Scatoloni, tanti, inutili, scatoloni

46 5 15
                                    

Remi

Arrivammo alla nuova casa verso le nove di sera.
Scesi dalla macchina con le cuffie ancora in testa, la musica che mi rimbombava nelle orecchie.
Abbassai le cuffie e alzai il viso in direzione della casa: era bella, i muri bianchi sembravano neve fresca e il giardino rigoglioso era illuminato dagli ultimi raggi del sole che stava ormai tramontando.
Non era troppo grande, ma in ogni caso sarebbe sempre stata meglio del nostro appartamento a New York.
"Ti piace?" Mia madre si avvicinò piano e mi mise una mano sulla spalla.
Quella piccola casa di Toronto sarebbe stata, almeno per un po', la nostra ultima ancora di salvezza.
"Tranquilla, qui lui non ci troverà mai" disse prendendo la mia testa tra le mani e baciandomi la fronte.
Mi limitai ad annuire e ad accennare un piccolo sorriso, per poi voltarmi verso la macchina e prendere lo zaino con le mie cose e lo skateboard.
Mia mamma mi passò un paio di scatoloni, per poi aprirmi il cancellerò e successivamente la porta di casa. Si scansò facendomi passare.
Dentro regnava il disordine: c'erano scatoloni da tutte le parti. Sotto il tavolo, sopra i fornelli,davanti alle porte.
In poche parole la casa era arredata solo da scatoloni. Tanti e inutili scatoloni.
Andai al piano superiore, dove mia madre aveva detto che si sarebbe trovata la mia camera. Anche li c'erano parecchi scatoloni, ma c'era già qualche mobile che aveva portato quella mattina l'azienda per traslochi. Sulla destra c'era una piccola scrivania con una sedia affianco, la stessa che usavo a New York per studiare. Dal lato opposto della stanza, invece, c'era un letto. Non aveva ne lenzuola ne niente, solo il materasso e un piccolo cuscino senza federa, così decisi che come prima cosa avrei sistemato quello.
Misi sopra la scrivania lo zaino e lo skate lo appoggiai al muro, accanto al mio letto.
Aprii uno degli scatoloni che giacevano accanto al mio letto e ne tirai fuori una coperta, un lenzuolo e una federa puliti.
Ci misi un paio di minuti, ma alla fine ero riuscita a sistemare il letto.
Mi girai e guardai la stanza. Era molto più spaziosa di quella a New York. Le pareti erano grigie, abbastanza scure, dopo tutto, nei prossimi giorni l'avrei potuta sistemare e forse non sarebbe venuta per niente male.
Me la immaginavo già, con i poster attaccati alle pareti e i led sopra alla scrivania.
"Remi! La cena è pronta!!" Sentii chiamare mia mamma da giù.
"Ok mamma! Arrivo, solo un attimo!"
Andai un attimo in bagno, portandomi dietro il beauty case dove avevo messo le mie cose.
Accesi la luce: era l'unica stanza senza scatoloni che avevo visto fino a quel momento. Era tutto un po' impolverato, ma sarebbe bastata una passata con l'aspirapolvere e sarebbe tornato come prima.
Andai davanti allo specchio e tirai fuori un mollettone dal beauty case.
Alzai la testa: i miei lunghi capelli rossi mi ricadevano sulle spalle, li raccolsi e li arrotolai su loro stessi, per poi fermarli con il mollettone.
Mi i avvicinai allo specchio: avevo le occhiaie per colpa del sonno perso per il viaggio, avrei recuperato nei prossimi giorni.
Scesi di sotto: gli scatoloni erano stati spostati in salotto e la tavola era già preparata per me e mia madre.
"Pollo al curry, va bene vero?"
"Certo mamma, grazie mille..."
Misi un boccone in bocca. Era buonissimo. Era da molto che non lo mangiavo, era come una carezza per me.

"Vattene! E non tornare fino a che non avrai ragionato su quello che hai fatto! Sei solo una troia! Proprio come tua madre!"

