CAPITOLO 16

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Xilya

Ho sempre amato la pioggia.
Non per un motivo preciso, semplicemente adoro stare davanti alla finestra, trattenere il respiro per non perdermi neanche uno scroscio e analizzare molto attentamente ogni gocciolina che prosegue il suo viaggio verso il suolo attraverso la finestra.
Sarò anche infantile ma, uno dei miei passatempi preferiti nei pomeriggi piovosi, da quando sono piccola, è scegliere due gocce, e provare ad indovinare quale sarà la più veloce ad arrivare alla fine della vetrata.

Ma da quando sono entrata alla Clinic C.D, non posso più fare nemmeno questo.
Loro controllano la mia vita, decidono a che ora posso andare al bagno, quando posso parlare.
Già è tanto se mi lasciano respirare in autonomia.
Sono arrivata alla conclusione che avrei preferito il carcere.
Una galera per un'altra tanto che differenza fa?

Oggi è il quarto giorno di permanenza ma vorrei già trovarmi in qualunque altro posto al mondo.
Respiro a pieni polmoni l'aria pungente e l'umidità mi aiuta a darmi una svegliata, dato che ho dormito poco e male.
Ho delle brutte sensazioni, a ogni piccolo cigolio mi allarmavo e mi ridestavo.
Anche adesso mentre seguo uno dei poliziotti che mi fa da guardia e un dottore, le budella mi si contorcono e avverto un insana voglia di...mettermi in salvo.
Ed è brutto perché non ho idea da cosa io dovrei scappare.
Non faccio altro che pensare alla ragazza della mensa e a ciò che le è successo.

La sera dello stesso giorno, ho visto una grande macchina nera, più somigliante a un camioncino, parcheggiata sul retro della struttura, e una barella con sopra un corpo coperto da un lenzuolo. Questo veniva trasportato e poi messo all'interno del veicolo.
Quando le ante hanno sbattuto ho sobbalzato e ho sentito un vuoto immenso. Ho guardato il camion scomparire sulla strada sterrata e lacrime salate mi hanno inumidito gli occhi.

Non posso averne la certezza ma, sono quasi sicura che sotto quel lenzuolo ci fosse quella ragazza. Cosa le sarà successo? Avranno avvertito dei famigliari? C'era qualcuno che si preoccupava per lei o era sola come me?

Loro l'hanno uccisa, coloro che dovrebbero essere dei medici sono colpevoli di mancato soccorso e negligenza.
Il pensiero che lei si sarebbe potuta salvare se qualcuno di competente fosse intervenuto è come un tarlo nella mia mente.
E ora, mentre sono scortata in una una piccola struttura adiacente a quella principale, mi chiedo se dovrei fidarmi di queste persone.

La ghiaia scricchiola sotto i nostri pesi, mi concentro sul rumore secco dei passi per non entrare nel panico.
Di solito ho sempre gestito le mie emozioni al meglio.
Ok, forse non sempre dato che molte non le accettavo e mi affidavo alla droga, ma quelle erano emozioni differenti.
L'ansia, il nervosismo e, in questo momento il panico, che sono tarli della mente per molti, a me non hanno mai recato disturbo. Ho sempre cercato di trovare un modo di distrarmi e di rimanere razionale, riuscendoci. Io non riuscivo e non riesco tuttora a convivere con il rimorso e la consapevolezza delle mie scelte sbagliate irreversibili.

Ci fermiamo davanti a un'imponente porta rossa di metallo pesante. Il poliziotto si posiziona davanti a me comprendo la vista del dottore. Sbricio oltre il suo corpo massiccio giusto un secondo per vedere il dottore chinato, i leggeri bip che risuonano nel silenzio mi fa intuire che stia inserendo un codice.

Infatti la porta si sblocca socchiudendosi. Il dottore la apre facendoci segno di entrare. Non appena varco la soglia noto uno sguardo d'intesa tra i due uomini.
Lo ignoro perché dargli un qualche significato alimenterebbe la mia preoccupazione.
L'ambiente sembra un capanno abbandonato, di quelli che si vedono nei film polizieschi quando qualcuno viene attirato in una trappola e in cui succedono sempre cose brutte.
Xilya basta con questi paragoni.
Mi devo ricordare che ho un poliziotto come scorta, questo dovrebbe rasserenarmi.
Giusto?

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