fanno sesso a destra e a manca riescono ad essere ingravidate. In quel caso la vita non ricerca l'amore, basta uno spermatozoo e un ovulo.

«Come sta la ragazza?», sento chiedere da qualcuno al mio fianco. La stessa voce bassa e profonda che mi ha accompagnata nelle varie visite mediche.

«La febbre non scende, le abbiamo già somministrato il Metadone ma la crisi è arrivata potente lo stesso».
Io voglio della cocaina, non questo cazzo di Metadone.
Non posso neanche avere degli antidolorifici decenti perché peggiorerebbero la mia astinenza e potrei sviluppare un'altra dipendenza.
Le ossa sono doloranti, la schiena è sudata e formicolante, la testa potrebbe scoppiarmi da un momento all'altro. Respiro a fatica, perché ogni volta che inspiro ed espiro le costole mi fanno gemere dal fastidio.
Questa è la parte che temevo di più.

Le crisi d'astinenza.

La parte che spaventa di più tutti i tossicodipendenti e alcolizzati.
La parte che fa fallire e cedere le povere anime distrutte e sfinite dei drogati come me.
Darei un rene per anche solo pochi grammi di cocaina.
Ed è questa la cosa spaventosa, sapere che farei veramente di tutto cazzo, che non controllerei le mie azioni per ottenerla.
Non ho mai guardato in faccia nessuno per la droga.
E hai visto le conseguenze.
Si, le ho viste.

Le vivo.
Ogni giorno e ogni notte vivo nel senso di colpa.
Vivo sapendo di essere un'egoista.
Vivo sapendo che gente a causa mia ha sofferto e soffre.
Vivo sapendo che qualcuno un tempo sprecava il suo tempo a pararmi il culo, a preoccuparsi. Ma vivo anche sapendo che questi sentimenti sono sfumati, volati via.
Per colpa mia.
Allora perché non riesco ad essere diversa?
Se non fossi me sarebbe tutto più facile.
Non sarei qui adesso, in un posto dimenticato da Dio, a contorcermi nel dolore dei miei sbagli.
Chiudo gli occhi, le palpebre mi tremano.
Apro di scatto gli occhi ma non riesco a vedere perché le lacrime mi offuscano la vista, ma riesco a sentire una pezzetta che dovrebbe essere fredda, che viene posata sulla mia fronte.

«Andrà tutto bene», mi sussurra all'orecchio una voce dolce. Materna. Joy.
Ha voluto occuparsi lei di me anche se non è compreso nei suoi compiti qui.
Perché?
Questo mi sono chiesta.
Ma non ho le forze di trovare una risposta.
Una mano fredda si posa sulla mia, appoggiata al mio fianco sul bel lenzuolo profumato.
Una stretta.
Una semplice stretta in questo momento mi fa crollare.
Perché qui, in questo letto, mi rendo conto che ho solo preso scelte sbagliate.
Nella mia vita potevo avere persone buone come Joy.
Ma ho scelto la strada più semplice per me.
Invece di affrontare il dolore, l'ho annegato.
«Andrà tutto bene».

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