Quella sera proprio non ce l'avevo fatta. Mia madre si era semplicemente dimenticata di mettere una birra nel frigo per mio padre, così lui si era messo a picchiarla.
Ero rimasta in disparte, con le cuffie che attutivano le grida di mio padre e le scuse di mia madre.
Un rumore di vetri rotti aveva attirato la mia attenzione: mio padre aveva lanciato una bottiglia di birra sul tavolino del divano, poco distante da me. Teneva la mamma per i capelli. Lei piangeva, urlava. Papà si era chinato per riprendere la bottiglia rotta. La stringeva tra le dita, le nocche bianche. L'aveva alzata sopra la testa della mamma. Lei non aveva reagito, aveva solo guardato me, con lo sguardo triste, come se mi stesse pregando di aiutarla.
Li non ci avevo più visto.
Mi ero alzata in piedi, di scatto. Avevo sfilato le cuffie dalla testa e le avevo lanciate sul divano.
Ho preso il polso di papà e l'ho tenuto fermo. Non penso di aver mai avuto così tanta paura in vita mia, ma non potevo sopportare un giorno di più, non si doveva permettere.
"Cosa cazzo stai facendo?" Mollò la presa dai capelli della mamma e la lanciò contro il mobiletto del divano.
Mi girai un attimo verso mia madre: aveva i capelli rossi scompigliati e il trucco sbavato per il pianto.
La guardai, e lei capì al volo.
Era già da un po' di giorni che avevamo pronte le valigie in caso dovesse essere stato necessario andarsene.
Mamma corse subito in camera mia, dove avevamo nascosto le valigie.
Nel mentre papà si era girato verso di me. Mi guardava con uno sguardo ricolmo d'odio, che io non potevo far altro che ricambiare: lo odiavo, lo odiavo come non ho mai odiato nessun altro.
Aveva iniziato a schiaffeggiarmi e a tirarmi i capelli.
"Remi!" Mia madre mi stava chiamando.
Mi girai verso di lei: aveva le valigie accanto a lei, con le lacrime che continuavano a scendere.
Tirai un calcio ben assestato sugli stinchi di mio padre e andai verso mia madre. Presi lo skateboard, l'unica cosa che mi dava ancora la forza di vivere, che era appoggiato affianco alla porta e uscimmo.

Eravamo andate a casa di nonna e ci eravamo rimaste per tre mesi, giusto il tempo di cercare una nuova casa dove andare a stare.
L'ultimo mese avevamo trovato la casa a Toronto e tempo tre settimane, eravamo partite.
Ci bastava stare lontane da New York, lontane da papà, lontane da tanta sofferenza.

