Cuore o cervello?

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Remi

Le mie gambe continuavano a spingere lo skate lungo la strada bagnata per via della pioggia che c'era stata fino a qualche istante prima che io uscissi di casa, e la mia mente vagava lontano da Toronto, cercando una risposta per quello che era successo.
Arrivai allo skate park e superai il cancello di ferro velocemente.
Stava calando la nebbia, come un pezzo di velluto che mi oscurava la visuale, ma non avevo paura. Perché a volte, se hai là possibilità di non vedere, devi approfittarne.
Superai il primo salto velocemente ed andai a sedermi in un angolo ai piedi della collinetta successiva.
Era tardi e non c'era nessuno.
Mi era sempre piaciuta la notte, anche da bambina.
Ogni volta che qualcuno mi faceva la classica domanda "Qual'é il tuo colore preferito?", la mia risposta era sempre la stessa: blu.
Quel colore mi rilassava. Mi ricordava il cielo di New York a mezzanotte, gli occhi di mia nonna e il mare. Il mare profondo, quello in cui potresti perderti anche solo guardandolo.
Anche il nero mi ricordava il buio, ma al contrario del blu non mi piaceva. Mi metteva ansia.
Il nero era più triste, più oscuro. Mi ricordava l'infinito, una cosa da cui non potevo scappare, una cosa troppo grande per essere controllata.
E fu proprio in nero, il colore che vidi quando un ombra mi coprii completamente.
Guardai in alto e la sagoma di un ragazzo sullo skate mi passò letteralmente a qualche metro dalla testa e con un tre e sessanta perfetto andò a frenare nella curva più vicina a me.
Scombussolata, mi voltai nella sua direzione, e il ragazzo che mi aveva rapito lo sguardo già dalla prima volta che lo avevo visto, un ragazzo lentigginoso, alto e castano, era lì, poco più avanti a me.

Noah

"Ciao"
Cosa le avrei potuto dire? Che ero andato a cercarla perché il ricordo della mano di Alex sul suo fianco mi perseguitava da mezza giornata? Come una tarma che divora lentamente il legno dall'interno, distruggendolo.
Sul volto di Remi, però, vidi solo sconforto.
Mi avvicinai di qualche passo, per avvicinarmi di più a lei, anche se in realtà la sentivo più distante di Marte.
Sentii il cuore che si spezzava come vetro e le schegge si andarono ad infilare da tutte le parti, mentre lei si alzava e iniziava a camminare per andarsene.
Mi allungai verso di lei e le afferrai il polso, in modo delicato ma deciso.
Al contatto con la mia pelle, come scottata, si girò per guardarmi negli occhi, e ancora una volta pensai che mi sarei potuto perdere in quegli occhi dissimili, che probabilmente, se lei lo avesse voluto, sarebbero riusciti ad intrappolarmi e ipnotizzarmi, senza alcuno sforzo.
Tremava, come rami scossi dal vento tiepido primaverile, e quando me ne accorsi, ritrassi la mano.
Feci un passo indietro: gli occhi erano ricolmi di lacrime tormentate.

Remi

Avevo gli occhi umidi e il naso che bruciava, e mi sentivo il cuore pesante come l'oro puro.
E vederlo lì era destabilizzante e spaventoso allé stesso tempo, perché sapevo che quegli occhi profondissimi, quei capelli mossi del colore del cioccolato al caramello e quel profumo di menta e cannella che mi sentivo già addosso, erano delle cose che risvegliavano in me sentimenti contrastanti, dal calore pulsante che sentivo sulle guance, alle farfalle nello stomaco che volavano impazzite.
Guardandolo trovavo casa, conforto, speranza. Ma allo stesso tempo sentivo di perdermi sempre di più.

"L'unico uomo della tua vita é il tuo papà, non è vero, Rem?"  mi diceva, guardandomi negli occhi e sorridendo. Prima che tutto crollasse. Quando lui è mamma ancora si amavano, prima che perdesse il lavoro.
"Sì papà. Ti voglio bene"
Mi prendeva in braccio quando ero triste, mi cullava canticchiando delle canzoncine per farmi calmare e mi asciugava le lacrime con i pollici quando piangevo.
Ero cresciuta con quelle parole scritte indelebili nella mia testa. Come un tatuaggio. Prima che tutto accadesse, pensavo che le cose sarebbero rimaste così: io, lui e mamma.
Per sempre solo noi.

Ogni giorno, ormai mi svegliavo con un pensiero fisso, una scelta non ancora compiuta, il bisogno di decidere di cosa farmene dei sentimenti che avevo iniziato a provare.
Cuore o mente? Amore o ragionevolezza?
Prima di conoscere lui, la mia tempesta pronta a capovolgere tutto nella mia vita, la scelta sarebbe stata ovvia. Cervello, ragionevolezza. Sempre e in ogni caso. Ma da quando avevo conosciuto Noah, stavo iniziando a mettere un l'unto di domanda a tutto. Ogni certezza era sfumata.

Lo stavo ancora guardando negli occhi, anche se avevo lo sguardo offuscato dalle lacrime che piano piano diventavano sempre di più e che tentavano a tutti i costi di uscire.
"Volevo vederti"
Disse tutto d'un fiato, come se potesse pentirsi di quello che aveva detto.
"Noah..."
"Non serve. Non dire nulla." Fece ricadere le braccia lungo i fianchi, stringendo i pugni. Lo sguardo, però era ancora fisso nel mio, intenso e profondo.
"Sappi solo che mi dispiace"
Lasciai cadere le lacrime trattenute per troppo tempo, che iniziarono a corrermi sul viso.

Noah
Vidi le lacrime che scorrevano sul suo viso, libere di cadere al suolo, come goccioline di pioggia.
Lei mi ricordava la pioggia: misteriosa, fredda e affascinante al tempo stesso. Da piccolo mia madre mi diceva sempre che quando pioveva le nuvole erano tristi. Anche lei era spesso triste. E avrei voluto dirle fin da subito che io ci sarei sempre stato, che con me avrebbe potuto parlare. Però era più difficile per me crederlo che dirglielo. Sarei stato presente sul serio? O la avrei fatta scappare quando le avrei mostrato anche io un po' della mia tristezza?
Mi avvicinai. Un passo, poi due.
La vidi ritrarsi impercettibilmente, ma non si spostò. Continuò a guardarmi negli occhi. Eravamo a un soffio l'uno dall'altra. se mi fossi mosso di qualche centimetro avrei potuto posare le mie labbra sulle sue.
Alzai la mano, lentamente e continuando a guardarla negli occhi, come a chiederle il permesso. Lei non si mosse.
Le posai la mano sulla guancia e delicatamente, le passai il pollice sulla guancia, asciugandole una delle tante lacrime che aveva fatto scappare.
"Noah... io non posso"
Una pugnalata alle spalle.
Restai lì, fermo. Ma non le avrei fatto vedere che mi aveva ucciso.
"Allora va a casa"
Sbarrò gli occhi, ricolmi di tristezza.
Poi fece un passo indietro, continuando a guardandomi. Prese lo skateboard e se ne andò.

Ciao a tutti⭐️
In questo periodo scrivo poco, molto poco. Però questa storia non l'ho dimenticata. A questo capitolo ci lavoro da un bel po'. Lo trovavo difficile. Alla fine l'ho concluso, sono abbastanza contenta alla fine. Tutte le volte che l'ho cancellato sono seguite a qualcosa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 18 ⏰

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