Xilya
La nuova struttura fa schifo.
O meglio, l'edificio in sé è fantastico.
Appena l'ho visto comparire da dietro la collina che lo copriva, sotto il chiaro di luna, sono rimasta sopraffatta dall'imponenza.
È venti volte più grande dell'altra clinica, la parte centrale è più alta rispetto ai lati dell'edificio. Riesco a vedere le persone di passaggio all'ultimo piano perché è fatto di vetrate.
Al buio, dato che sono le undici di sera, è molto suggestivo.
Mentre ci avviciniamo i lampioni mi schiariscono la vista.
Prima dell'ingresso c'è un cancello di un verde acqua acceso con sopra un'insegna: benvenuti alla Clinic C.D
«Che significano quelle lettere?» chiedo incuriosita ad uno dei poliziotti che mi stanno scortando.
Noto che si irrigidisce appena, ma dura solo un secondo quindi classifico il fatto come frutto della mia immaginazione.
Non mi risponde e continua a camminare con spavalderia.
Non insegnano l'educazione alla scuola di polizia?
Attraversiamo un sentiero sabbioso e ad ogni passo qualcosa di piccolo e duro mi finisce nelle scarpe.
Ai lati ci sono piccole aiuole curate e piene di colori vivaci che ci accompagnano nel percorso insieme a dei faretti nascosti tra i piccoli cespugli che ci fanno luce.
All'entrata ci accolgono due porte scorrevoli di vetro dietro le quali un dottore e un'infermiera molto - troppo - sorridenti ci aspettano.Si nota lo sforzo che stanno compiendo per sembrare gentili, lei è fatta più di plastica che di carne e l'espressione che ha la rende inquietante. Ha gli zigomi troppo pronunciati e le classiche labbra effetto canotto, risultato di più ritocchi chirurgici. I capelli grigi sono minuziosamente legati in uno chignon alto.
«Benvenuti alla Clinic C.D, io sono il dottor Quiroz, lei invece è la mia assistente, la signorina Susan Ramirez».
Di signorina non ha proprio niente, mi sembra una versione poco più giovane di mia nonna dopo aver preso qualche botta in faccia.
«Benvenuta signorina Kelly, io mi occuperò della sua sistemazione e l'aiuterò ad ambientarsi per la prima settimana qui in struttura. Inoltre le spiegherò come funziona il nostro programma», dice con voce roca e graffiante.
Io non apro bocca.
Sto sentendo la mancanza di Joy, del suo viso amichevole e la voce melodiosa.«Ora le mostro la sua stanza, mi segua», dopo di che si avvia verso delle scale in fondo alla sala.
Sento addosso lo sguardo del dottor Quiroz, e ciò mi mette i brividi.
Raggiungo le scale con alle spalle i poliziotti carichi delle mie borse e valigie.
«Appena arriveremo al piano dove ci sarà la sua stanza, dovremo controllare i suoi bagagli, fa parte del protocollo che seguiamo».
Per quanto possa infastidirmi quest'invasione di privacy, lo comprendo.
«D'altronde, noi siamo una struttura seria, non come quella baracca improvvisata dove stava prima. Da noi non sarebbe mai successo ciò che invece è successo lì», dice compiaciuta sculettando su per la scalinata.
Ma se la butto di sotto i poliziotti qui con me mi arresterebbero?Meglio non rischiare, lo farò quando saremo sole.
Arriviamo in un lungo corridoio, esattamente come quelli degli ospedali. Le luci incassate nel soffitto rimandano una luce bianca e fredda.
Ci sono varie porte con sopra un numero e alla porta è fissato un foglio con sopra il nome del paziente e una cartellina con su scritti i vari programmi e visite che deve seguire.Con la mia solita fortuna la mia stanza è l'ultima in fondo, quindi ogni volta che dovrò andare in qualche posto della clinica dovrò farmi sette minuti di camminata solo per arrivare alle scale.
Eh no, anche se sono una top-model quindi dovrei tenermi in forma, il mio hobby preferito è stare nel letto tutto il giorno.
Come fanno quelle ragazze ossessionate dalla palestra non lo so.
L'attività fisica è sopravvalutata.L'assistente si ferma davanti alla porta numero 305 e la apre, facendomi cenno di entrare.
Appena entro la prima cosa che noto sono le sbarre alla finestra, che è piccola e molto in alto.
«Perché ci sono le sbarre?»
L'assistente sembrata sorpresa della mia domanda.
«Oh quelle? Solamente precauzioni».
Sbatte le sue lunghe ciglia finte e sbatte le mani.
«Bene, ora la lascio sistemarsi, i suo accompagnatori sono stati fermati dai nostri operatori che stanno controllando i suoi effetti personali».
Neanche mi ero accorta che i poliziotti non mi stessero più seguendo.
Mi rivolge lo stesso sorriso tirato di qualche minuto fa, e se ne va.
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Loving Your Imperfections
RomanceAaron ha diciassette anni, va al liceo, ama leggere e adora la natura che offre il suo paesino sperduto nel Canada.. Un ragazzo normale, no? Non proprio. Da un anno e mezzo Aaron vive con il peso e le conseguenze che un episodio della sua vita gli...