"Come sta nonna?"
"Bene, le manchi." Nessuno avrebbe mai potuto capire quanto bene mi avessero fatto quelle parole.
"Anche a me manca" ed era la verità. Era stata una di quelle poche persone che erano riuscite a darmi un po' di pace, una di quelle persone che non avrei mai voluto lasciare a New York.
"Sta sera vuoi andare a fare un giro? Magari ti porti lo skate: prima mentre dormivi in auto siamo passate vicino ad uno skate park, circa a 10 minuti da qui."
"Va bene mamma, in effetti ho bisogno di prendere un po' d'aria..."
Era tutto il giorno che sentivo il bisogno di andare in skate, ma non volevo dare fastidio a mia madre, così avevo preferito non chiedere.
Finii di mangiare presto. Misi il piatto, le posate e il mio bicchiere nel lavandino, per poi lavarli e metterli ad asciugare.
Salutai mia madre con un bacio sulla guancia, presi lo skate e mi misi le scarpe e poi uscii.
Fuori c'era un venticello caldo, che mi scompigliava i capelli. Tolto il mollettone e alzai il cappuccio della felpa. Era aprile, ma faceva in ogni caso più freddo che a New York.
Salii sullo skate, per poi iniziare ad andare in giro per la città. Non avevo una meta precisa, volevo solo fare un giro e vedere com'era Toronto.
Non c'era tanta gente per strada, cosa che mi stupii particolarmente, così potevo correre più veloce del solito.
Dopo una decina di minuti ero arrivata davanti allo skate park. Non ero finita lì apposta, ma ci ero passata accanto e avevo deciso di dare un occhiata.
Frenai e scesi dallo skate. Lo presi sotto braccio ed entrai a vedere.
Stavo per iniziare a fare qualche giro sulla pista quando mi accorsi di una folla di ragazzi attorno ad un gruppetto di persone, due ragazze e tre ragazzi.
Mi avvicinai, curiosa: si sentiva una bella musica arrivare da lì, era una di quelle canzoni che ascoltavo abitualmente, così decisi di dare un occhiata.
Mi avvicinai e mi feci spazio tra la gente.
Appena vidi cosa stava accadendo i miei occhi brillarono.
Stavano ballando.
Era una coreografia di break dance molto complicata e veramente straordinaria. Eseguivano i movimenti con precisione ed... erano veramente bravi.
Uno dei ragazzi aveva i capelli viola e gli occhi a mandorla, probabilmente era asiatico. Si muoveva con rapidità e faceva movimenti veramente pazzeschi. Stava ballando per lo più in coppia con una ragazza dai capelli neri e liscissimi, con la pelle chiara come la luna.
L'altra ragazza, invece, stava ballando con un ragazzo dai capelli biondi abbastanza lunghi raccolti in un codino. Aveva la pelle molto abbronzata, e assieme facevano un impressione pazzesca: lei con la pelle cioccolato e i capelli riccissimi e lui abbronzato come un surfista e i capelli chiari.
L'ultimo ragazzo, invece, era quello che aveva attirato di più la mia attenzione. Era alto, con i capelli mori e le lentiggini come spruzzi di colore su tutto il viso. Era veramente bellissimo.
Era da solo, ma era più bravo degli altri, ed era ben visibile.
Ad un certo punto, però, la canzone era finita.
La folla aveva iniziato ad applaudire e mi sono sentita spintonare da tutte le parti.
Mi feci largo tra la folla per andare a fare un giro allo skate park. D'altronde era per quello che ero venuta la.
Dopo una mezz'oretta, la folla se ne andò completamente e non si sentiva più la musica proveniente dalle casse che avevano usato i ballerini.
Mi girai a vedere: i ragazzi si stavano salutando e se ne stavano andando via uno dopo l'altro, prima il ragazzo biondo seguito dalla ragazza cioccolato, poi la ragazza dai capelli neri e infine il ragazzo asiatico.
Era rimasto soltanto il ragazzo con le lentiggini.
Stava sistemando l'ultima cassa che era rimasta, l'altra, infatti, l'avevo vista essere portata via dal ragazzo biondo.
Ogni tanto gli davo un'occhiata di sfuggita, non volevo sembrare una stalker.
Ad un certo punto però, mi ero girata e l'avevo visto tirare fuori da uno zaino uno skateboard.
Lo prese e si diresse verso di me.
Mi fermai e gli rivolsi un occhiata, se ne accorse e mi sorrise.
Perché mi stai sorridendo?
Diedi un colpo al retro della tavola, che fece un salto, e la afferrai.
Era ad un paio di passi da me quando si fermò.
Si voltò verso la pista e la guardò, con una strana luce negli occhi.
"È la prima volta che ti vedo qui nei dintorni" disse per poi saltare sullo skateboard e fare un hikflip perfetto.
Si fermò dall'altro lato "COME TI CHIAMI?"
"Remi. Mi chiamo Remi."
Un altro salto, un altro hikflip perfetto.
Si fermò accanto a me e si girò nella mia direzione "Piacere Remi, mi chiamo Noah" e mi sorrise. Di nuovo.

Spazio autrice
Ciao a tutti! Questo è l'inizio del mio nuovo libro, spero che questo primo capitolo sia stato interessante. So che non è proprio il massimo e con le descrizioni faccio schifo, ma in ogni caso ci tenevo a pubblicare questa storia.

Pianeti e galassie Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora